Project Work realizzato nell’ambito del Master in Medicina Narrativa Applicata Ed.XII
di Mariel Vespa, arte terapeuta
Nel mio eterno e costante vagolare in ricerca di simboli per creare ponti, incontro la Medicina Narrativa.
Nel mio zaino ho alcuni attrezzi che dialogano – filosofia ed arte terapia, ma anche servizio educativo di strada notturno, volontariato ed attivismo – e possono arricchirsi, sempre. In sostanza: tradurre l’emozione in immagine, tradurre l’immagine in parola, narrare con parole simbolo. Condividere gesti scientemente psicomagici.
Sempre ai margini, dove c’è il numinoso: il mercuriale stato soggettivo ed oggettivo del sacro. Lì c’è un incontro possibile tra i totem (magari legati ad eros) ed i tabù (quasi sempre legati a thanatos). Potrà sembrare irriverente o macabro, ma ogni volta in cui visito una città, vado a vedere il cimitero. Ogni volta che vado in un locale che non conosco, esploro il bagno. Credo entrambi siano ottimi indicatori della cultura del luogo.
Lo scorso anno, viene a mancare il patner di un mio maestro di teatro. Ci incontriamo presso la camera ardente dell’ospedale. Porto una confezione di bolle di sapone. Dopo i saluti ai parenti, ed una sigaretta, il vedovo sorride e, con un cenno del capo, dice: “Torniamo dentro, andiamo a fare le bolle di sapone!”.
Porto sempre bolle di sapone quando la situazione è pesante. Regalano spesso un sorriso, ma a volte vengono rifiutate bruscamente.
Ho in mente molti episodi in cui la negazione di fronte all’inevitabile ha prevalso. E’ un’esigenza di economia psichica, una convenzione euristica, una scorciatoia spesso necessaria, ma non mi pare paghi granché. Ogni volta in cui ho attraversato quell’Ombra, invece, mi sembra di avere acquisito un elemento vitale in più. Penso ad E., R., J., al mio volontariato presso un ospedale oncologico, alla dipartita dei miei nonni. So di avere dato sollievo, anche come estranea, nel poter ascoltare chi dice l’indicibile.
Forse, se non mi sentissi ancora in debito verso il mio bisogno di ponti e di guardare negli occhi i tabù, adesso non starei scrivendo.
Le difese psichiche vanno rispettate: servono a tenersi insieme e a stare in piedi, fino a quando durano. E bisogna ristrutturarle e riadattarle ai nuovi bisogni emergenti.
La negazione ci protegge dall’ambivalenza, che a volte è vertiginosa.
I tabù proteggono l’ordine sociale. Apollo imbriglia Dioniso, ma non tutti sanno suonare la lira in modo armonioso. Mi accompagna sempre la categoria del trascendentale: ciò che va oltre l’empirico, ma lo rende possibile; ciò che ci aiuta a comprendere ciò che ci comprende. Il possibile pensato, detto e condiviso, crea realtà.
La fonte della vita è la stessa della morte. L’inconto con l’Altro è un appuntamento cui siamo, da sempre, in ritardo. Forse M. Heidegger la fa un po’ troppo tragica dicendo che l’essere per la morte è l’essere autentico, ma è certo che la nostra gettatezza e la nostra finitudine sono uno dei pochi strumenti per godersi la vita!
Il limite è oscuramente naturale, naturalmente oscuro. Restiamo in equilibrio, sempre dinamico.
Non posso andare avanti fingendo, anche se a volte un occhio lo devo chiudere; mi applico con dedizione e disincanto, oltre il pensiero dell’aut…aut, ho bisogno dell’et…et: Non “o…o”, ma “sia…sia”.Se la recente definizione dell’O.M.S. indica la salute come capacità e possibilità di adattamento e autodeterminazione, ottimo! Io vagolo nel liminale e numinoso e ci sto bene. Sto sul bordo della piscina.
Ci sto così bene che ne faccio un’attività di impegno civico.
