Sono responsabile dell’area sanità e salute di ISTUD ed esperta di ricerca narrativa.
Come l’AI può essere applicata alla ricerca narrativa?
Nel mondo della ricerca narrativa, l’Intelligenza Artificiale (AI) sta aprendo nuove strade, rendendo il nostro lavoro sempre più efficiente e innovativo. Noi di ISTUD, per esempio, utilizziamo MAXQDA, un software all’avanguardia per l’analisi dei dati qualitativi. Durante il congresso di Berlino di quest’anno, organizzato da Verbi Software (l’azienda dietro MAXQDA), è stato presentato l’AI Assistant, una novità che promette di trasformare il nostro modo di lavorare.
L’AI integrata in MAXQDA offre due principali funzionalità: la trascrizione automatica degli audio in testi e l’assistenza nella ricerca, fornendo suggerimenti e spunti direttamente dalle analisi in corso. Questo assistente virtuale, che incorpora alcune capacità di chatGPT, aiuta i ricercatori a risparmiare tempo e a lavorare con una grande mole di dati.
Tuttavia, non mancano le sfide. Una delle principali preoccupazioni è la privacy. L’AI Assistant salva i testi in un database interno per un massimo di 60 giorni, il che solleva interrogativi sulla gestione dei dati sensibili. In ISTUD trattiamo narrazioni di malattia, e finché non saremo sicuri della gestione della privacy, preferiamo non utilizzare questa funzionalità.
È importante sottolineare che, nonostante l’AI Assistant possa fornire validi suggerimenti, non può sostituire completamente l’occhio umano. I ricercatori devono confrontare le informazioni e i dati disponibili, mantenendo un ruolo centrale nel processo analitico. Inoltre, l’AI può essere influenzata dai bias presenti nei dati di partenza, come bias culturali, razziali e di genere.
Ad esempio ci accorgiamo dei bias quando utilizziamo l’AI per creare immagini per i nostri progetti: spesso emergono stereotipi, come la rappresentazione del medico maschio con lo stetoscopio in mano. Questo dimostra che l’AI riflette i pregiudizi presenti nei dati su cui è stata addestrata.
Recentemente, è stata sviluppata un’AI italiana basata su dati dell’Unione Europea, progettata per rispecchiare la cultura europea nelle sue risposte. Questo mi fa pensare che in futuro avremo molte intelligenze artificiali, ciascuna specializzata in dati di specifiche regioni, culture o politiche. Di conseguenza, sarà fondamentale sviluppare un forte senso critico per utilizzare queste tecnologie in modo consapevole e informato.
In conclusione, l’Intelligenza Artificiale sta cambiando il panorama della ricerca narrativa, offrendo strumenti potenti ma richiedendo anche una gestione attenta e consapevole da parte dei ricercatori. Con il giusto equilibrio, l’AI può diventare un alleato prezioso, aiutandoci a esplorare nuove frontiere della conoscenza.
Ma nel quotidiano l’AI sta facilitando il vostro lavoro?
L’Intelligenza Artificiale sta facilitando il nostro lavoro quotidiano, anche se rappresenta in ogni caso uno strumento in più da apprendere. Strumenti come quelli per la creazione di immagini, che prima avremmo dovuto reperire da database gratuiti, e chatGPT, che utilizziamo per la revisione delle mail o per ottenere sommari su varie tematiche, ci aiutano a velocizzare molte delle nostre attività.
Utilizziamo spesso chatGPT come fonte di informazione supplementare per la ricerca. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli delle sue limitazioni: chatGPT non esegue un’analisi completa della letteratura e spesso non cita le fonti o i dati da cui trae le informazioni. Questo può limitare la sua utilità in contesti dove è necessaria una rigorosa verifica delle fonti.
Esistono software di AI più specifici per attività come la scrittura di articoli scientifici, ma finora non li abbiamo utilizzati. Questi strumenti potrebbero offrire vantaggi significativi, ma è fondamentale che l’essere umano mantenga un ruolo critico nella valutazione dei risultati prodotti dall’AI.
