Palermo, 7 Marzo 2020, pronti a partire con un progetto sperimentale “Pharmakon, l’arte che cura” in collaborazione con il Museo Civico di Castelbuono, l’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica, l’ospedale Buccheri La Ferla, e tanti sostegni e patrocini, tra cui la fondazione Istud, e la Simen (società italiana di medicina narrativa).
Si trattava di un progetto nato in collaborazione con la dottoressa Monica Sapio, anestesista e terapista del dolore del Buccheri La Ferla di Palermo, con un master in medicina narrativa, che da anni si occupa di fibromialgia, con modalità all’avanguardia tra cui un approccio narrativo e vicino alla Pnei.
Partecipando ai convegni di AISF, avevo percepito una difficoltà dei medici all’approccio alla patologia secondo un metodo tradizionale, disciplinare e riduzionista.
La sindrome fibromialgica ha una sintomatologia multisistemica; una eziopatogenesi non nota; necessita di una terapia multimodale, che comporta una interazione tra diversi sistemi che difficilmente possono essere valutati in un ambito tradizionale.
Con la dottoressa Sapio, abbiamo elaborato grazie ai miei studi sull’arte e sui sistemi complessi una metodologia transdisciplinare (TrDip) messa in atto con l’ausilio della medicina narrativa e la costruzione di una metafora che potesse aiutare la sintesi delle diverse discipline in una visione unitaria, complessa, centrata sulla storia del paziente, che fosse utilizzabile poi da tutti i medici. Il passo successivo, fu la costruzione di un percorso che potesse utilizzare la mediazione dell’arte, nella convinzione che L’arte in quanto linguaggio simbolico per sua intrinseca natura transdisciplinare, può aiutare ad integrare i diversi sistemi complessi che entrano in campo nella sindrome fibromialgica, connettendoli in una unica visione unitaria, che ne può semplificare e migliorare l’approccio diagnostico, la relazione terapeutica, e quindi la cura.
Ispirate dall’attività di Stephen Legari, art terapist al Museo di Belle Arti di Montreal, con cui abbiamo condiviso la nostra esperienza, abbiamo elaborato un progetto di visite museali, con gruppi di medici e pazienti, seguito da un confronto con la medicina narrativa. Con lo scopo di:
- Fornire ai pazienti degli strumenti di autoconsapevolezza
- Fornire al medico uno strumento a supporto al processo diagnostico
- Favorire un miglioramento della relazione medico-paziente
- Dare supporto per l’elaborazione di una terapia integrata
- Verificare l’utilità del metodo per un approccio transdisciplinare alla cura
- Determinare un cambiamento del quadro patologico attraverso una esperienza artistica trasformativa
Si trattava di un’esperienza breve, in cui si sarebbero alternati gruppi di pazienti e di medici diversi, per un giorno soltanto, ma mi piaceva pensarlo come un piccolo seme (potenzialmente) generativo. Tuttavia, il giorno prima della prima visita al museo, il decreto impose le misure di distanziamento, che rendono impossibile il lavoro.
Dopo i primi mesi di sconforto, attesa e preoccupazione per l’evolversi della situazione, l’idea dei pazienti abbandonati in casa, dato che tutti gli ambulatori a cui normalmente afferivano i pazienti fibromialgici erano sospesi per dare spazio alle urgenze, ci ha spinte a riformulare il tutto, per una fruizione on line a distanza. Non è stato facile ricostruire i criteri e inventare una modalità che potesse superare la distanza e la freddezza di un incontro digitale, per creare la vicinanza, la condivisione emozionale necessaria per un lavoro di questo tipo.
La soluzione è venuta dall’idea di realizzare un prodotto audiovideo, incentrato non solo sull’opera museale ma che utilizzasse l’opera inserendola in un ambiente sonoro e cinematografico fortemente coinvolgente, che potesse creare un‘esperienza del sublime, che dagli studi di Semir Zeiki (fondatore della neuro-estetica), attiva aree corticali più profonde rispetto al bello. Secondo Zeki il sublime determina un’esperienza con un contenuto cognitivo oltre che emotivo. Per questo motivo abbiamo pensato che l’esperienza del sublime potesse diventare, anche a distanza, un’esperienza artistica trasformativa.
Abbiamo così riformulato il progetto: dopo la visione del prodotto audio-video e una “narrazione guidata” da parte dei pazienti, sarebbe avvenuto un confronto con i medici, partendo dal racconto di ogni paziente, su cui tutti si sarebbero confrontati, guidati da me come artista, dalla dr.ssa Sapio come medico esperto in medicina narrativa, dalla dr.ssa G. Cassarà come medico PNEI/psicoterapeuta, che partecipavamo attivamente al confronto.
Il lavoro è diventato inoltre uno studio prospettico osservazionale, che alla fine avrà coinvolto complessivamente centotrentacinque pazienti, e circa 70 medici (partecipanti solo ad arte che cura) dove sono stati inseriti tre laboratori trasformativi attraverso l’arte, come tre bracci di ricerca: “arte che cura”, “terapia dell’umorismo” con il Dr. Yoga Patti, e “ricalibrarsi”, laboratorio di scrittura poetica e narrativa trasformativa, con i maestri L.Cupane e G.D’Amato. Due bracci di ricerca sono stati già conclusi e i dati finali saranno analizzati e resi noti a breve.
Questa modalità laboratoriale on-line ci ha dato modo di coinvolgere e creare relazioni con pazienti e medici di tutta Italia.
Durante “arte che cura” abbiamo utilizzato strumenti del tutto nuovi come la “bionarrazione poetica”, proposta come nuovo strumento che potesse permettere ai pazienti una visione condivisa della propria storia di malattia, sintetica e orientata al cambiamento, e ai medici uno strumento condiviso per elaborare la proposta terapeutica.
Il riscontro più entusiasmante è stato il vedere come, nonostante la distanza e l’incontro tra persone sconosciute, la fruizione da parte di tutti dell’esperienza artistica del sublime, così strutturata, sia riuscita a creare un clima di forte apertura e condivisione di profonde emozioni, tra tutti i pazienti e con i medici.
Ciò ha permesso a molti pazienti di mettere in atto dei piccoli cambiamenti già in brevissimo tempo. Abbiamo evidenziato come per i medici sia stato più difficoltoso aprirsi ad una metodologia così diversa, anche se molti di loro hanno comunque accettato la sfida decidendo di mettersi in gioco e hanno utilizzato il nuovo strumento della “bionarrazione poetica”, lasciandosi anche guidare dai pazienti, che hanno incontrato poi dopo nei loro studi.
È stata un’occasione meravigliosa, che ci ha permesso di creare legami, tra pazienti di città diverse, tra medici e pazienti, (legami che stanno continuando anche dopo l’esperienza) anche in un periodo così difficile, e di grande isolamento come è stato l’anno passato.
A settembre riprenderemo gli incontri, e cominceremo a valutare i dati, ma la percezione che abbiamo avuto, e il riscontro che le persone ci hanno rimandato, è stato entusiasmante, tanto da spingerci a pensare di sviluppare questa modalità di approccio telematico, che permette di superare distanze, integrandolo con attività in presenza locali.
A presto anche i risultati scientifici dello studio.
Alcune opere della collezione permanente del Museo Civico di Castelbuono e del Museo Regionale Palazzo Belmonte Riso di Palermo, utilizzate nel supporto audiovideo.