Divento finalmente volontaria del Numero Bianco: infoline Soccorso Civile dell’Associazione Luca Coscioni. Dopo una rigorosa formazione – sulla comunicazione, sulla legislazione, sull’uso della piattaforma telematica – iniziamo ad essere operativi. Rispondiamo da tutta Italia a chiamate sui diritti nel fine vita, cure palliative, pianificazione condivisa delle cure, disposizioni anticipate di trattamento (biotestamento). Molte persone, però, chiamano perché disperate: sole, inascoltate, di fronte a silenzi o negazioni che feriscono più della patologia. Non ci sono tabù: sappiamo benissimo che il tema di fondo è il fine vita e la tutela della sua dignità.
Sono onorata ed orgogliosa di coronare così la campagna di raccolta firme per la legalizzazione dell’eutanasia, dell’estate 2021. C’è stata tantissima energia costruttiva da parte di tutti coloro che si sono attivati. Ovviamente, durante i tavoli per attirare i cittadini, molti si spendevano più o meno apertamente in gesti apotropaici, quando non in insulti, atterriti da ciò che balenava alla mente. Spesso siamo ancora come quando si diceva “il brutto male” invece di cancro. Come se la pronuncia della parola generasse la malattia. Se è vero che le parole sono cose, allora parliamo di più. Inventiamo nuove parole, partecipiamo a nuovi riti, immaginiamo nuovi simboli (in gran parte arcaici) che non creino muri, ma ponti.
Per il Master, mi imbarco in un progetto di Medicina Narrativa nel Numero Bianco. Chiedo agli altri 35 volontari, per la maggior parte donne, di raccontare un proprio turno. So la mia proposta è difficile e ne sono imbarazzata. Il portato di ognuno è marcatamente civico e politico – mai partitico – con motivazioni profonde e vissute sulla propria pelle. Non ce lo diciamo, chissà se può diventare dicibile? A me fa bene, ma magari non a tutti. Inoltre, è una richiesta che esula dal nostro mandato diretto e può non interessare o, semplicemente, sembrare non pertinente. Potrebbe essere utile per fare “sfiatare la pentola a pressione”: il nostro stare a contatto con la sofferenza, con un impegno condiviso settimanale, non è questione di poco conto. Per facilitare la partecipazione, propongo alcune immagini di stimolo e la mia narrazione. Suggerisco anche una scansione temporale (prima/durante/dopo) e la categoria della testimonianza (testimoni a se stessi/ai chiamanti/al gruppo). Tengo in mente il mio filo, con un gioco di parole tra bianchezza e testimonianza: witheness-witness – fantastico anche di uno spettacolo teatrale. Ovviamente, creo un’immagine. Nutro così profondo rispetto per questo servizio civico che sono molto curiosa, senza ben sapere cosa aspettarmi e senza pretendere nulla, in ascolto di quello che arriverà. Probabilmente sono in bilico tra fiducia e fragilità, esattamente come in ogni mio turno. Ad ogni modo, sono in compagnia di pensieri farfalla: cerchi nell’acqua.
La mia narrazione…tra piacere e paura, casa e custodia:
Mi concedo di ridere durante le chiamate, se la persona è particolarmente aperta e cerco sempre di fare sorridere, se la persona è “apribile”. Se sento che il chiamante sorride, so che ho fatto un buon intervento.
Ascolto e, lasciando parlare, quando annuso il pensiero di un tentativo anticonservativo, questo viene fuori e posso chiaramente dire che le soluzioni “fai da te” rischiano di lasciarci peggio di come stiamo adesso. Mi sembra di arrivare alla radice e, in qualche modo, mi sembra di essere stata efficace. Credo dire l’indicibile o il non detto sia un buon farmaco.
Alcuni chiamanti mi schiantano.
Poi ci sono gli intermediari: i chiamanti per conto di altri. Che amore, che fatica, che forza.
Ci sono anche chiamanti che si nascondono dai famigliari mentre parlano.
Oggi mi sembra davvero di stare facendo qualcosa che cambi le cose.
In circa due anni di attività, il Numero Bianco risponde a 9.300 chiamate, di cui 1.600 sul suicidio mediamente assistito.
Quando il chiamante verbalizza gratitudine al nostro gruppo, tengo sempre a farlo sapere agli altri. Voglio condividere quel pane gratuito che nutre e non ha bisogno di companatico.