Infatti, il giudizio umano rimane insostituibile. La tecnologia può accelerare molti processi, ma l’interpretazione, la valutazione critica e l’applicazione contestuale delle informazioni richiedono sempre l’intervento di un ricercatore esperto.
È fondamentale per voi l’utilizzo dell’AI?
Per noi non è fondamentale e l’utilizzo che ne facciamo è ancora ristretto. Ha delle potenzialità per essere un valido aiuto per velocizzare alcuni tasks che al momento, soprattutto per motivi di privacy, si applicano poco. Un conto è lavorare su dati già presenti online, cioè in open access e un conto è farlo con narrazioni anonime di pazienti, familiari e medici che sono coperte da privacy perché molto sensibili. Tuttavia, credo che sia qualcosa da monitorare e da iniziare a prendere in considerazione perché in un futuro potrebbe assumere ruoli maggiori.
Prima parlavamo di privacy, e mi chiedo se l’utilizzo dell’AI possa in qualche modo complicare il vostro lavoro?
Nei nostri progetti, il rispetto delle normative GDPR è fondamentale. Questi regolamenti europei sulla privacy richiedono che, se alcuni dati vengono archiviati su server fuori dall’Europa, ciò debba essere dichiarato ai partecipanti dei progetti di narrazioni. Questo complica le cose, perché è sempre necessario comunicare ai partecipanti tutti i vincoli e le modalità di gestione dei dati. In alcuni casi, queste restrizioni sono talmente limitanti da impedirci di inserire dati online.
Inoltre, le persone che partecipano ai nostri progetti, raccontando le loro narrazioni, lo fanno in anonimato. Questo è un aspetto su cui puntiamo molto, poiché l’anonimato offre ai partecipanti la possibilità di raccontarsi in modo più libero e sincero. Tuttavia, per alcuni, sapere che la loro storia sarà registrata da un’AI potrebbe non essere rassicurante e potrebbe ostacolare la loro disponibilità a condividere.
Vuole aggiungere altro?
In questo momento l’AI è un supporto. La utilizziamo noi nella ricerca ancora poco per motivi di privacy e di più in altri aspetti. Dobbiamo incominciare a capirla e a conoscerla perché gli sviluppi sono veloci. Sono scettica sul pensare che sostituirà l’uomo in lavori complessi o creativi perché vedo anche che la maggior parte delle aziende che utilizzano l’AI sono molto scrupolose. A livello di formazione è utile insegnare alle nuove generazioni come utilizzare l’AI ma sempre con pensiero critico.
Per quanto riguarda la creatività l’AI potrà sostituire l’uomo?
Non penso che l’AI possa sostituire completamente la creatività umana. Un esempio pratico viene dal programma di grafica che utilizzo. È fondamentale capire come formulare le domande all’AI, poiché il risultato varia notevolmente a seconda di come viene impostata la richiesta. L’AI necessita di molti spunti per produrre un feedback di qualità, poiché non è capace di essere minimalista. Più gli chiedi qualcosa di semplice, più per lui diventa un’impresa. A mio parere, in futuro ci saranno specialisti dedicati a formulare le giuste domande all’AI. Ad esempio, per generare immagini, mi è capitato di dover richiedere un output fino a trenta volte. Invece, avere nel team un grafico professionista aumenta le possibilità di ottenere l’immagine giusta al primo tentativo. La difficoltà principale dell’AI nel soddisfare le aspettative umane risiede nel fatto che spesso i risultati prodotti tendono ad essere mainstream e non riescono a catturare l’unicità e la specificità richieste in un progetto creativo. La creatività umana, con la sua capacità di intuizione, interpretazione e innovazione, resta insostituibile in molti ambiti.
In sintesi, mentre l’AI può essere uno strumento potente e utile, la creatività umana mantiene un valore unico e insostituibile. La capacità di un professionista di cogliere sfumature, emozioni e dettagli specifici, soprattutto in contesti non convenzionali, è qualcosa che l’AI, al momento, non può replicare completamente. La collaborazione tra AI e creatività umana anche nella ricerca può portare a risultati straordinari, ma è improbabile che l’AI possa sostituire completamente l’ingegno umano.