NARRARE LE ORIGINI DELLA MEDICINA DI GENERE – DI ERIKA GRECO

“La scienza è tutt’altro che perfetta. Non è colpa del metodo scientifico ma nostra. Noi creature imperfette ci intrufoliamo nella sua casa e sporchiamo i suoi tappeti con i nostri piedi. Ci facciamo valere quando invece dovremmo essere suoi ospiti rispettosi. […] Per quanto la ricerca sia poco chiara in alcune aree ho trovato la rassicurazione che la scienza ha tutto da offrire alle donne e agli uomini che vogliono vivere in un mondo più giusto.”

La medicina e la scienza non sono entità astratte ma fatte da persone: persone che osservano i fenomeni, analizzano i dati e sviluppano modelli. Le stesse persone che contribuiscono alla costruzione della nostra società sono però profondamente impregnate di pregiudizi e stereotipi. A lungo scienza e la medicina sono state guidate e rappresentate da uomini bianchi, emblema del privilegio. Va da sé che anche la formazione in ambito scientifico e medico sia spesso parziale e specchio della cultura del privilegio. Ancora oggi che la società occidentale si definisce come massima espressione di progresso, alcune categorie vivono conseguenze di trattamenti inadeguati e, nei casi più gravi, l’impossibilità di accedere alle cure.

Da diversi anni, in ambito medico-sanitario si parla di medicina di genere, lo studio delle differenze biologiche, sociali e culturali tra uomini e donne e di come tali differenze influenzano lo stato di salute. Lo scopo della medicina di genere è quindi garantire l’appropriatezza diagnostico-terapeutica rendendo possibili trattamenti su misura del singolo individuo.

Si parla spesso di medicina di genere come soluzione alla sottorappresentazione ed esclusione delle donne nella medicina e nella ricerca. Come approccio, la medicina di genere chiede che le ricerche mediche e scientifiche e il personale medico considerino le differenze biologiche e di genere.

Per parlare di medicina di genere bisogna quindi conoscere la differenza tra sesso e genere. Il termine sesso, fa riferimento alle differenze biologiche, universali e immutabili in quanto geneticamente determinate. Il termine genere fa invece riferimento all’identità di genere, alla percezione che ognuno ha di sé e al ruolo di genere, caratteristiche socialmente attribuite a ogni genere.

In termine di aspettativa di vita, salute e incidenza di malattie sesso e genere sono strettamente correlati” riporta Silvia De Francia, farmacologa clinica e ricercatrice all’Università di Torino – ma l’approccio sesso specifico e quello genere specifico sono comunque molto diversi. Giornalista dal 2005, divulgatrice scientifica su temi di farmacologia e medicina di genere, De Francia si occupa di routine clinica in ambito farmacologico. 

“Le donne si difendono meglio dai virus, dai batteri e tumori ma per contro, producono più anticorpi rispetto agli uomini manifestando reazioni avverse ai vaccini più intense della popolazione maschile. Le donne spendono il doppio cromosoma X anche in una maggiore incidenza di malattie di tipo autoimmunitario, come malattie a carico della tiroide, artrite reumatoide, lupus, più comuni tra le donne. Siamo costruiti in modo diverso e ciò predispone diversamente alle malattie. Inoltre, la società e il ruolo che questa attribuisce a priori all’uomo e alla donna possono rappresentare terreno fertile per le differenze in ambito di malattie”.

Una diversa gestione dello stress, lavoro di cura (che è ancora fortemente a carico delle donne) marginalizzazione in diversi contesti che molte donne subiscono, sono solo alcuni dei fattori sociali che hanno impatto sulla salute e sul benessere psicofisico delle donne.

Parlando di dolore cronico durante la pandemia è nato l’interesse per l’impatto che l’ambiente sociale ha sull’esperienza del dolore nelle donne. Proprio durante la pandemia si è iniziato a parlare di più di dolore cronico e pregiudizi di genere (gender pain gap) in relazione a patologie croniche invisibilizzate. Endometriosi, neuropatia del pudendo, fibromialgia e vulvodinia sono esempi di patologie croniche con notevole ritardo diagnostico perché poco conosciute.

“Se le differenze biologiche esistono, vogliamo saperlo. Se vogliamo costruire una società più equa, dobbiamo però fare di più: dobbiamo essere in grado di comprendere questi divari e adattarli” afferma De Francia, che è anche referente per la medicina di genere dell’università di Torino.

Lo studio delle differenze biologiche è dunque fondamentale per garantire accesso e servizi adeguati a chiunque ma non può prescindere dall’analisi del ruolo di genere. La stessa esperienza pandemica ci ha rivelato che il virus colpiva allo stesso modo uomini e donne in termini numerici, ma l’aspettativa di vita e il decorso sono stati più gravi nella popolazione maschile. È importante però capire che la medicina di genere non è la medicina delle donne, ma la medicina di ciascun individuo, un approccio volto a studiare le variabili biologiche e di genere che caratterizzano tutti e tutte.

In Italia si parla di medicina di genere dagli anni 90’ e l’attenzione è cresciuta nel tempo. Nel 2005 è nato ad esempio l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, oggi conosciuto come Fondazione ONDA, che promuove l’equità di genere in ambito salute e attraverso lo studio e campagne di sensibilizzazione e informazione rivolte a professionisti sanitari, istituzione e popolazione generale. Nel 2008, il comitato nazionale di Bioetica ha pubblicato il rapporto “La sperimentazione Farmacologica sulle donne”, in cui riferiva dell’importanza di una equa considerazione della donna nella sperimentazione contro la pericolosità di una farmacologia neutrale.

Nel 2011, invece, l’AIFA ha istituito il Gruppo di Lavoro su farmaci e genere che partendo dalla sottorappresentazione delle donne nelle ricerche mediche e farmacologiche e mancanza di un’analisi di dati dal punto di vista di genere, si è posto l’obiettivo di partecipare attivamente al cambiamento attraverso una serie di attività come sensibilizzazione delle aziende farmaceutiche al tema e raccolte di dati suddivisi per genere su consumi, spese e reazioni avverse. Nel 2018, è stata approvata una legge che introduce il concetto di medicina di genere, mentre l’anno successivo è stato varato il Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere nel sistema sanitario nazionale.

L’obiettivo è rendere la medicina di genere realtà nelle istituzioni di formazione e cultura, come università, ma anche in ospedali e ambulatori di medicina di base.

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