Il tema di questo mese della rivista Cronache di Medicina Narrativa è la misurazione e mi è stato chiesto di affrontare come viene misurato l’ascolto e la comunicazione nella relazione medico paziente. Questo tema può sembrare semplice all’apparenza, ma la ricerca di fonti e di studi in merito si è dimostrata più complessa del previsto.
Parlando di misurazioni e di valutazioni la prima idea è stata quella di interrogare il più famoso database di articoli scientifici, PubMed, e verificare cosa fosse già pubblicato sull’argomento e quali fossero le metodologie più utilizzate. Questa ricerca mi ha permesso di trovare quattro tipologie di articoli che affrontano l’argomento e per questo ho deciso di raccontarvi il mio viaggio nella letteratura.
Molti sono stati gli articoli in cui la comunicazione medico-paziente viene affrontata come case study e quindi narrata sotto forma di best, o worst, practice. Questi articoli sono di per sé interessanti e hanno un grande impatto nel sensibilizzare rispetto alla tematica di una buona comunicazione. Tra questi una ricerca estremamente interessante[1] ha messo in luce 7 strategie raccontate dai medici che hanno imparato a migliorare le proprie capacità di comunicazione. In questo studio i medici sono stati valutati dai propri pazienti attraverso questionari di soddisfazione e solo successivamente i ricercatori si sono accorti che alcuni di loro hanno avuto una crescita di punteggio nel tempo. In particolare, sette diversi accadimenti che hanno modificato il loro modo di comunicare sono stati descritti da questi medici: uno strumento di ascolto, un percorso di consapevolezza, la ricerca di nuovi significati nella pratica clinica, uno strumento tecnologico, un’improvvisa intuizione, un’osservazione da parte del mentore, e un’esperienza medico-paziente. Questo articolo permette di comprendere che l’ascolto e la comprensione possono essere appresi in qualsiasi momento del proprio percorso di vita, ma non permette di avere un riferimento per misurare la comunicazione e l’ascolto.
Andando avanti con la ricerca su PubMed, quindi, molti articoli consigliano tecniche e modalità di comunicazione che vanno dalla mindfullness[2], al teach-back[3]. Questi paper solitamente consigliano tecniche e approcci da mettere in pratica durante la pratica clinica, ma spesso sono relativi a pazienti con patologie specifiche e non vengo effettuate misurazioni.
La prima categoria di articoli che va effettivamente a misurare la comunicazione medico-paziente prevede di cronometrare le visite, vedere ad esempio quanti minuti sul totale della visita sono riservati alla comunicazione da parte del paziente o alle domande, oppure dopo quanto tempo un medico interrompe il paziente nelle sue spiegazioni. Questi articoli, di cui abbiamo parlato anche precedentemente nella nostra rivista (Lo stato dell’arte delle metodologie narrative in Sanità), permettono sicuramente di avere una prima misura di ciò che avviene nella pratica clinica. Risultati negativi sono indicatori di una relazione non efficace: sapere, ad esempio, che in media il medico interrompe il paziente dopo 22 secondi[4] permette di avere dei dati per far comprendere ai professionisti della salute l’importanza di un percorso di formazione sulla comunicazione.
Leggendo questi articoli, tuttavia, mi sono posta una domanda: e i risultati positivi? La semplice misurazione del tempo ci permette di essere sicuri che la persona sia stata realmente ascoltata?
