La narrazione è lo strumento attraverso cui ri-organizziamo un’esperienza vissuta unendo personaggi, eventi e accadimenti, conferendo loro un senso e costruendo, di fatto, un significato.
Il senso profondo della narrazione, il modo e lo stile in cui ci raccontiamo rappresentano quella soggettività che ha sempre creato delle diffidenze nel mondo della ricerca scientifica, in quanto non permetterebbe di ottenere una visione “obiettiva” della realtà. Se a questo aggiungiamo l’intersoggettività – ossia il ruolo soggettivo di chi ascolta la narrazione o la analizza, nel caso del ricercatore – le perplessità metodologiche sembrerebbero aumentare.
È vero, persone diverse raccontano storie diverse di uno stesso accadimento; probabilmente, se invitassimo una stessa persona a raccontarsi più volte, la sua storia cambierebbe di continuo. Ma questo non accade anche quando somministriamo indagini o questionari? A quanti è capitato di compilare, anche a breve distanza di tempo, una scala di misura dando risposte differenti?
Più che la “caccia allo strumento ideale” che permette di perseguire la rappresentazione più oggettiva della realtà, a mio avviso bisogna soffermarsi sull’opportunità metodologica unica che gli strumenti narrativi offrono: comprendere quali sono le percezioni di una persona, i suoi obiettivi, quello che pensa di un dato argomento, passando così dall’attenzione alla sola dimensione del quanto a quella del come e del perché.
Questi aspetti, se gestiti con rigore metodologico come da indicazioni contenute nelle linee guida Cultural Contexts of Health: The Use of Narrative Research in the Health Sector, possono dare un notevole contributo conoscitivo, rendendo più ampi e completi i risultati spesso esclusivamente numerici degli strumenti tradizionali quantitativi.
Facciamo un esempio: in oftalmologia, per la valutazione della funzionalità visiva, si utilizza lo strumento validato Visual Function Questionnare (VFQ-25), un questionario composto da 25 domande. La domanda numero 5 recita: Quanta difficoltà ha nel leggere i normali caratteri di stampa dei giornali? Le possibili risposte sono: Assolutamente nessuna – Un po’ – Abbastanza – Estrema – Ha smesso di farlo a causa della vista – Ha smesso di farlo per altri motivi o perché questa attività non le interessa.
La risposta a questa domanda ci permette di comprendere quanto sia difficile leggere un giornale. Dare la parola alla persona attraverso la narrazione permette di capire anche cosa significa per la persona stessa leggere o non poter leggere: cosa ha rappresentato in passato, cosa rappresenta adesso e cosa potrebbe rappresentare in futuro, quando e come si manifestano le difficoltà, se ha potuto compensare in qualche modo questa problematica.
Gli studi osservazionali non interventistici nascono per osservare cosa succede nella realtà, in particolare ponendo l’attenzione sull’efficacia clinica di un trattamento. Tuttavia, negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza della necessità di considerare non soltanto i dati di efficacia ma anche quello che provano i pazienti, quali sono i loro obiettivi in merito ad una cura, cosa effettivamente desiderano. Persone con uno stesso stato di salute, di diagnosi o malattia possono avere percezioni molto differenti sul come si sentono, quali sono le loro capacità di far fronte alle limitazioni della malattia, quale è il loro obiettivo di benessere.
Come Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD abbiamo introdotto, insieme a delle Contract Research Organization (CRO), la somministrazione della narrazione accanto ai questionari e alle scale validate di qualità della vita all’interno di tre studi osservazionali.
Quale migliore prospettiva di osservazione se non quella dell’ascolto aperto, non con domande chiuse che inducono a risposte multiple o al dicotomico sì/no, ma che attraverso stimoli di apertura (prompt narrativi) permettono alla persona di narrare il proprio punto di vista senza influenzare le risposte.
La ricerca attraverso l’uso della narrazione è possibile, con un lavoro rigoroso e il rispetto dei criteri di analisi, e il confronto di due o più ricercatori in modo indipendente. Questo approccio consente di ottenere numerosi dati qualitativi e, attraverso la costruzione di pattern sulle ricorrenze nelle narrazioni, anche dati quantitativi per registrare un vissuto, un’emozione, un bisogno.