La narrazione semplice
Vorrei raccontare di una telefonata che mi ha messo in difficoltà. Per la prima volta, la persona che ha chiamato non stava a sentire quello che tentavo di dirle, ma parlava solo di suicidio, di come potere fare per suicidarsi e a chiedermi io a quanti suicidi avessi assistito…Dopo avere tentato di dirle che ci sono soluzioni diverse e averle consigliato un medico che la seguisse, ho messo giù il telefono con educazione.
La narrazione articolata: L’anaconda
Sono parecchi mesi che un pomeriggio alla settimana rispondo al Numero Bianco. Quasi sempre sono riuscita a sentire un collegamento con quella voce e con quella storia, anche se non somigliava alla storia mia o dei miei cari. Quasi sempre. Una volta no.
Inizia con la “solita” richiesta di informazioni, forse un po’ più verbosa del solito, a ripensarci. Le parole morte, suicidio, eutanasia non vengono esplicitamente pronunciate, ma si capisce benissimo che dietro c’è una richiesta di informazioni su quello. […] Giriamo un po’ intorno al tema, cosa è consentito, a chi è consentito. Poi il discorso cambia: quello che il chiamante vorrebbe è farsi uccidere da un anaconda. […]
Da allora ogni tanto mi viene in mente l’anaconda, e un chiamante con cui non ho trovato nessun punto di contatto, perché non eravamo nello stesso “mondo”. Parlavamo la stessa lingua, abbiamo chiacchierato per qualche minuto, domande e risposte seguivano un filo logico, uno schema di discussione già sperimentato da me (magari anche da lui?) su temi che sembravamo avere in comune. Ma l’anaconda?Come è possibile parlare seriamente per qualche minuto del suicidio per mezzo di un anaconda? Cosa c’è in quella mente che ragiona lucidamente, si esprime con proprietà e coerenza, a proposito dell’anaconda?
Poi mi vengono in mente due cose. Prima cosa, mio fratello che qualche anno fa ha subito un TSO, l’ho cercato in ospedale, era sotto farmaci ma sempre lui, lucido, cosciente, il suo modo di parlare, di guardarti. Parliamo un po’ e poi mi chiede di contattare il suo parroco perché vuole confessarsi di avere ucciso la figlia tredicenne. Gli prometto che non c’è problema, appena uscita gli vado a parlare, verrà certamente in serata (tutto questo, sapendo che la figlia sta benissimo). Lo assecondo, ma lo sento così lontano, non è più mio fratello, non so chi sia.
Seconda cosa, “il piccolo principe”. Quell’anaconda che si era mangiato un elefante, ma nel disegno sembrava un cappello.
La narrazione calda
(la più calda, di uno dei pochi uomini. Oltre i pregiudizi di genere, in nome dell’Animus e dell’Anima)
PRIMA. Quando realizzi che è toccato proprio a tua moglie, alla tua vita è già tardi per rimettere a posto i pezzi. Dentro, davanti e dietro a questi schiaffi tutto si mischia definitivamente. C’è bisogno che ogni cosa si frantumi per ricominciare il puzzle, e quello che ne uscirà sarà un paesaggio diverso, inaspettato, mai frequentato prima. Questo io già lo sapevo perché era già capitato che molto si sfaldasse e andasse in frantumi di tutti quei ridicoli piani con i quali ci illudiamo di ipotecare il futuro.
Quindi succede che dopo la caduta sei semplicemente solo e non hai neanche paura. Nessuno ti può davvero raggiungere lì in fondo a quei precipizi e quindi hai il “qui e ora” della tua vita a farti da unico sfondo. Non c’è niente da inventare, da spostare, da rimandare, da riprogrammare, da evitare … da far andare in malora. Non aspetti risposte. […] Sei animale ferito che rimane indietro. Selvaggina di passo, al passo. Non si scappa più. Neanche più domande per fortuna: che altro c’è da sapere di questa danza? Non importa davvero ciò capiterà da ora in poi. ESTOTE PARATI. Io sono pronto.
Scrivo a Marco Cappato perché una cosa la so davvero: il dolore quando rimane dentro va a male. Inacidisce. Ti svuota. E poi c’è la parte politica di questa storia che merita di essere raccontata.
Lui risponde e mi invita al Numero Bianco. Poi i volontari dell’inizio … e tutte le altre ondate di volontari. Una cascata di energia e umanità.
