L’ESPERIENZA DEL PROGETTO GULLIVER – INTERVISTA A TALIA GRAMICCIA, EX MEDICAL AFFAIRS MANAGER, E FEDERICO SAIBENE MEDICAL AFFAIRS MANAGER DELL’AZIENDA JOHNSON & JOHNSON.

Talia Gramiccia: Sono una dermatologa e quando, nel 2019, è partito il progetto GULLIVER ricoprivo il ruolo di medical affairs manager nell’azienda Johnson & Johnson. Successivamente questo ruolo è stato attribuito a Federico che è entrato in azienda in un secondo momento tuttavia io ho continuato a partecipare allo studio perché serviva una persona che fosse stata presente fin dall’inizio per avere una memoria “storica” e un riferimento riguardo ai motivi e agli obiettivi che si volevano raggiungere. Le persone affette da psoriasi che hanno partecipato a questo progetto erano anche dei miei pazienti, quindi avuto modo di conoscerli sia dal punto di vista aziendale che medico.

Federico Saibene: Io mi sono laureato in medicina e per vari motivi mi sono affacciato al mondo delle aziende. Anche io ho avuto modo di conoscere queste persone e capire le loro frustrazioni e la loro ricerca continua di una soluzione alla loro problematica.

Perché l’azienda Johnson & Johnson ha voluto investire in studi di medicina narrativa?

Talia Gramiccia: lo studio va a indagare in real life l’efficacia di uno specifico trattamento su una tipologia di pazienti affetti da psoriasi localizzata al viso e ai genitali. In letteratura c’erano poche evidenze su queste specifiche localizzazioni e su come questa malattia veniva trattata. Le zone interessate, in questo caso, creano un forte disagio nei pazienti perchè vanno a intaccare la loro sfera personale.

Noi avevamo bisogno di indagare come questa malattia localizzata in queste determinate zone avesse impattato nella vita delle persone in maniera approfondita ma i questionari di cui noi eravamo a conoscenza erano a domande chiuse e molto generali quindi non potevamo con questi mezzi arrivare al nocciolo della questione.

La medicina narrativa, invece, è una modalità che consente al paziente di esprimersi e raccontarsi attraverso domande più mirate e stimolanti. Avevamo capito che la chiave per svoltare e progredire nella ricerca era indagare il vissuto e il percepito delle persone e le domande permettevano di capire il suo rapporto con la malattia, con la terapia, con le terapie precedenti e il rapporto con la famiglia e con il medico.

Federico Saibene: Istud ha una metodologia chiara che ci permette di avere uno standard e di portare un dato di valore. Credo molto nella medicina narrativa perché permette di portare alla luce il vissuto, il percepito, le speranze delle persone e le loro aspettative. Inoltre, questo studio ci serve anche per capire il rapporto che il paziente ha con il medico, quali sono le necessità del paziente e come quest’ultimo può essere più attivo nel dialogo.

Quali sono stati i vantaggi di investire in progetti di ricerca in tale ambito e come l’azienda utilizza gli studi di medicina narrativa.

Talia Gramiccia: il vantaggio è stato quello di capire il paziente e le sue esigenze. Le aziende farmaceutiche hanno come stakeholder principale il medico, noi aziende non possiamo interagire direttamente con i pazienti ma con le associazioni. Ma ci rendiamo conto che sono due attori principali, quindi il vantaggio è di riuscire a conoscere bene sia i nostri medici che i nostri pazienti. Utilizziamo il termine “nostri” perché sentiamo una responsabilità verso entrambi.

La medicina narrativa ci permette di capire meglio quali sono i need e i gap da colmare. Questa è stata la prima volta che la dermatologia e la immunologia hanno utilizzato la medicina narrativa e per noi si è aperto un mondo, infatti abbiamo intenzione di sfruttare al massimo quello che è emerso da questo studio. Al momento a livello pratico abbiamo fatto delle pubblicazioni ma sicuramente ci sono altre cose che possiamo fare.

