TRE SGUARDI DIFFERENTI NEL MEDESIMO PERCORSO IN HOSPICE: PAZIENTE, CAREGIVER, OPERATORE – ESPERIENZA DI ANDREA PATTARO.

L’idea di questo lavoro nasce come Project Work per il Master in Medicina Narrativa di Istud e dalla collaborazione con la mia tutor, Francesca Bracco.

Il punto di partenza è stata la quotidianità del mio lavoro come medico responsabile di un Hospice e il desiderio di migliorare l’ambiente e la permanenza in Hospice dei nostri pazienti, ma non solo: porre attenzione a tutti quei piccoli particolari che a volte ci sfuggono (il clima nelle stanze, il linguaggio usato, i sorrisi, etc.), ma che per il paziente ed i familiari a volte fanno la differenza. Uno dei termini più utilizzati nelle narrazioni è stato, ad esempio, “tranquillità”.

Lo sguardo o il sentire del paziente è la parte che già indaghiamo, ma mi sono reso conto che spesso diamo per scontato il punto di vista del caregiver che sovente rimane in Hospice durante tutta la degenza del familiare e affronta, durante quelle settimane, un percorso difficile con momenti che rimarranno con lui per sempre.

Altro campo che volevamo indagare era il racconto/vissuto dell’operatore di riferimento, che in molti casi si trova a dover gestire situazioni che emotivamente non terminano con l’orario di lavoro. Premetto che, sia per quanto concerne il caregiver, sia per l’operatore, esiste la figura dello psicologo all’interno dell’Hospice; tuttavia, quello che cercavamo era il racconto puro e diretto senza filtri di alcun genere.

Non meno importante, un altro aspetto che desideravamo proporre era l’utilizzo di tre metodiche diverse di narrazione, proprio perché fosse subito evidente a quale figura si riferiva la narrazione e perché ognuno avesse lo strumento, a nostro parere, più adatto.

Per questo abbiamo scelto: per il paziente, l’utilizzo dell’IPOS, che già viene sperimentato come scala di riferimento per tutti i pazienti in Hospice; per il caregiver, una narrazione strutturata; infine, per l’operatore, una narrazione libera.

Per tutte e tre le tipologie di partecipanti al Project work, sono stati indicati tre momenti chiave della permanenza in hospice: il primo giorno, il settimo giorno e al cambiamento del quadro clinico (miglioramento o peggioramento).

L’IPOS è una scala validata e appartiene alla categoria dei Proms (Patient Reported Outcome Measures), che, attraverso 17 domande, esplora e misura le principali dimensioni della sofferenza: sintomi fisici, aspetti psicologici e relazionali, aspetti esistenziali, bisogno di informazione e aspetti pratici e sociali, al fine di costruire un PAI (Piano Assistenziale Individualizzato) il più possibile centrato sulle esigenze del paziente in base al suo vissuto e ai suoi aspetti di vita.

L’IPOS viene compilato dal paziente ogni tre giorni, per poter valutare se c’è un miglioramento e se gli strumenti, farmacologici e non, messi in atto stanno andando nella direzione giusta o meno.

Gli aspetti che hanno portato ad un ampio utilizzo di questa scala in Cure palliative sono principalmente tre: è uno strumento adatto a valutare e a monitorare nel tempo i problemi e le preoccupazioni del paziente; favorisce una discussione tra i professionisti che si basa su un modello patient centered; da ultimo, è possibile impiegarlo per valutare il raggiungimento degli obiettivi, in quanto è uno strumento in grado di evidenziare cambiamenti significativi nello stato di salute del malato.

L’IPOS paziente è la narrazione che farà da riferimento per le altre due, al fine di capire come al cambiamento del Performance Status Generale del paziente ci sia stato o meno un cambiamento

nella stessa direzione da parte delle altre due figure coinvolte: posso dire che non sempre è stato cosi, a volte, anzi, gli sguardi divergevano completamente.

Per il caregiver abbiamo scelto una narrazione strutturata, in modo da guidare il familiare e centrare l’attenzione su alcuni particolari che ci saranno utili, un domani, per poter correggere e migliorare alcuni aspetti del nostro lavoro. Ad esempio, per quanto riguarda l’accoglienza in Hospice, il primo impatto con un luogo che naturalmente porta con sé paure e preconcetti.

Con la narrazione dei caregiver abbiamo ottenuto quello che cercavamo, cioè la massima libertà d’espressione, libera da giudizio e stigma. Questo ha permesso a loro di dire cose che mai avrebbero raccontato e a noi di aiutarci a capire che nulla può essere dato per scontato, quando entri nelle storie di vita delle famiglie in un momento molto particolare e ricco di contenuti emotivi variamente declinati, “positivi” e “negativi”. Questo ha rafforzato ancora di più l’importanza della nostra neutralità e assenza di giudizio, nel momento in cui ci rapportiamo con loro, ma al tempo stesso dell’importanza della nostra autenticità: in un momento così forte, familiari e pazienti colgono subito l’operatore autentico e quello che non lo è.

Per la narrazione dell’operatore, infine, abbiamo scelto una narrazione libera suddivisa in tre momenti: ci è parsa la modalità più adatta per capire come il vissuto del paziente e del caregiver sia stato accolto e metabolizzato dall’operatore di riferimento. L’obiettivo era quello di aiutare anche l’operatore ad avere consapevolezza delle sue emozioni, “positive” o “negative”, da rielaborare e accettare anche oltre il suo tempo di lavoro, naturalmente sempre in totale assenza di giudizio o di analisi di tipo psicologico/emozionale: sappiamo che ogni emozione, in realtà, non è né buona, né cattiva, bensì un segnale stradale da esplorare e di cui far tesoro. Questo soffermarsi sui propri vissuti emotivi ha aiutato gli operatori a rivedere e riflettere su aspetti che non avevano rilevato, ma che emergevano forti dai racconti, e a conoscere uno strumento utile come la narrazione. Per alcuni infermieri più giovani, inoltre, la scrittura su carta è stata una riscoperta di qualcosa di autentico e di liberatorio.

In questi giorni mi è stato comunicato che potrò presentare il progetto al Congresso nazionale delle Cure Palliative della SICP, non solo come poster, ma come presentazione orale, avendo suscitato l’interesse della commissione. Questo mi fa molto piacere, perché la Medicina Narrativa si sta dimostrando, nel mio piccolo ambito e nella mia piccolissima esperienza, uno strumento straordinario.

In questi mesi, fra l’altro, ho partecipato anche ad un progetto regionale per i Caregiver, dove tra le varie attività (Pet Therapy, Musicoterapia, Teatro, Yoga) è stato inserito un modulo di Medicina Narrativa, nel quale, nei tre incontri cui ho presenziato, ho ritrovato gli stessi aspetti positivi del Progetto: libertà di espressione ed effetto positivo terapeutico sul caregiver che, nello scrivere e rileggere la propria narrazione, ritrova elementi sui quali non si era soffermato.

Concludo sottolineando che la Medicina Narrativa, nel mio ambito di lavoro delle Cure palliative, si sta dimostrando un mondo ricco di risorse e di arricchimento, per riuscire ad aiutare al meglio familiari e pazienti in uno dei momenti più peculiari ed emozionanti della vita di ognuno.

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