L’invecchiamento attivo nella nostra società

Ospitiamo un estratto del contributo elaborato da Marianna Davidde, partecipante alla XVI edizione del Master Scienziati in Azienda organizzato dalla Fondazione ISTUD

La versione completa è disponibile per il download: Invecchiamento attivo, di Marianna Davidde (invecchiamento attivo nella storia e nelle narrazioni mediche)

invecchiamento attivoSempre più frequentemente ormai sentiamo parlare di “Invecchiamento attivo”, ma qual è il vero significato di questo termine e quando nasce l’esigenza di attribuire tale aggettivo ad un processo naturale ed inevitabile come l’invecchiamento?

Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’invecchiamento attivo è “un processo di ottimizzazione delle opportunità relative alla salute, partecipazione e sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone anziane“.

Ma siamo sicuri che l’unico scopo sia migliorare la vita degli anziani?

L’invecchiamento attivo è certamente un “processo di ottimizzazione” ma non solo per gli anziani.

D’altronde, come sottolinea la WHO:

Siamo di fronte al più grande cambiamento demografico mai accaduto prima d’ora nella storia. L’invecchiamento globale della popolazione comporterà richieste sociali ed economiche alle quali bisognerà fare fronte. Mantenere la popolazione attiva è dunque una necessità non un lusso“ (WHO – World Health Organization).

Dinanzi all’invecchiamento della popolazione, l’OMS ha messo a punto un vero e proprio piano strategico, l’Active Ageing, con lo scopo di creare le condizioni per un “invecchiamento attivo” ,molto prima del raggiungimento dell’età anziana. “Salute, Partecipazione e Sicurezza delle persone anziane” sono i tre pilastri dell’Active Ageing. Lo scopo è sostituire le vecchie politiche che considerano le persone anziane come soggetti passivi, con politiche che riconoscano ad ognuno il diritto e la responsabilità di avere un ruolo attivo e partecipare alla vita della comunità in ogni fase della vita, compresa l’età anziana.

In pratica si vuole dare all’immaginario collettivo una visione più positiva dell’invecchiamento, abbandonare l’idea dell’anziano malato, solo e depresso a favore di un anziano proattivo e che partecipi attivamente alla vita sociale.

Non a caso l’ICAA –  International Council on Active Ageing, sta sostituendo termini come “vecchio, senior, ritiro, pensionamento” con altri più dolci e diplomatici quali “anziani, popolazione adulta più anziana”.

La promozione dell’invecchiamento attivo non è un concetto recente: il “Primo piano d’azione internazionale sull’invecchiamento” fu concordato dall’ONU a Vienna nel 1982. Il 1999 è stato proclamato “Anno internazionale degli anziani” ed il 2012 “Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale”.

L’estrema importanza dall’Europa al tema dell’invecchiamento attivo della popolazione, è dimostrata dal fatto che nel corso del 2012 ,“Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni”, è stato messo a punto l’indice di invecchiamento attivo.

Tale indice misura la possibilità degli anziani di realizzarsi in termini di autonomia, occupazione, partecipazione sociale e culturale. Gli indicatori utilizzati sono: il tasso di occupazione, lo svolgimento di attività di volontariato, la partecipazione politica, lo svolgimento di esercizio fisico, l’accesso ai servizi sanitari ed infine la sicurezza economica. Altri indicatori valutati sono strettamente correlati all’ambiente esterno e quindi: l’aspettativa di vita, il benessere psicologico, l’uso delle tecnologie. Secondo questo indice l’Italia è al 15esimo posto su 27 Stati Europei.

Complice dell’attività degli anziani italiani è certamente la crisi economica che l’Italia sta vivendo, con tutte le conseguenze che essa determina.

Se fino a qualche anno fa i nostri anziani erano solo nonni a tempo pieno, oggi sempre più frequentemente incontriamo anziani con la 24ore costretti a lavorare fino a tarda età per supportare la sfortunata generazione dei figli. Tutto ciò contribuirebbe al loro invecchiamento attivo.

Tuttavia le politiche per l’invecchiamento attivo in Italia pare siano essenzialmente due: la transizione graduale al pensionamento e il prolungamento della vita lavorativa.