Per farvi capire il mio dubbio vi porto un semplice esempio. Avevo appena iniziato i miei studi all’università e per dei problemi al ginocchio sono andata a fare una visita ortopedica. Prenoto una visita privata con uno specialista caldamente consigliato da una parente e quando arrivo al centro trovo un medico molto giovane che mi accoglie gentilmente e mi fa sedere per farmi qualche domanda. Durante la visita non mi ha mai chiesto cosa studiassi all’università, ma ha passato buona parte del tempo a farmi domande sul tipo di attività fisica che facevo, su precedenti patologie, sulle scarpe che mettevo quotidianamente. Ad ogni risposta seguiva un consiglio e fino a quel punto avevo pensato che questa volta avevo trovato davvero una persona attenta. Arriva la fine della visita dopo aver fatto una serie di esami e un’ecografia, insieme a mia mamma, ci fa accomodare e ci comunica quello che secondo lui è l’esito e la terapia che dovrei seguire. A questo punto l’idillio della visita va in frantumi: il medico comincia a usare esclusivamente termini scientifici e sembra che si stia impegnando per non farci capire assolutamente nulla. Io, che avevo appena superato gli esami di anatomia e fisiologia, capivo ciò di cui lui stava parlando, ma sicuramente questo il medico non poteva saperlo. Ricordando oggi quell’episodio direi che se qualcuno avesse effettivamente misurato il tempo in cui il medico mi ha ascoltato i risultati sarebbero stati positivi, ma sicuramente io non sono uscita soddisfatta in merito alle modalità di comunicazione.
A conferma di questo mio dubbio, in letteratura si trovano numerose ricerche che correlano la soddisfazione dei pazienti con la comunicazione. Un esempio si trova nell’articolo di Attanasio L e Kozhimannil KB[5] in cui è stato chiesto a delle donne che avevano dato luce ad un bambino tra il 2011 e il 2012 in USA di rispondere ad un questionario di soddisfazione. In particolare le domande vertevano sulla loro percezione in merito a:
- Riluttanza a fare domande
- Ostacoli alla discussione aperta
- Discriminazione percepita
I risultati di questa ricerca hanno mostrato che il 40-66% delle donne intervistate hanno difficoltà a comunicare con il team ospedaliero durante il periodo prenatale e circa il 24% delle donne ha riferito di aver subito discriminazioni durante la degenza in ospedale per il parto. Questi risultati fanno sicuramente riflettere e mettono in luce la percezione dei pazienti rispetto alla comunicazione con il proprio medico, ma ancora una volta non forniscono una chiara metodologia per misurare e valutare l’ascolto, soprattutto per comprendere come identificare pratiche di ascolto efficace.
Andando avanti nella ricerca per trovare una risposta al mio dubbio, un articolo che ho particolarmente apprezzato e che ha permesso di misurare modalità efficaci di comunicazione è quello di Tallman K et al[6]. Questo gruppo di ricercatori americani ha video registrato 92 visite con medici di base; i pazienti hanno rivisto le registrazioni con un assistente di ricerca per ottenere commenti sulla visita descrivendo gli aspetti della comunicazione che sono risultati essere “nuovi, diversi, o qualsiasi cosa [a loro] piaciuta o meno della comunicazione”. Correlando l’analisi delle registrazioni con il livello di soddisfazione percepito dai pazienti i ricercatori hanno potuto creare un modello di buone pratiche di comunicazione efficace. In particolare i comportamenti correlati ad una maggiore soddisfazione percepita dai pazienti sono: focus sul programma del paziente, tracciare la storia, dimostrare comprensione, fornire spiegazioni dettagliate e, infine, completare il programma del paziente. In questo caso i ricercatori sono partiti dall’osservare la realtà della pratica clinica per modellizzare pratiche efficaci di comunicazione, senza imporre teorie di comunicazione predeterminate. Questo articolo, però, ancora non fornisce una metrica precisa per valutare la comunicazione e l’ascolto.
