DALL’ESPERIENZA DELLA QUARANTENA DA COVID-19, NON-VIOLENT COMMUNICATION AND NARRATIVE MEDICINE FOR PROMOTING SUSTAINABLE HEALTH – INTERVISTA A MARIA GIULIA MARINI.

Maria Giulia Marini - Direttore scientifico e dell'innovazione Area Sanità  e Salute ISTUD

Benedetta D’Astolto: come mai l’idea di un libro sulla comunicazione non violenta e la medicina narrativa per promuovere  una salute sostenibile?

Maria Gulia Marini: L’idea è nata in un assolato agosto del 2022. Diversi esperti e amanti della medicina narrativa mi avevano chiesto un nuovo libro che parlasse meno delle tematiche note  sulla medicina narrativa, quindi del close reading, della ermeneutica delle narrazioni, e della letteratura legata alle storie di malattia. Nel frattempo Erano capitate nella mia vita professionale degli esempi di comunicazione violenta;  assistevo a testimonianze di medici e infermieri e pazienti che dicevano che dopo il covid si erano accesi i toni. Tutto questo era accaduto nei mesi recenti. Mi trovavo a Milano da sola con Covid, febbre alta, e un mal di gola che non avevo mai provato prima. Non potevo inghiottire bere mangiare parlare: la mia risorsa fu lo scrivere. E così io dico che questo libro in parte si è scritto da solo.

Benedetta D’Astolto: ripassiamo quali sono i concetti cardine della comunicazione nonviolenta e come li si possono incrociare con la medicina narrativa?

Maria Giulia Marini: la comunicazione non violenta ci dice che per venire incontro agli altri dobbiamo prima di tutto osservare e ascoltare i fatti e controllarli, in secondo luogo dar spazio ai sentimenti e alle emozioni degli altri, riconoscendo anche le proprie ma non permettendo alle proprie di soverchiare quelle degli altri, di invitare gli altri alle esplicitazione dei loro bisogni, bisogni sottolineo non pretese e il quarto punto di aiutarli nella verbalizzazione delle richieste. La medicina narrativa da una prima  narrazione, o meglio un inizio di narrazione in cui il paziente o il curante vogliono esprimere alcune considerazioni e esperienze riguardo al processo di cura; in seguito secondo la medicina narrativa dobbiamo accogliere le emozioni nostre e degli altri; in seguito e proprio grazie alla creazione di fiducia che la narrazione può andare avanti esplicitando i bisogni, trasformando il non detto in detto, per terminare con una nuova narrazione. Ecco che qui vedo una grandissima possibilità di incontro tra questi due metodi, due approcci, tutti e due generatori di salute e benessere.

Benedetta D’Astolto: come è strutturato il libro?

Maria Giulia Marini: Il libro si svolge in 10 capitoli, è un viaggio per il lettore dalla violenza alla pace. È interessante il significato mitologico della parola violenza: in greco si chiamava Bia, era una dea minore ed era la sorella di nike, la vittoria alata. Non ci può essere quindi vittoria o trionfo senza violenza. Anche il latino era associato alla parola opulento ricchezza però anche alla parola vis, forza; insomma per la nostra matrice mediterranea una certa convivenza con la violenza era la normalità. E di fatto lo è in quanto il nostro cervello nella parte più arcaica come spiego nel libro ha delle situazioni in cui genera violenza quando si sente insoddisfatto e minacciato. Possiamo conquistare la pace? Ancora una volta ci aiutano mitologia e etimologia: pace era una dea della primavera Irene secondo la cultura greca e veniva dopo il lungo e violento inverno e regnava insieme a giustizia e armonia. Pax è il termine latino per pace: la radice sanscrita della parola pace indica la capacità di saper perdere, di lasciare andare, abilità che sarà trasformata dai romani antichi nella grande pax romana ovvero i negoziati. Non c’è  pace possibile senza l’arte the perdere, come ci insegna Elizabeth Bishop nella sua poesia The art of losing. Violenza e quindi associata a potere,  a dogma, a ruolo a regole invalicabili e inconsapevolmente a disfunzioni del sistema sanitario: i tempi troppo brevi per le visite che non permettono quell’ascolto generativo, l’automatismo di difesa dietro protocolli prescrittivi, il chiudere qualsiasi conversazione che pazienti vogliono aprire sulla loro vita per far si che il colloquio con il medico si svolga solo Sull’organo malato. Sono forme di violenza di comportamento e il di linguaggio. L’uso del modo imperativo in sanità e’ eccessivo: lei deve, non deve et, faccia questi esami… a volte ridicolo: mi raccomando stia bene comanda il curante. A volte ci può essere un micro effetto placebo ma il più delle volte non è così anzi di fronte a un ordine spesso il corpo si ribella alla volontà dell’altro perché non si riesce a far spazio alla propria volontà alle proprie attitudini ai propri valori. Questo libro desidera essere un manuale di formazione sul rispetto, sui confini, e su come le parole possono essere scelte e selezionate con cura. Insomma traendo spunto da Alice nel paese delle meraviglie, Alice sarà in grado di attraversare lo specchio e di non temere più la regina rossa quando imparerà il significato delle parole e dunque a parlare.

