Cancer Contribution è un’associazione che raggruppa gli attori del mondo oncologico (pazienti, medici, esponenti del mondo politico e associativo, cittadini); il suo scopo è proporre delle piste di riflessione e delle soluzioni per migliorare il sistema sanitario. TemA Cancer (Témoigner pour Améliorer la prise en charge du Cancer) è uno studio realizzato nel 2015, con l’obiettivo di migliorare la presa in carico dei pazienti oncologici. Ospitiamo un’intervista a Silvia Rossi, ricercatrice presso l’Università di Paris Ouest – Nanterre, nostra ospite al Master di Medicina Narrativa Applicata.
D. Quali sono stati gli obiettivi del progetto TemA Cancer?
SR. Il progetto è nato da una constatazione: le disuguaglianze sociali e territoriali sono ancora sensibili e visibili nel percorso di cura dei pazienti oncologici. Come ridurre queste disuguaglianze e, in generale, come migliorare il percorso di cura? Per rispondere a queste domande siamo partiti dall’esperienza diretta dei pazienti e dei loro familiari. I risultati dello studio TemA Cancer sono stati integrati direttamente nel piano strategico dell’Agence Régionale de Santé Ile-de-France, che fa della riduzione delle disuguaglianze nella cura del cancro una delle sue priorità.
D. Quali sono stati i metodi di raccolta?
SR. Tramite il sito Cancer Contribution abbiamo rivolto un invito a pazienti e familiari a condividere le loro storie. Abbiamo suggerito una traccia e proposto alcune domande, ma il contributo è stato lasciato libero: in questo modo hanno preso la parola gli “esperti per esperienza”; ognuno ha potuto raccontare i momenti per lui più importanti, evidenziare le situazioni critiche, ma anche condividere delle riflessioni, proporre dei miglioramenti.
D. Quali criticità emergono dalle testimonianze raccolte?
SR. Sono stati evidenziati diversi punti, a seconda delle fasi del percorso di cura; per esempio, prima di arrivare alla diagnosi, diverse testimonianze hanno sottolineato un’importante erranza diagnostica, soprattutto per quanto riguarda i pazienti più giovani. Nel corso dei trattamenti, invece, è emersa la necessità di un miglior coordinamento tra gli atti fatti in ospedale e quelli a domicilio; un altro punto che le testimonianze mettono in luce, riguarda l’accompagnamento durante la malattia: che si tratti di sostegno psicologico, per il malato o per i familiari, o di cure di supporto, dalla kinesiterapia all’estetica oncologica, l’offerta di queste forme di supporto non è sempre adeguata o non è comunicata. Un altro elemento fondamentale è l’impatto economico della malattia: durante i trattamenti il paziente può trovarsi a dover anticipare delle spese, o a far fronte ad onorari più elevati di quelli rimborsati dal sistema sanitario. Nelle fasi che seguono i trattamenti, invece, sono messe in primo piano le difficoltà che riguardano il lavoro: ritrovarlo, ricominciarlo, chiedere un part-time, raccontare o no della propria malattia… è un soggetto interessante: c’è una vita dopo il cancro, ma qual è il posto dell’ex malato? I pazienti chiedono che la fine del percorso di cura sia meglio inquadrata e di non essere “abbandonati” dopo la fine dei trattamenti: è una delle piste di riflessione che merita più attenzione.
D. Quali sono le buone pratiche da valorizzare?
SR. La comunicazione tra medico e paziente è al primo posto: il paziente manifesta spesso un desiderio di essere informato, di essere attore del suo percorso di cura, e non “passivo”. Quando lo scambio è di buona qualità, vi è un riconoscimento esplicito: spesso la definizione di un “buon percorso di cura” corrisponde al fatto di sentirsi “ascoltati, protetti”.
D. Attraverso quali metafore vengono narrati il cancro e il percorso di cura?
SR. Diverse tappe del percorso di cura evocano diverse metafore; nelle narrazioni di cancro, l’annuncio è un momento fondamentale, che corrisponde a una catastrofe: è uno “tsunami”, è il cielo che è “caduto sulla testa”. Durante i trattamenti, invece, i pazienti segnalano la loro sensazione di spersonalizzazione: si sentono ‘”un numero”, un “oggetto di studio”, oppure hanno l’impressione di essere infantilizzati e subordinati alle informazioni che solo i medici hanno, come un alunno che deve stare zitto e obbedire “a chi sa”: cosa che ci riporta direttamente all’importanza di una buona comunicazione con i medici. E poi naturalmente, vi è la metafora-cliché della guerra, che ritroviamo con grande frequenza: sono soprattutto i familiari ad evocarla, a raccontare la “difficile battaglia” contro il “nemico” e il “combattimento eroico”. Anche i pazienti usano questo linguaggio, ma emergono anche altre metafore; un “cammino”, un “viaggio”, “un’avventura” in un paese straniero: il loro racconto è allora una “saga”. Un linguaggio che corrisponde alla necessità di non limitare l’”evento cancro” a una parentesi chiusa, a una battaglia finita, ma di includerlo in un percorso di vita.