LA COMPRENSIONE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLA RICERCA SCIENTIFICA – INTERVISTA A SILVIA POGLIAGHI.

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Sono una giornalista scientifica freelance, accreditata come socia all’associazione UNAMSI (Unione NAzionale Medico Scientifica di Informazione). I temi che tratto riguardano la salute, la sanità e il benessere, con una spiccata passione per le innovazioni che vengono applicate al mondo della salute e sanità.

Seguo molto i convegni e i webinar nazionali ed internazionali che trattano di questi argomenti per tenermi aggiornata sull’innovazione digitale in sanità.

Qual è il ruolo dell’AI nell’ambito della ricerca clinica?

L’avvento della digital health come innovazione anche nell’ambito della ricerca clinica e della salute ha portato una vera rivoluzione con svariati cambiamenti, analizziamoli attraverso alcuni passaggi.

A detta degli scienziati e dei ricercatori che ho avuto modo di intervistare nel corso degli ultimi anni, gli ambiti in cui l’utilizzo dell’AI paiono più promettenti, riguardano la diagnosi da parte del medico, la prognosi e la ricerca (come ad esempio in epidemiologia).

Lo sviluppo dell’AI si è realizzata molto velocemente, a partire dalla seconda metà del Novecento i progressi in campo informatico sono stati strepitosi.  Gli albori risalgono addirittura alla prima rudimentale macchina “intelligente” che è stata sviluppata da Alan Turing, con cui risolse e decriptò la famosa “Enigma”, macchina utilizzata nella Seconda guerra mondiale dai nazisti per inviare messaggi criptati.  Lo stesso Turing a cui venne attribuito il test di intelligenza artificiale (test di Turing) che verifica se, attraverso una conversazione via chat, un computer può convincere un umano di essere un umano.

Ma, per tornare alla domanda, nell’ambito della ricerca bisogna sottolineare quanto siano importanti il dato e la qualità del dato.

Una volta venivano utilizzati i database, diversamente, con l’attuale rivoluzione in campo informatico, il dato che può essere analizzato con l’intelligenza artificiale può anche essere non strutturato, come ad esempio lo sono un’immagine, un pdf o un testo scritto.

Un esempio molto pratico è l’uso dello smartwatch: una nuova tecnologia da cui possono essere ricavati dei dati che possono essere utilizzati dall’AI o tutti i dati che possono essere raccolti anche dal paziente stesso (real-word data).

La cosa fondamentale è che, i dati che vengono presi in considerazione, debbano essere di qualità. Altrimenti la risposta dell’AI sarà un risultato di bassa qualità.

Metodo utilizzato dall’AI (misto- qualitativo/quantitativo)?

I dati che sottoponiamo all’AI devono avere una qualità alta per avere un’ottima risposta; Un altro aspetto da tenere in considerazione è che l’AI sono software ed applicativi sottoposti ad aspetti legali e normativi.

Nel maggio 2024 il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato il AI Act, legge sull’intelligenza artificiale che intende normare l’utilizzo dell’AI con un approccio basato sul livello di rischio. Anche le aziende che producono software ed applicativi in ambito medicale-sanitario devono quindi sottostare a una regolamentazione più stringente per garantire sicurezza, qualità ed efficacia.

Un software in sanità che viene proposto come dispositivo medico, per soddisfare il regolamento deve avere come classe di rischio IIA, IIB o 3.

Un po’ di anni fa i dispositivi medici potevano avere una classe di rischio minore come ad esempio 1. La classe di rischio IIA e oltre, presuppone studi clinici approfonditi, randomizzati e controllati.

Gli svantaggi dell’AI in ricerca, se ci sono, quali sono?

Una problematica dell’utilizzo dell’AI è il deskilling: quando un medico/ricercatore utilizza uno strumento di intelligenza artificiale, se sa che l’accuratezza dei dati forniti dall’AI  è molto alta e ci sono molti studi che presuppongono la massima accuratezza, si affida automaticamente alla macchina e non si sofferma a leggere con occhio critico gli output che l’AI può dare. Questo può creare una sorta di dequalificazione del professionista sanitario, ragion per cui l’utilizzo dell’AI deve sempre essere con un livello alto di pensiero critico e l’ultima parola deve essere del medico.

