Un contributo di Daniela Alampi, ricercatrice in Anestesia e Terapia Intensiva
È seduta al buio nella stanza del medico di guardia. Daniela, anestesista rianimatore, il suo turno è già finito da un’ora, ma deve aspettare il risultato dell’esame sul paziente che le ha impegnato tutto il pomeriggio, Carlo. Lei ha due bambini, non vuole tornare a casa con l’incertezza.
COVID-19, sembra il titolo di un film di fantascienza, invece è il minuscolo mostro che ha scatenato il panico in tutto il paese. E anche lei, nonostante la scienza e l’evidenza, ha ceduto alla paura.
Quella mattina se lo sentiva, siamo a Roma, una metropoli, impossibile sfuggire alla nuova malattia. Soprattutto per chi deve affrontare in prima persona, per lavoro, le malattie respiratorie. Così quando il collega del pronto soccorso l’ha chiamata per una insufficienza respiratoria grave si è gelata. Un duello intimo fra il medico e la madre.
Non ci sono nemmeno le mascherine adatte al pronto soccorso, la psicosi collettiva ne ha spazzato via le scorte. Ha preso tempo, ha guardato le immagini radiografiche, ha chiesto consiglio cercando conforto, per trovare il coraggio di andare. Si è affacciata sul lungo budello che chiamano holding, il solito scenario di barelle affastellate, persone sdraiate o in piedi, lo stesso sguardo perso, in cerca di aiuto.
Il paziente per cui hanno richiesto il suo intervento sta su un lettino in disparte, il fiato corto, il colorito scuro della mancanza di ossigeno. Daniela sa che non potrà trattenere il suo di respiro, deve andare. In bilico fra il suo dovere e il senso di protezione materno, indossa i presidi inadatti e si avvicina.
Un uomo anziano che a fatica racconta la sua storia. È in pensione, esce di casa solo per andare a fare la spesa, è da solo. Due giorni prima la febbre, la tosse, l’affanno. L’inevitabile corsa all’ospedale. Il colore e l’ansimare anonimi diventano Carlo. Lo ascolta e mentre lui parla lei dimentica dove si trova, la confusione, lo stress aggiuntivo della nuova peste.
Riprende a respirare, gli parla, spiega quello che dovrà fare per cercare di aiutarlo. Carlo assente con la testa, troppo provato per parlare ancora. Lei lo intuba e lo accompagna nel reparto di terapia intensiva.
Sono passate due ore, Carlo sta in isolamento, Daniela in auto quarantena. Aspetta al buio. Il cercapersone squilla, è il laboratorio, l’esito dell’esame è negativo. Guarda fuori dalla finestra, c’è la luna, sembra più tonda e luminosa.
Può tornare a casa.