Stefano, Ginevra e Luigi sono cugini che a dicembre si sono trovati ad essere, come molti, positivi al Covid-19. Dal momento che il resto delle rispettive famiglie non lo erano, i tre hanno passato il periodo di quarantena obbligatoria isolati nella taverna di casa di Ginevra. Abbiamo chiesto loro di raccontare la loro storia come emblematica di quelle di una generazione di cui si parla tanto in questo periodo ma che raramente si lascia parlare.
Prima di tutto le presentazioni:
- G: Mi chiamo Ginevra, ho quasi 19 anni e frequento l’ultimo anno di liceo artistico.
- L: Mi chiamo Luigi, ho 19 anni e frequento il I anno di triennio di violino presso il Conservatorio Umberto Giordano di Foggia.
- S: Mi chiamo Stefano, ho 16 anni, vivo a Roma e faccio il terzo anno di liceo scientifico.
Diario di bordo (scritto da Ginevra durante i giorni di isolamento)
05/01/2022 – giorno 1: lo, Gigi e Tati siamo risultati positivi. Rinchiusi in taverna. Fa freddo. lo: tosse e raffreddore, sento poco gli odori. Gigi: raffreddore e mal di testa. Tati: mal di gola e schifo in bocca
06/01/2022 – nulla di positivo, a parte noi. Zio Dino, fattorDino, è il nostro rifornitore di viveri.
Questo appartamento è diventato un bunker.
Ho imparato ad accedere il fuoco senza diavolina.
07/01/2022 – Tutto uguale. Dolori muscolari. È un’impresa rimanere svegli. Dobbiamo assolutamente pulire casa
08-09/01/2022 – PULIZIE. Siamo ancora vivi e zero sintomi. A malapena ci muoviamo, zero forze. Stiamo aspettando che arrivi FattorDino.
10/01/2022 – Zero sintomi. Perdo tappeti di capelli
11/01/2022 – che giorno è? sarà notte? che ore sono?
12/01/2022 – Stiamo bene. Tati e Gigi, due lottatori di Sumo
13/01/2022 – Mal di testa devastante. Mi addormento in video lezione. FattorDino ci ha portato i viveri.
14/01/2022 – DOMANI TAMPONE. scommettiamo di essere tutti negativi
15/01/2022 – TUTTI NEGATIVI! IL GF FINISCE QUI
I racconti a posteriori
GINEVRA:
Durante il primo lockdown è stato facile, per me, dedicarmi alle mie passioni: dedico un’ora a leggere, poi disegno, magari ripasso qualche passo di danza… ma, alla fine, l’ho travasata quella piantina?. Mi piace studiare, prendo sempre voti alti, quando qualcuno non risponde alla domanda di una professoressa, lei poi confida nella mia risposta che, puntualmente, è corretta.
Altrettanto facile, dopo un’estate, ritrovarsi nella stessa situazione dell’anno precedente, cadendo nell’apatia. «Mi sento sempre stanca», «Non essere pigra! Devi solo studiare!». Potrei cominciare allenarmi, potrei portarmi avanti con quel progetto di scuola… «Mamma, ho avuto una paralisi del sonno, è stato orribile…», «È solo un po’ di stress, cerca di affrontare la giornata nella maniera più normale possibile».
Tolgo la felpa, comincia a fare caldo. Mamma, non riesco a dormire più di due ore a notte da mesi, non riesco ad alzarmi dal letto, non riesco a studiare, le giornate sono tutte uguali… Mi chiama una mia compagna di classe: «Ginevra, stai bene? È un mese che manchi alle videolezioni». L’estate è fatta per viaggiare, godersi il mare e dedicare del tempo ai tuoi amici. «Che bello! Finalmente quest’anno ho la maturità e potrò godermi l’anno perché torniamo a scuola in presenza». Siamo a novembre.
