“NON VIOLENT COMMUNICATION AND NARRATIVE MEDICINE FOR PROMOTING SUSTAINABLE HEALTH” – UNA RECENSIONE DI ELISABETTA PASINI

Maria Giulia Marini è una collega e una compagna di strada: negli ultimi anni abbiamo condiviso esperienze che ci hanno permesso di unire i nostri percorsi, in parte diversi, attraverso la comune ricerca di alternative possibili, di spazi di relazione e condivisione in una realtà che appare sempre più bloccata in meccanismi di pensiero autoreferenziali.

Il suo ultimo libro di recente pubblicazione, Non Violent Communication and Narrative Medicine, è un libro coraggioso. Perché già nel titolo affronta un tema cruciale, la violenza che è oggi diventata esagerata, eccessiva e pervasiva in tutti i campi dell’esistenza; ma anche perché, nell’affrontarlo, prefigura la possibilità del suo superamento, attraverso la dimensione della relazione, della cura e della narrazione.

Affrontare il tema della violenza nel mondo della cura, ci ricorda Maria Giulia all’inizio, è oltremodo importante oggi perché significa ‘prendere il toro per le corna’ e chiedersi come mai un tale grado di violenza fisica e verbale sia diventato oggi dilagante proprio nel mondo della cura e della salute, che fin dalle sue più antiche origini è stato sempre ispirato al suo opposto, la fiducia nel legame tra medico e paziente come legame indispensabile per la guarigione dalla malattia e il superamento del trauma,.

Che cosa è successo oggi a questa relazione? Perché proprio oggi che la medicina ha fatto passi da gigante dal punto di vista scientifico e tecnologico, la relazione tra chi cura e chi chiede di essere curato sembra sia arrivata a un punto di rottura irreparabile? É ancora possibile ristabilire un equilibrio?

Il libro analizza diverse situazioni potenzialmente patologiche, ripercorre differenze di genere e di età, mette a confronto diverse condizioni fisiche e mentali. Ma soprattutto propone possibili narrazioni che mettono in luce aspetti nascosti e possono fare da ponte a un cambiamento di prospettiva. Aspetti che mi preme sottolineare perché in qualche modo mi riguardano da vicino, costituiscono aspetti centrali del rapporto con i pazienti nella mia attività di psicoanalista.

In primo luogo, lo sviluppo di un pensiero analogico, ispirato a narrazioni, racconti, storie che spaziano da Shakespeare a ipotesi scientifiche recenti, capaci di mettere insieme elementi apparentemente scollegati tra loro. Elemento comune a piste di ricerca così eterogenee è dare origine a fenomeni di ‘sincronicità’, che sfuggono alla logica binaria violentemente oppositiva che oggi domina e possono per questo veicolare un pensiero nuovo, aprire a nuove possibilità.

Così, ad esempio, comunicare con i bambini attraverso il gioco può diventare una forma di riconoscimento del bisogno di leggerezza di noi adulti, del nostro desiderio di scoperta, di guardare le cose con nuovi occhi.

Immergersi nella clausura forzata dei giovani “hikikomori” può farci vivere il loro sconcertante senso di isolamento, ma anche scoprire la capacità di stare, soli con se stessi, di fronte alle ombre più terribili del caos.

Comprendere la paura della morte degli anziani e il loro progressivo distacco dal mondo ci mette in contatto con il ‘mondo della soglia’ e ci ricorda il bisogno troppo umano di rituali che aiutino ad attraversarla, qualcosa che forse oggi abbiamo perduto.

Nuove narrazioni dunque, o narrazioni antiche da riscoprire, che fanno da ponte verso nuovi pensieri e ci permettono di abitare nuove realtà condivise e di ritrovare la necessità di prenderci cura gli uni degli altri: questo è il messaggio del libro, ed è qualcosa di cui oggi abbiamo disperatamente bisogno.


Elisabetta Pasini – Psicoanalista e Counselor

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