I risvolti etici?

Quando si parla di salute delle persone si parla anche di etica, quindi con l’avvento dell’Intelligenza artificiale ci deve essere una normativa che parta anche dai concetti etici dell’uomo.

Padre Paolo Benanti, Professore della Pontificia Università Gregoriana, unico italiano membro del Comitato sull’intelligenza artificiale delle Nazioni Unite, parla di Algoretica cioè: lo studio dei risvolti etici connessi all’applicazione degli algoritmi, tra le questioni etiche emerge ad esempio la mancanza di consapevolezza degli utenti rispetto al trattamento dei dati personali.  Inoltre, a mio avviso costituisce un problema etico il non poter conoscere il percorso che l’AI fa per arrivare al risultato, ovvero il problema della non trasparenza dell’algoritmo cosiddetto black box.  L’espressione black box è ormai di uso comune per indicare i casi in cui si fa uso di algoritmi e metodi computazionali di cui non si conoscono bene i meccanismi di funzionamento.

Le implicazioni sociali ed etiche delle AI e degli algoritmi rendono necessaria tanto un algor-etica quanto una governance di queste invisibili strutture che regolano sempre più il nostro mondo per evitare forme disumane di quella che potremmo definire una algo-crazia ( Cit. P.Paolo Benanti).

La Gen AI  ovvero Chatgpt?

L’AI generativa, come chatgpt ed i suoi omologhi, dovrà essere molto sorvegliata e monitorata perché è difficile controllarla e questo la rende una tecnologia molto utile, ma anche rischiosa.

Ciò non toglie che rimane una tipologia di AI molto interessante.

In Italia, chatgpt era stato reso disponibile all’utilizzo in rete nel novembre del 2022 ma già nel gennaio del 2023 era stato bloccato e reso inutilizzabile perché non conforme alle normative italiane sulla privacy.

In campo medico i dati sono da considerarsi particolarmente sensibili; sono tutti allocati, spesso anonimizzati, nelle grandi banche dati degli ospedali o delle strutture sanitarie, le quali, sono ormai sempre più di frequente bersaglio di ransomware, ovvero furto di dati a scopo di riscatto, ransom significa infatti riscatto.  Diventa quindi necessario fortificare la cyber security.

Il mettere a fattor comune i dati della ricerca, un passo verso il dato come bene comune

Una volta che i dati sono ricevuti in anonimo potrebbero essere utilizzati a scopo di ricerca, ma tante persone non lo sanno e non danno questa possibilità nel momento del consenso informato.

Il concetto che vorrei che venisse compreso è che mettere a disposizione i propri dati nel più totale anonimato può essere fondamentale per incentivare e velocizzare la ricerca e considerare il dato sanitario come bene comune.

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Un altro tema inerente al legame tra ricerca farmacologica e Intelligenza artificiale. L’AI nella ricerca farmacologica può fare molto. Esiste, in Italia, a Bologna il quarto super computer HPC (High Performance Computing) al mondo Leonardo che con l’ausilio di sistemi di algoritmi e velocità di processo può trovare nuove molecole e verificare nuove interazioni tra queste ultime.  Leonardo sviluppa 255 petaflops di potenza (1 petaflop è 10^15) e il petaflop è l’unità di misura della potenza di calcolo.

Questo aspetto della ricerca farmacologica non ricorre spesso nella divulgazione.

Tuttavia, anche per l’utilizzo di questi HPC necessitano di quantitativi enormi di energia, necessaria alla sua buona esecuzione; questi super computer sono estremamente dispendiosi in termini energetici.

La digitalizzazione in sanità deve anche tendere alla sostenibilità, in termini di carbon footprint, quanto più possibile.

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