Mamma, ho bisogno di aiuto ma forse è meglio che non te lo dica. Non mi sono mai liberata di queste paralisi, non riesco a gestire i miei sbalzi d’umore e in alcuni momenti mi sento fuori dal mio corpo, come se mi osservassi dell’esterno. «Spero che il 2022 parta bene e sia un anno migliore. D’altronde non può essere peggio di così». Si dice che affermare cose del genere porti sfiga e infatti…
«Signorina, lei questa mattina il vaccino lo vede con il binocolo. È positiva!». Stefano, quando ti vedo ti uccido! Stefano e Luigi bussano alla porta di casa con lo zaino a spalla. «Come ci organizziamo? Fa freddo e non c’è spazio». Ma quant’è difficile capire che tempo fa fuori quando abbiamo solo quella piccola finestra che a malapena si apre.
C’è di positivo, però, oltre noi, che abbiamo fin da subito collaborato nella gestione della fin da subito collaborato nella gestione della casa, abbiamo magicamente imparato ad accendere il fuoco e abbiamo scoperto che Gigi apprezza i miei video ASMR che guardo la notte per conciliarmi il sonno. Abbiamo guardato ogni film e serie disponibile su Netflix, ci siamo improvvisati lottatori di sumo chiudendo Stefano nella sua brandina e abbiamo scoperto il valore della gentilezza. Si, perché pur saltando come scimmie in una casa, c’è quel momento di silenzio, in cui pensi che tutto questo sembra un videogioco a livelli.
Dopo aver cenato, prima di andare a dormire, solitamente saluto il mio ragazzo in videochiamata; mi sono ritrovata a dargli la buonanotte, passando, poi, il telefono a Luigi ed anche a Stefano. Tutti hanno salutato Ale? Bene, Stefano già dorme. FattorDino è sempre scattante, dovremmo fargli un bonifico.
«Domani abbiamo il tampone, sono già passati dieci giorni». «Raga, io quasi quasi spero che ognuno di noi rimanga positivo, non me la sento di tornare alla vita normale…». Stefano non ha tutti i torti, ormai mi sono abituata e Gigi condivide questo pensiero.
Tre tamponi negativi e realizzo che quella notte avrei dormito sola. Lo ammetto, un po’ ci ho sofferto, però la nostra vita non può limitarsi a quattro mura attraverso le quali non passa uno spiraglio di luce. Siamo quasi in primavera e ammetto che passerei altri dieci giorni con loro in quella tana buia. No, litigo ancora con me stessa, però questa breve convivenza mi ha fatto bene e questa “leggerezza” mi segue ancora.
Riesco addirittura a dormire meglio. Possibile avessi solo bisogno di compagnia e un po’ di sostegno emotivo? Gigi mi diceva di non sentirmi in colpa quando mangiavo e dopo essere uscita da lì ho avuto il coraggio di eliminare il contacalorie dalle mie app. Stefano studiava con me nel silenzio più assoluto. Forse tanti problemi si risolverebbero se passassimo meno tempo da soli.
STEFANO
Inizio con il dire che non so se sia stata una tragedia o una commedia, ma diciamo che sono più per la seconda nonostante la sfortuna. È iniziato tutto così velocemente, ho scoperto di essere positivo al covid dopo aver avuto febbre a 39 e aver patito le peggiori pene dell’inferno nel mio letto.
La mattina in cui ho fatto il tampone dentro di me si teneva un acceso dibattito tra il “ma come faccio a essere positivo se sto sempre attento e quelle poche persone con ho passato le vacanze sono negative” e il “certo che lo sono tanto prima o poi doveva succedere, ho avuto la febbre a 39 come fa a non essere covid”.
Appena saputo di essere positivo sono entrato in una specie di realta parallela. Mi sentivo diverso, in un certo senso ero quasi curioso di sapere cosa si provasse. Nell’arco di un’ora mi sono ritrovato in un monolocale sotto casa di mio zio insieme ai miei due cugini Luigi e Ginevra, risultati positivi poche decine di minuti dono di me. per passare tutti insieme la quarantena.