Federico Saibene: Noi siamo un’azienda che produce farmaci perché è il nostro business ma con un obiettivo preciso cioè far star meglio i pazienti.

Cosa c’è di più etico che ascoltare il paziente che è lo stakeholder finale, la persona che riceve il farmaco, che ha delle aspettative anche su quali risultati aspettarsi da questo trattamento. Spesso quello che ci aspettiamo noi come risultato non è quello che si aspettano i pazienti. In una mia esperienza passata, ad esempio, i pazienti dicevano: noi vogliamo vivere il tempo che abbiamo a disposizione al meglio non vogliamo vivere più a lungo.

Che cosa è emerso dal progetto GULLIVER che volete ricordare e sottolineare?

Federico Saibene: lo stigma sociale ad essa ancora legata. La maggior parte della popolazione non sa se è infettiva, trasmissibile, contagiosa, potrebbero ancora pensare vedendole: “come mai ha queste manifestazioni” oppure” cosa ha fatto per averle” o ancora “è una persona che sta morendo?” e così via. Queste localizzazioni sono molto visibili e possono gravemente influenzare la sfera sociale e comportamentale delle persone.

Un altro tema è la responsabilità del medico verso il paziente. È necessario trovare una metodologia che permetta al medico di essere più presente durante le visite e educare di più il paziente sulla sua malattia in modo che sia un paziente più attivo. I medici sono oberati e in pochi quindi si scontrano, per forza di cose, con i limiti pratici e quotidiani che non sempre possono superare. Bisognerebbe trovare un modo che permetta ai medici di informare attraverso altre strategie che fungono da mediazione.

Talia Gramiccia: Abbiamo visto che c’è ignoranza da parte del paziente sulla malattia, non hanno chiare le cause e le conseguenze della malattia e dobbiamo ancora lavorare su progetti di disease awareness. L o abbiamo capito dalle risposte dei pazienti alle domande dello studio Gulliver. Questi pazienti sentono ancora tantissimo il disagio della malattia e lo abbiamo capito anche perchè hanno utilizzato parole molto forti per descrivere la malattia e questo ci fa capire quanto impatta sulla loro psiche. Dalle stesse risposte che ci hanno fornito abbiamo compreso anche che il rapporto medico – paziente è fondamentale e altrettanto impattante. In qualche modo, dobbiamo aiutare anche il medico nel rapporto con il paziente dando, ad esempio come diceva Federico, del materiale informativo al medico da fornire al paziente. Queste sono tutte idee che sono arrivate dai risultati della medicina narrativa e che proveremo a mettere in pratica nel futuro. Abbiamo capito che ci sono ancora dei gap da colmare da questo punto di vista.

Quali suggerimenti dareste a chi si occupa di medicina narrativa per diffondere al meglio questa metodologia?

Talia Gramiccia: la medicina narrativa si basa sulla scrittura ma noi ci raccontiamo meglio parlando quindi si potrebbe provare a far raccontare le persone a voce e non attraverso la scrittura. Non tutti, infatti, sono abili a raccontarsi scrivendo e non tutti scrivono esattamente quello che provano, invece con la parola e la gestualità potrebbe essere più facile e il metodo potrebbe essere ancora più inclusivo. In un secondo momento si potrebbero utilizzare canali istituzionali o i social per diffondere i risultati della medicina narrativa e per spiegare come l’azienda li applicherà.

Si potrebbe chiedere alle aziende, con cui si collabora, il link cioè capire come hanno sfruttato questi risultati nei loro business plan e progetti e diffonderlo all’esterno perché sicuramente invoglierebbe altre aziende a investire in questa metodologia.

Altro consiglio potrebbe essere quello di andare direttamente nelle aziende e divulgare la medicina narrativa; io, ad esempio, sono venuta a conoscenza di questa metodologia perché era stato utilizzato in un altro studio.

Federico Saibene: La medicina narrativa è qualcosa di estremamente codificato e qualcosa di concreto che sempre di più sta diventando un mezzo qualificato per studiare le malattie i pazienti i trattamenti e il percorso terapeutico dei pazienti.

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