Tecnologia: come personalizzare questa materia indistinta?

Ero molto preoccupata nella ricerca di un modo per approcciare la digitalizzazione, l’uso delle app – abbreviazione per applicazioni –  in ambito sanitario, per poter comunicare “come ci sentiamo, come viviamo, cosa pensiamo, cosa amiamo”, una volta che soffriamo di un’esperienza di malattia.

Ho letto articoli scientifici che dimostrano che quando usiamo la digitalizzazione si attivano alcune zone più primitive della nostra corteccia cerebrale, ma quando si utilizza la scrittura selettiva a mano si attiva un livello corticale molto più sofisticato del cervello superiore. Pertanto, sembra che la digitalizzazione ci renda sciocchi e più stupidi, e  soprattutto  va presa con cautela nei processi educazionali. Non desidero nemmeno sfiorare il concetto di solitudine dato dal mondo virtuale, dove ognuno è isolato in questa società frammentata e asociale.
In queste poche righe sono più preoccupata per la limitazione del cervello che per la limitazione della società: limitare le capacità del cervello e delle abilità per me sembra un grande spreco per l’umanità.

Non sapevo da che parte cominciare a scrivere qualcosa commentando o supportando le app e le tecnologie medicali, nonostante le stia usando proprio per questo numero di Cronache di Medicina Narrativa. Nessun indizio fino a quando Frida Kahlo, la pittrice messicana, non è venuta in mio aiuto. Non con i suoi dipinti, che sono quasi ovunque in mostra in tutto il mondo.  Non con i suoi famosi autoritratti sulla storia della sua malattia, su quanto abbia sofferto, dalla comparsa della sua polio, quando era una bambina di sei anni, sul suo incidente in tram, dove lei è rimasta “impalata” nella vettura spezzata a metà,  dove ha perso parte della sua mobilità alla colonna vertebrale posteriore, dal suo aborto spontaneo. Non dai suoi dipinti, la narrazione della sua sofferenza: sono, e lo capiremo dopo,  un pallido riflesso della sua sofferenza nella malattia e dei suoi sette interventi chirurgici alla colonna vertebrale che ha dovuto subire. Frida ci  scrive: “La mia pittura porta con sé il messaggio del dolore”.

No, c’è molto di più. Almeno per me. Ho dovuto inciampare nel suo corpus di tecnologie medicali del suo tempo per capire come mi piacerebbe che le persone potessero utilizzare le app e la tecnologia biomedicali: perdonate il mio salto analogico, ma lasciatemi andare direttamente alle sue azioni. Il suo corsetto, la gabbia per contenere  la sua spina dorsale spezzata, è stato dipinto da lei con i suoi simboli preferiti, lo yin e lo yang, la falce e il martello, e altri idoli della cultura messicana, che hanno aiutato Frida a indossarlo come una seconda pelle, per vivere con la sua malattia.

Le sue gonne lunghe, che la maggior parte di noi ha considerato solo come un abbellimento, a volte anche come un narcisistico tratto dalla tradizione popolare messicana, piene di colori e ricami, dovevano coprire le gambe zoppicanti, sempre dolorose, gonfie,   piene di lividi e cicatrici. La scelta dei suoi abiti è diventata la sua tecnologia, per creare una nuova identità per far fronte alla sua malattia.

Ultima ma non meno importante la gamba amputata, e qui mi sono fermata a bocca aperta, commossa da quello che ha fatto: Frida ha decorato gli stivali da indossare sia sulla gamba sana che sulla protesi. I suoi stivali erano rossi, dipinti da lei con uccelli e fiori. Mentre suo marito Diego Rivera dipingeva murales comunisti in tutto il Messico, lei, silenziosamente, dietro di lui, decorava i suoi stivali, per il piede vero e per il piede falso. Ha cercato di uccidere il dolore e l’assenza di un arto con la decorazione, senza arte astratta, con i disegni delle sue tecnologie del corpo che provengono dal suo artigianato originale, immagini di tradizioni popolari, colori e natura. La natura soprattutto: fiori, uccelli, animali e bellezza. La sua meravigliosa bellezza orgogliosa.

 

Tornando all’applicazione sanitaria delle app, penso che potrebbero essere come la sua protesi della gamba, come la gonna per coprire la zoppia, come il suo corsetto che le davano quella postura nobile e altera. App che hanno e ottengono un significato se personalizzate.

Ha senso creare una app di materia indistinta,  personalizzata solo in superficie dalla domanda quale emozione “provi oggi?”.  La app, perchè si trasformi da un non detto numerico e una banale descrizione con l’emoticon, allegro, triste, arrabbiato, ecc. ecc si può arricchire con la propria narrazione, con i propri colori, i propri disegni, le proprie foto, e con il proprio significato estetico e con i simboli che per Frida erano colori e natura… e per te? Quali sono i tuoi  valori estetici? Hai mai pensato a quello che ti piace veramente? Dove vuoi vivere? E dove essere malato? E dove vuoi morire? Quali simboli sono il tuo abbellimento per la tua vita, per trovare il tuo stile per vivere con una malattia cronica e per lasciare questa vita?

Questo è ciò che la tecnologia può rappresentare oggi: come il corsetto indistinto, una materia oscura, su cui  Frida, per personalizzarlo, ha dipinto tutti i suoi simboli principali, i suoi simboli nutritivi, così le applicazioni digitali e le tecnologie  acquistano valore solo se ottengono una personalizzazione che va oltre la materia indistinta.

Non so se sono in grado di stimolare qualche possibile suggerimento per l’utilizzo delle Applicazioni e delle Tecnologie biomedicali, tuttavia consiglio vivamente:

  1. Prima di tutto decorarale come fossero i vostri vestiti, la vostra casa, il vostro giardino.
  2. Rifletti sui simboli che volete inserire, sui colori, le decorazioni, insomma quello che le può rendere animate.
  3. Trasmettilo con una narrazione scritta a parole, in quanto potrebbe essere difficile per noi e per gli altri  capire quali siano i vostri sentimenti, quali i vostri progetti, e quali le cose che davvero amate. Sono queste le cose che ti terranno in vita e daranno un senso a ciò che stai vivendo.

Gli autoritratti  al di fuori della tecnologia medica reale sono già copia della copia, come Platone avrebbe detto: ora lavoriamo direttamente sulle tecnologie medicali che usiamo quotidianamente per renderlo nostre.

Grazie, Frida, mi hai insegnato molto di più attraverso come stavi decorando te stessa  e le tue tecnologie biomediche, corsetto, sedia a rotelle, protesi, e il tuo letto, che dai tuoi dipinti, capolavori conosciuti in tutto il mondo…

 

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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