La ricerca di una risposta a come possa essere misurato l’ascolto durante le visite mediche l’ho trovata infine in un articolo del 2017 di Giambra e colleghi[7]. In questo studio i ricercatori hanno applicato la “Theory of Shared Communication”[8] che è stata sviluppata per scoprire le percezioni dei genitori e degli infermieri riguardo al processo di comunicazione che porta alla reciproca comprensione del piano di cura del bambino in regime di ricovero. In particolare vengono valutati attraverso l’analisi di video-registrazioni i seguenti comportamenti:
- Domandare: al fine di raccogliere informazioni attraverso domande chiuse, aperte o incorporate
- Ascoltare: indica che un partecipante ha sentito quello che l’altro ha detto:
- Dichiarazione riflessiva o riaffermazione o formulazione
- Discorso che dimostra l’ascolto,
- Comportamento non verbale che indica l’ascolto
- Bracketing (il partecipante segnala che il programma dell’altro viene riconosciuto, ma “messo in attesa”)
- Interruzione / Parlare della prossima dichiarazione dell’altro (dimostrando di non ascoltare)
- Spiegare: Risposte sollecitate o risposte a domande; Dichiarazione informativa non richiesta sulla cura del bambino
- Sostenere: al fine di raccomandare o sostenere una particolare pratica assistenziale (es. trattamento, referral, piano) attraverso dichiarazioni o domande dichiarative
- Verbalizzare la comprensione: per dimostrare la comprensione dell’enunciato dell’altro:
- Riconoscimento diretto della comprensione
- Rideterminazione/formulazione
- Risposta che indica indirettamente la comprensione
- Comportamento non verbale che indica comprensione
- Negoziazione dei ruoli: al fine di chiarire o sostenere chi svolgerà particolari attività di cura del bambino:
- Questione dei ruoli
- Dichiarazione dichiarativa sui ruoli
In conclusione, questa ricerca nella letteratura mi ha permesso di mettere in luce il fatto che siano poche le metriche utilizzate per misurare l’ascolto e la comunicazione, mentre numerose sono le metodologie consigliate per migliorarla. Da tutti gli studi analizzati, emergono difficoltà di comunicazione indifferentemente dal professionista di cura che viene preso in esame, sia esso uno specialista, un medico di base o un infermiere. In questo articolo pubblicato questo mese su Cronache di Medicina Narrativa trovate alcuni consigli scritti da Maria Giulia Marini e Giorgio Bardellini sull’importanza dell’ascolto e su come misurarlo nella pratica quotidiana.
Le difficoltà di comunicazione osservate attraverso questa analisi si acuiscono se i pazienti hanno un’origine differente rispetto a quella del proprio curante e la letteratura, soprattutto negli ultimi anni, è costellata di studi che affrontano la problematica della comunicazione a livello medico tra culture differenti. Proprio per questo il numero di marzo avrà come tema la comunicazione con culture differenti, quindi a presto per il prossimo viaggio nella letteratura.
[1] Janisse T, Tallman K. Can All Doctors Be Like This? Seven Stories of Communication Transformation Told by Physicians Rated Highest by Patients. Perm J. 2017;21:16-097.
[2] Prince-Paul M, Kelley C. Mindful Communication: Being Present. Semin Oncol Nurs. 2017 Dec;33(5):475-482.
[3] Badaczewski A, Bauman LJ, Blank AE, et al. Relationship between Teach-back and patient-centered communication in primary care pediatric encounters. Patient Educ Couns. 2017;100(7):1345-1352.
[4] Wolf Langewitz, Martin Denz, Anne Keller, Alexander Kiss, Sigmund Rüttimann, Brigitta Wössmer, Spontaneous talking time at start of consultation in outpatient clinic: cohort study, BMJ, vol. 325, settembre 2002
[5]Attanasio L, Kozhimannil KB. Patient-reported Communication Quality and Perceived Discrimination in Maternity Care. Med Care. 2015;53(10):863-71.
[6] Tallman K, Janisse T, Frankel RM, Sung SH, Krupat E, Hsu JT. Communication practices of physicians with high patient-satisfaction ratings. Perm J. 2007;11(1):19-29.
[7] Giambra BK, Haas SM, Britto MT, Lipstein EA. Exploration of Parent-Provider Communication During Clinic Visits for Children With Chronic Conditions. J Pediatr Health Care. 2017;32(1):21-28.
[8] Giambra BK, Sabourin T, Broome ME, Buelow J. The Theory of Shared Communication: How parents of technology-dependent children communicate with nurses on the inpatient unit. Journal of Pediatric Nursing. 2014;29(1):14–22.
Molto, molto interessante!!!