La graduale transizione al pensionamento consiste nel ridurre gradualmente l’orario di lavoro al fine di rendere meno traumatico il passaggio dallo stato di lavoratore a quello di pensionato. Tuttavia nel 2012 solo il 3,5% dei lavoratori tra i 55 e 69 anni ha utilizzato tale opzione.

Dall’altro lato, il prolungamento dell’attività lavorativa prevede di incentivare i pensionati a continuare a rimanere attivi nel mercato del lavoro. Anche in questo caso tale politica viene applicata solo per alcune categorie quali i liberi professionisti.

La recente riforma pensionistica dimostra come anche le persone in là con gli anni siano considerate una risorsa per il lavoro.

E’ anche vero, però, che l’allungamento della vita lavorativa dovrebbe essere accompagnato dalla creazione di condizioni che rendano tale obiettivo fattibile.

Presi dalle riforme e dall’ottimizzazione dell’utilizzo dei “giovani-anziani” come risorse per la società, rischiamo di perdere di vista quello che è il reale significato della parola “anziano”.

L’OMS parla di invecchiamento attivo e in buona salute, “un processo di ottimizzazione delle opportunità relative a salute, partecipazione e sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone anziane”. Si tratta quindi di un processo che interessa l’intero ciclo di vita ed è influenzato da diversi fattori. La stessa Unione Europea indica quattro aree principali nelle quali agire:

  • l’ambito lavorativo
  • la partecipazione sociale
  • la salute ed il mantenimento dell’autonomia
  • la solidarietà tra le generazioni.

Molteplici sono i modi attraverso i quali è possibile promuovere la partecipazione sociale degli anziani:

  • attività di volontariato
  • cittadinanza attiva
  • sviluppo di reti sociali

Molti sono gli esempi di attività nel volontariato, come il network SEVEN (Senior European Volunteers Exchange Network), una rete europea di 29 organizzazioni che promuovono l’apprendimento continuo e il volontariato tra le persone anziane.

Molto interessante è l’istituzione da parte della Regione Veneto del Servizio Civile per persone anziane che prevede il loro coinvolgimento nel lavoro delle pubbliche amministrazioni attraverso attività quali:

  • animazione;
  • gestione, custodia e vigilanza di musei, biblioteche e parchi pubblici;
  • conduzione di appezzamenti di terreno i cui proventi sono destinati ad uso sociale;
  • iniziative volte a far conoscere e perpetuare le tradizioni di artigianato locale;
  • assistenza culturale e sociale negli ospedali e nelle carceri;
  • interventi di carattere ecologico nel territorio.

Inoltre, le nuove tecnologie consentono un’amplificazione dello sviluppo di reti sociali. Un esempio è dato dal progetto Go-my life che mira ad aumentare la qualità della vita delle persone anziane attraverso l’utilizzo dei social network e dei sistemi di comunicazione mobili.

Al fine di favorire il mantenimento dello stato di salute e dell’autonomia, si sta promuovendo la diffusione di soluzioni che utilizzino la tecnologia (telemedicina, dispositivi per l’abitare assistito, etc.), azioni specifiche di promozione della salute ed azioni di sostegno.
Il progetto ICT for health mira alla diffusione di strumenti tecnologici che consentano di autogestire le patologie croniche ed aiutino pazienti ad occuparsi della propria salute determinando, inoltre, un significativo risparmio per il settore sanitario.
Infine, numerosi sono i progetti rivolti alla promozione di stili di vita sani (nutrizione, attività fisica, etc.) o alla prevenzione di problematiche che interessano questa fascia di età.

Approfondimenti:

Invecchiamento attivo, di Marianna Davidde (invecchiamento attivo nella storia e nelle narrazioni mediche)

Zygmunt Bauman, Perché abbiamo tutti paura. La Repubblica.it

Wang Deshun, modello cinese 80enne. Corriere.it

 

Matteo Nunner

Laureato in Lettere all'Università del Piemonte Orientale, si sta specializzando in Scienze Antropologiche ed Etnologiche all'Università di Milano-Bicocca. Giornalista e scrittore vercellese, ha collaborato con molte testate locali e nel 2015 ha pubblicato il romanzo d'esordio "Qui non arriva la pioggia". Nel 2017 ha poi pubblicato "Il peccato armeno, ovvero la binarietà del male".

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