Benedetta D’Astolto: rispetto all’età dell’essere umano come si snoda il libro?

Maria Gulia Marini: affronta la gioventù’, l’età delle passioni in epoca post covid, con un immenso grazie ai ragazzi che hanno sacrificato un anno della loro esistenza per noi, e che ancora stanno pagando il trauma di quel 2020: parla della vecchiaia, e cerca di capire come si possono rendere più gentili e confortevoli le case di risposo con esempi di medicina narrativa e poi parla della morte, un capitolo  è dedicato alla “violenza  della natura” il limite posto all’essere umano: e di come  la sottrazione al tempo del lutto e dei rituali siano atti di violenza verso che rimane.

Benedetta D’Astolto: i due messaggi chiave che ci vuole lasciare?

Maria Giulia Marini: il primo è quello della Slow violence, un termine mutuato dagli ambientalisti: giorno dopo giorno con una violenza quasi impercettibile continuiamo a recare danni al pianeta e alle popolazioni locali. Ho inserito questo termine in campo sanitario perché la stessa Slow violence accade tutti i giorni negli ambulatori, nei luoghi di cura, ed è in parte dettata da un’eccessiva burocrazia e in parte dettata da una formazione sulle humanities ai futuri medici e futuri curanti insoddisfacente e parziale. La evidence based medicine e’ a volte In contrapposizione con quelle che sono le scelte migliori   per il paziente. Questo accade inconsapevolmente ma impercettibilmente.

Il secondo messaggio è nel capitolo finale, dove cito l’importanza di incrociare la medicina narrativa e la comunicazione non violenta con le intelligenze multiple: la sfida è quella di poter beneficiare in un tempo anche breve delle altre intelligenze, non solo quella logico razionale, e quella linguistica e quella dimensionale: vi è l’intelligenza del corpo per comprendere il linguaggio non verbale di chi stiamo curando, l’intelligenza intrapersonale per comprendere le nostre emozioni, l’intelligenza interpersonale, per capire le emozioni dell’altro, l’intelligenza naturale per capire in quale ciclo della vita si trovi la persona che stiamo curando, e l’intelligenza esistenziale che poggia sui valori fondanti dell’altro. Portiamo quindi pace e allontaniamo la violenza introiettando dei concetti etici di rispetto per il credo della persona che abbiamo di fronte. Solo non prevaricando con i nostri protocolli e le nostre certezze, possiamo fare spazio a una comunicazione non violenta che porterà ad un ecosistema vitale, con minore conflittualità è maggiore benessere.

Benedetta D’Astolto: ci sono anche delle citazioni letterarie e dei momenti di pratica, ce ne vuoi parlare?

Maria Giulia Marini: ho ripreso l’epilogo della Tempesta di Shakespeare per spiegare cosa è comunicazione non violenta,  qualche poesia di Emily Dickinson per descrivere la sindrome degli hikikomori, l’Antigone di Sofocle per descrivere la brutalità dei rituali rubati e negati, Alice nel paese delle meraviglie per parlare di potere e linguaggio, Isaac Asimov con Io robot per parlare di intelligenza artificiale in questo ultimo caso: penso che la letteratura sia straordinariamente evocativa e che possa essere bilanciata è integrata con le autentiche narrazioni di cura e malattia appunto i momenti di pratica sono altrettanto fondamentali come la lettura delle altre parti: desidero che la memoria venga esercitata, così come la riflessione che avviene solo ponendosi delle domande su quanto si è letto e su come noi quotidianamente operiamo rispetto al tema della violenza e della pace nelle nostre organizzazioni professionali. Vi sono molte domande in cui apro gli scenari a cosa avrei potuto fare diversamente, cosa sarebbe potuto accadere se… È una riflessione al condizionale che non desidera essere giudicante ma vuole essere un invito all’intelligenza creativa, perché possano emergere delle altre possibilità e degli altri mondi paralleli più sostenibili, più vitali e più sereni. Analogicamente saranno poi i lettori a riportare nella nostra vita quanto hanno appreso dagli altri mondi di pensiero che hanno creato.

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