Non ho dubbi che questa sia la cosa giusta da fare. So anche che non sarà semplice e che ci sarà ancora da faticare e costruire.DURANTE. Il mio mestiere è insegnare agli altri come comunicare e relazionarsi. I miei corsi manageriali sbrodolano di parole quali empatia, versatilità, assertività, resilienza ed altre teorie … . Ho tenuto un’infinità di seminari sulle “tecniche di comunicazione telefonica” ed ora eccomi qui con queste cuffie alle orecchie, teso come una corda di violino. Qui si fa sul serio. Capisco che devo buttare via quasi tutto e tenermi attaccato all’essenziale. Costeggiare il cuore senza portarmelo dietro. Occuparmi davvero degli altri, di chi chiama: io non c’entro. La mia storia mi serve solo per capire meglio le storie degli altri ma se ne sta buona in disparte. A. torna ad aiutarmi. Sto imparando davvero qualcosa che non sarà facile trasmettere nei miei corsi ma ci proverò. Di nuovo fuori dalla mia area di agio. I lavoratori più motivati del pianeta sono i volontari perché non si aspettano ritorni. Infatti non si tratta di motivazione ma di auto-motivazione che è sostanza assai diversa che viene da dentro e non aspetta incentivi o segnali dall’esterno. Cresco e mi miglioro. Tutto questo mi fa bene.
Galleggiare nella paura e spaesamento degli altri è una profondissima esperienza. Quelli che da poco hanno saputo. Quelli che da troppo tempo sono soli; quelli che hanno solo voglia di essere considerati come persone. Quelli che vogliono davvero finirla. Quelli che non sanno nulla dei loro diritti. Quanti anziani sballottati a destra e sinistra! Loro sì che avrebbero bisogno di qualche “navigator” che li aiutasse a districarsi nella melmosa burocrazia e nell’ignoranza degli “addetti” ai lavori. Nella maggioranza dei casi basta essere gentili. Gentilezza e credibilità e ti accorgi di aver fatto ciò che serviva. Li hai ascoltati. Li hai aiutati a capire. Ti ringraziano. Spesso finisce tutto in un respiro come se si fossero tolti qualche pesantezza di troppo oltre alla malattia e alla preoccupazione che invece rimane e ci si addormenteranno insieme anche questa notte. Questa sarebbe l’umanità fragile da difendere. Prima gli italiani che soffrono e che muoiono …DOPO. Continuare a crescere. Condividere. Raccontarci. Grazie a tutti (anche a Mariel che ci ha chiamati a farlo)
Una brevissima narrazione di un’esperienza di “stare” con la difficoltà dell’indicibile
Dal marzo 2020, quando non potevamo lavorare, è nato un nutriente gruppo di arte terapeute professioniste: RiCreative OnLine. Il silenzio mortifero della sconosciuta pandemia ci ha risuonato con una reazione creativa. Continuiamo sia on line sia in presenza, con gran beneficio per la pratica professionale ed il benessere personale: impariamo reciprocamente e ci divertiamo. Proveniamo da scuole diverse, ma la nostra formazione comune ci dona la possibilità di stare con le difese, nell’ambiguità, attraversare le sofferenze ed elaborare immagini sorgive.
Conduciamo a turno e, durante un incontro, presento al gruppo il progetto di Medicina Narrativa nel Numero Bianco. Le altre accolgono il portato emotivo come uno schiaffo, con rabbia, con silenzio. Sono grata di questo stare con emozioni tabù, farne immagine e verbalizzarle. Dopo quell’incontro, ci siamo dedicate al tema delle difese verso l’inevitabile. Trascoloriamo e sappiamo anche ridere della spinosissima questione.
Le nostre parole, dopo aver lavorato con i materiali artistici.
- Alleggerisco l’idea della morte.
- Mi arrendo all’inevitabile.
- Lo evito.
- Mi ribello, metto confini.
- Scelgo proprio le situazioni che cerco di evitare.
- Resto in compagnia del foglio bianco e il foglio bianco diventa malleabile.
- Non mi difendo dall’inevitabile, mi immedesimo, lo anticipo.
- Di fronte al quotidiano inevitabile, trovo un’alleanza nell’ascolto.
Grazie a tutte le persone che si narrano nell’Ombra del tabù.
Grazie Mariel, parole vere❤️