Dare voce a chi vive con un cancro alla prostata in fase avanzata, ai familiari che quotidianamente prestano la propria assistenza e al team multidisciplinare che si prende cura di loro è stato l’obiettivo primario dello studio “Vivere, assistere e curare la persona con carcinoma prostatico con metastasi” svolto da Fondazione ISTUD tra Ottobre 2016 a Luglio 2017 e presentato al XIX Congresso AIOM.
100 sono le narrazioni raccolte attraverso le quali è stato possibile mettere in correlazione i diversi punti di vista di questi tre protagonisti del percorso di cura, analizzandone significati, aspettative, obiettivi, valori e svelando quelli che sono i punti di convergenza e quelli invece dove c’è divergenza. Questo esercizio di ascolto, analisi e confronto di prospettive differenti rappresenta uno strumento potente per raccogliere indicazioni di carattere organizzativo. La ricerca narrativa infatti permette di identificare molteplici spazi di intervento che vanno ad agire su tre diversi livelli: la relazione di cura, l’organizzazione dei servizi, la pianificazione dei percorsi.
Analizzando i principali risultati dello studio, ricevere la comunicazione di una diagnosi di cancro ha rappresentato un momento fortemente traumatico con risvolti emotivi rilevanti per l’intero nucleo familiare, specialmente nei casi in cui le caregiver, per lo più mogli, hanno avuto esperienze di tumore al seno o all’utero, quindi rivivono indirettamente il manifestarsi della malattia e delle terapie. Ѐ questa la fase, insieme al periodo immediatamente successivo all’intervento chirurgico alla prostata, il momento a maggior impatto emotivo sia per i pazienti che per i familiari nel quale l’instaurarsi della fiducia e di una buona relazione di cura può fare la differenza.
“In queste condizioni non è tanto dire cosa hai e cosa non hai ma ascoltare il paziente. I giovani sono molto più meccanici, si, no, forse, pim pum pam….”
Ѐ il bisogno di speranza, uno degli argomenti che è emerso con maggior vigore dalle storie, in particolare da coloro che hanno vissuto una relazione con i propri curanti fredda, poco attenta agli aspetti personali, relazionali ed umani, in alcuni casi traumatizzante. Sono proprio coloro che si sono visti privare della speranza che hanno utilizzato la narrazione come grido di denuncia e di esortazione per i clinici a spostare l’attenzione dalla malattia alla persona malata.
“il malato ha bisogno di avere dei rapporti con i medici. L’azienda sanitaria cosa fa? Prende persone che eseguono un protocollo…”
Quante volte le aspettative dei curanti sono diverse da quelle dei curati? Investire nel tempo dedicato al dialogo tra medico, paziente e altri professionisti sanitari per conoscere il punto di vista reciproco può risultare il modo più economico ed efficiente per ottenere cure migliori, allineare le aspettative e di riflesso contribuire al contenimento dei costi.
Un aspetto emerso con forza dallo studio è quello della sessualità, un ambito che, dai racconti dei pazienti e dei familiari, non viene sempre affrontato in modo appropriato nella fase che precede l’intervento chirurgico. I pazienti fanno riferimento ad informazioni non sempre chiare o insufficienti che li hanno condotti, in più casi, a prendere atto in modo brusco e a volte ingannevole di una sessualità troncata o differente. Questo argomento, che riguarda non soltanto i pazienti che hanno ricevuto la diagnosi in età giovanile, è trasversale alla maggior parte delle persone che hanno partecipato allo studio e, per molti di loro, è un irrisolto ancora in cerca di soluzioni.
“Sul tema della sessualità mi hanno informato parzialmente all’epoca dell’intervento. Chiedevo che mi sospendessero questo farmaco ormonale con la speranza che avessi potuto vivere ancora un po’ quell’aspetto li.”
Il coinvolgimento attivo dei pazienti nei processi decisionali relativi alla gestione della propria malattia determina degli outcome migliori e una riduzione delle spese mediche. Partire dalle narrazioni, un luogo protetto dove far emergere aspetti a volte difficili da rilevare al proprio curante, per ripensare o progettare l’organizzazione di servizi volti all’informazione e alla formazione sul tema della sessualità.
Lo studio si è poi s0offermato anche su tutte le attività che fanno star bene le persone, che permettono di fare coping per gestire una situazione così impattante come la malattia oncologica. Analizzando i testi è principalmente il prendersi cura dei propri nipoti insieme alle attività di giardinaggio, lettura, socializzazione fuori casa a dare un beneficio alle persone con carcinoma. Rivolgendo lo sguardo al domani, dimensione non facile per chi vive con un tumore in fase avanzata, sia i pazienti che i familiari hanno espresso il desiderio di viaggiare o di realizzare un progetto concreto.
“per il futuro andare a vedere una partita con mio figlio e mio nipote”; “mi piacerebbe vedere Parigi o i paesi nordici”
Questi elementi, spesso sconosciuti dall’equipe e considerati poco pertinenti con gli obiettivi di cura, hanno invece molta importanza per le persone che si raccontano e dovrebbero essere delle indicazioni delle quali tener conto nella definizione di quelle che sono le strategie assistenziali in un’ottica di vera personalizzazione delle cure.
Lo studio, presentato al XIX congresso AIOM, oltre a fornire nuovi dati di real life sull’esperienza di malattia e di cura di chi vive con un carcinoma alla prostata, ha permesso di riflettere sull’utilizzo della narrazione come strumento per progettare interventi