Io l’ho vissuta in maniera più leggera e scherzosa rispetto agli altri due inquilini, anche perché io voglia di tornare a Roma non ne avevo neanche un po’. Subito iniziai a capire come passare il tempo, non potendo né suonare la chitarra né giocare con una palla o cose del genere ho dovuto arrangiarmi, e comunque ci sono riuscito abbastanza bene anche perché per trovare un po’ di solitudine mi bastava andare sotto le coperte del mio letto e ascoltare un po’ di musica.
Questi giorni sono serviti anche a metterci alla prova, quasi come se dovessimo collaborare per sopravvivere, ognuno aveva il suo ruolo in quella piccola casa. Non mi dilungo molto sulle singole giornate poiché sono state molto monotone, come ci si aspettava, ma, nonostante ciò, non sono mancati momenti divertenti. Ad esempio il fatto che il mio letto era una brandina con un materasso sopra, questa era piegabile, così quel simpaticone di Luigi decise di richiudermi il mio letto. Tutto molto divertente se non per il fatto che ci fossi io dentro. Alla fine ho dovuto solo aspettare che il possente cugino maggiore mi liberasse per tornare a respirare aria e non più i miei piedi. Oppure le svariate lotte tra me e Luigi, che si verificavano spesso la sera, quando la terza inquilina era a farsi la doccia: avendo più spazio a nostra disposizione facevamo scoppiare una rissa che finiva di solito quando mi ritrovavo avvolto in una coperta come un involtino.
Per non parlare poi del contatto che avevamo con l’esterno per, così dire, grazie ai nostri fattorini, in particolare fattorDino, oppure dalla mia ragazza che è passata a salutarci, ma non sempre da persone visto che è capitato più di una volta di svegliarci con il cane, chiamarlo cane è abbastanza riduttivo, di mia cugina e ritrovarcelo dentro casa appena aperta la porta. Tutto ciò si conclude ovviamente il giorno del tampone negativo, in cui come all’inizio una parte sperava nell’esito negativo, ma una piccolissima parte diceva “perché no, perché non farci un’altra settimana così”.
LUIGI
Erano le 11:00, quando mia madre mi chiamò quella mattina dicendomi che mio cugino era risultato positivo al Covid; subito mi precipitai in farmacia per fare il tampone, sperando che fosse “negativo”, ma così non fu. Mentre tornavo a casa pensavo: “Ma perché proprio a me che sono stato sempre attento?”, fatto sta che mi misi nel letto ed iniziai a piangere.
La paura era incessante, avevo il terrore di aver attaccato il virus a mia madre che ha problemi di cuore o a mio padre. Tornata a casa mia madre mi disse di andare da mia cugina in taverna per trascorrere la quarantena tutti e tre insieme.
Le prime ore le passammo a discutere sul fatto che il posto era troppo piccolo per ospitare tre persone, ma la felicità non tardò a tornare, tipo quando il primo giorno Ginevra aveva il sintomo della perdita dell’olfatto, cosa che ci rese così curiosi (sopratutto me) da metterle la testa un un cesto pieno di cipolle e aglio.
Le giornate successive erano abbastanza monotone e dopo solo due giorni, iniziai a perdere la condizione del tempo invertendo il giorno e la notte. Dopo la prima settimana, passata tra risate, scherzi (soprattutto a Tati) e trend di Tik-Tok, iniziai a sentire la mancanza del mio violino e la mancanza di privacy iniziarono piano piano ad opprimermi, tanto da passare molto tempo in bagno (l’unica zona isolata della casa).
