Meglio leggere “La morte di Ivan Il’ič”, un classico delle medical humanities, che non una narrazione in cui si parla di un paziente lasciato morire da solo. Di fatto entrambi i testi portano alla stessa questione: la dignità del morire. Ma la penna di Tolstoj ci protegge pensando che sia un atto di pura invenzione, mentre vederselo scritto da un figlio disperato e arrabbiato ci rimanda ad una realtà difficile da inghiottire. – Maria Giulia Marini
Ivan Il’ic ha una vita soddisfacente, una buona carriera, una vita familiare e sociale apparentemente appagante. Nel nuovo appartamento di Pietroburgo, città in cui si è trasferito dopo una promozione, cade da uno sgabello, sistemando una tenda, e prende un colpo al fianco. Il dolore provocato dalla caduta diventa, nei giorni, sempre più forte e tutte le cure si rivelano inutili. Il pensiero della morte gli fa riconoscere la falsità della sua vita, di chi lo circonda, dei suoi apparenti successi. L’unica persona che gli sa stare vicino è un giovane servo che lo assiste fino alla terribile agonia. Morente, capisce che così libererà, prima che se stesso, gli altri dalla sofferenza e con questo pensiero muore sereno.
“La morte di Ivan Il’ič” (“The death of Ivan Ill’ič“) è un classico del corpus letterario di Tolstoj, pubblicato per la prima volta nel 1886. Ancora oggi estremamente attuale e fruibile, ne proponiamo la libera lettura ai nostri lettori.