Chiedo scusa per l’abuso di parentesi e ripetizioni nel titolo. C’è un motivo ben preciso per questa scelta, che mi auguro risulti chiaro al termine dell’articolo…
Allora, partiamo dall’ovvio, o meglio dall’evidente: il Covid ci ha scombussolato l’esistenza pressoché a tutti i livelli e irreversibilmente. Al di là degli aspetti emergenziali, che stiamo ancora oggi gestendo (non senza difficoltà), ormai abbiamo capito che quando la bufera sarà passata le nostre vite non torneranno ad essere quelle del 2019. Al di là del bene e del male. Ci vorrà del tempo per metabolizzare e razionalizzare i tanti cambiamenti e dovremo farci una ragione anche di quelli meno comodi o piacevoli. Ad esempio, molti di noi hanno realizzato il definitivo abbattimento della (già sottile) barriera fra vita lavorativa e vita privata. Gli spazi e i tempi si sono completamente mescolati e come ben sappiamo gli esperimenti forzati di smart working (termine spesso usato a sproposito) hanno dato risultati altalenanti. Nondimeno, in tantissimi hanno ormai preso l’abitudine (buona o cattiva?) di lavorare da casa e le aziende si sono rese conto che, come diceva Gene Wilder in Frankenstein Junior, SI… PUÒ… FARE! Questo non significa che gli uffici verranno dismessi e le sedi abbandonate ma all’orizzonte, per chi occupa ruoli che lo consentono, si prospettano settimane fatte di 2/3 giorni su cinque gestiti a distanza, con un equilibrio tutto da inventare.
Un cambiamento più sottile e profondo, che ognuno sta digerendo a modo suo, riguarda invece il concetto di Salute. La pandemia ci ha messo davanti agli occhi due semplicissime verità, che le società occidentali o occidentalizzate non gradiscono e cercano quindi di tenere nello sgabuzzino: non siamo immortali né onnipotenti. Tutto il contrario, siamo creature piuttosto fragili e la nostra sopravvivenza su questo pianeta (inter)dipende da un’infinità di fattori che è folle illudersi di poter controllare (e nei confronti dei quali un po’ più di rispetto non guasterebbe). In Italia per di più abbiamo sbattuto il muso contro i limiti di un sistema sanitario che non era pronto a reggere l’onda d’urto amplificata peraltro dalle caratteristiche demografiche particolarmente sfavorevoli del nostro Paese. Morale della favola: ci siamo resi dolorosamente conto di quanto sia importante fare prevenzione, non solo attraverso scelte istituzionali e progetti politici, ma anche e forse soprattutto con le piccole abitudini quotidiane individuali. Quindi, detta magari in modo rozzo: se la vita è una e del doman (ma anche del dottor) non v’è certezza, la cura della propria salute non può più essere totalmente delegata a degli esperti da attivare quando qualche pezzo si rompe, ma va coltivata quotidianamente con stili di vita adeguati. Non solo: non può nemmeno più essere considerata anche solo parzialmente sacrificabile in cambio di uno stipendio; va piuttosto cercata (e possibilmente trovata!) anche sul ‘luogo’ di lavoro, qualunque esso sia. Tant’è vero che, come dimostrano chiaramente la ricerche sugli Human Capital Trends del 2021, l’aumento delle aspettative e delle richieste di wellbeing da parte dei dipendenti è uno dei temi chiave con i quali le funzioni HR di moltissime aziende (soprattutto grandi ma anche piccole e medie) si stanno confrontando.
Ecco allora che si delinea uno scenario prossimo futuro in cui l’attenzione al ben-essere fa convergere l’interesse delle persone e quello delle organizzazioni, a ulteriore conferma del superamento del tradizionale confine fra dimensione privata e professionale. Co-creare ambienti (più o meno condivisi fisicamente) all’interno dei quali gli individui sentono rispettati e tutelati i loro bisogni di integrità fisica, emotiva e psicologica adoperandosi a loro volta per soddisfarli diventa non solo possibile ma addirittura compatibile con le esigenze di sostenibilità e sviluppo dell’impresa. Se infatti, come è stato fin dai loro albori, le società industriali continueranno a spingere verso livelli sempre più diffusi e pervasivi di automazione, agli esseri umani resterà il presidio di quelle dimensioni che una macchina o un’intelligenza artificiale non riescono e forse non possono riprodurre con la stessa efficacia, ovvero creatività, passione e relazioni (profondamente interconnesse fra loro!). E affinché queste nostre peculiari potenzialità possano essere sprigionate al meglio, generando un vero valore aggiunto per l’organizzazione di cui facciamo parte, abbiamo bisogno di sentirci al sicuro (cioè non minacciati o in pericolo), rispettati e riconosciuti. Tutto ciò ci dice 2 cose:
- che molto probabilmente le aziende in grado di innescare un dialogo fertile fra sviluppo del business e cura delle persone si garantiranno quella ‘solida adattabilità’ necessaria per navigare in tempi e mercati liquidi e burrascosi come quelli che ci attendono;
- che la costruzione di questo dialogo dipende dal contributo di tutti gli attori in gioco, indipendentemente dal ruolo interpretato, a partire dalla consapevolezza che i primi responsabili del nostro ben-essere (dentro e fuori dal gioco) siamo noi stessi.