Molto spesso capitava di chiudermi in bagno: mi mettevo le cuffie nelle orecchie e ascoltavo brani di musica classica a tutto volume, imitando allo stesso tempo di suonare il violino che avevo lasciato a casa per evitare di trasmettere il virus su di esso. Tutto ciò accadeva più volte nell’arco di una giornata e anche per lunghi periodi di tempo (una volta stetti quasi un’ora), suscitando nei miei cugini preoccupazione, dato che avendo le cuffie non li sentivo. Il repertorio era molto vasto: Tchaikovsky, Vivaldi, Mozart, Gershwin, Bach, Sarasate, Mendelssohn, Dvorák e molti altri. I brani erano lunghi anche fino a 20 minuti però saltavo molti pezzi, ascoltando solo le mie parti preferite. Solo quando essi iniziavano ad urlare ed io a sentirli, finiva il concerto giornaliero. Nonostante il mio malessere, riuscivo ad essere comunque felice: mi bastava pensare alla quarantena come una “vacanza”, anche se pensavo a cosa mi avrebbe aspetto una volta finita la quarantena.
Arrivammo tutti e tre a pensare di voler rimanere in quel mondo, dove bastava telefonare a mio padre per farci portare qualcosa che mancava in casa, ma ovviamente prima o poi tutto ciò sarebbe finito. Tra l’altro avendo già fatto la terza dose io ero l’unico ad avere la possibilità di fare il tampone prima dei miei cugini, ma quando arrivò il giorno decisi di non farmi il tampone, perché sapevo che se fossi risultato negativo avrei lasciato la spensieratezza e la felicità che si viveva all’interno di quella taverna, oltre al fatto che mi sarebbero mancate le nostre “fesserie” tra cugini.
Il giorno del tampone, esattamente 2 settimane dopo il primo tampone positivo, ricordo che appena usciti dalla porta di casa, fui abbagliato dal sole ed ebbi una sensazione di vomito respirando tutta quell’aria; inoltre, mio padre mi disse di dover guidare per andare in farmacia, cosa che mi venne difficile. Arrivammo in farmacia, il tampone uscì negativo, e andammo tutto insieme a fare un pic nic sulla neve.
Abbiamo quindi chiesto a Ginevra, Stefano e Luigi di dirci se e come è cambiata la loro percezione del virus dopo la loro esperienza di malattia e isolamento:
- S: Il covid era paura.
Il covid è stato un ospite inatteso.
Il covid è ancora vivo.
- G: Il covid era un enorme punto interrogativo.
Il covid è stata un’esperienza tragicomica.
Il covid è qualcosa che, dopo due anni, fa ancora paura.
- L: Il Covid era paura, paura di poter attaccare il virus ai miei cari, come mia madre che ha problemi cardiaci.
Il Covid è stato “tragicomico”: nonostante la disperazione iniziale, l’esperienza della quarantena con i miei cugini si rivelò presto una “bella” esperienza.
Il Covid è inaspettato e subdolo, perché potrebbe riadescarci tutti dato il fatto che non potrei rivivere la situazione che ho già vissuto, oltre al fatto che potrei mettere in pericolo le persone a me più care.
Quello che è emerso dalle loro parole scritte e da quelle dette nelle conversazioni che hanno preceduto questo lavoro, è soprattutto la continua dialettica tra disagio e felicità, necessità di privacy e di presenza, staticità ed euforia. La sensazione è quella di una generazione sospesa ed esposta nel quotidiano all’incertezza, che negli ultimi anni di pandemia ha perso tanto a causa venir meno della familiarità e giocosità dello stare insieme, della sospensione della scuola che è anche educazione all’affettività e alla convivenza. Tuttavia, c’è chi è stato in grado di ritagliare e vivere momenti di un’assurda quotidianità e trovare in questi conforto. Non per tutti, però, è così. Più che mai oggi è importate la prevenzione della sofferenza psichica nei giovani, ma forse ancora prima l’attenzione ai figli, se si è genitori, o semplicemente all’altro se si è amici o famigliari.
La storia di Ginevra, Luigi e Stefano è una storia tra le tante, ma proprio per questo è la storia di molti o una versione, forse particolarmente felice, di questa. I tre cugini hanno affrontato i disagi pratici ed esistenziali di una convivenza forzata in uno spazio limitato, ma hanno a posteriori saputo costruire la loro narrazione di uscita, orientando il loro vissuto e il suo racconto verso un futuro che si augura loro più luminoso.