Con piacere presentiamo un’intervista al professor Girolamo Sirchia, storico primario di ematologia all’ospedale policlinico di Milano, è stato Ministro della Salute dal 2001 al 2005, durante il quale ha dovuto affrontare l’emergenza SARS; è noto anche per la sua legge contro il fumo (legge 16 gennaio 2003, n. 3), che non solo ha impattato non solo sulla salute degli Italiani ma è stata ripresa come modello in tutti i paesi Europei.
MGM. Buongiorno Professore, e ben trovato. Leggo i suoi post sui social network e ne esco sempre arricchita, con una impressione di grandi competenza e pacatezza. Lei era Ministro nel 2003 ai tempi della SARS e ora siamo qui con COVID-19.
GS: Il COVID-19, questa seconda SARS, a differenza della prima, è la dimostrazione di una incredibile assenza di gestione dell’emergenza delle epidemie. Ai tempi della SARS, allora avevo la fortuna di avere una forte amicizia con il segretario di stato americano Tommy Thompson, che si occupava di salute (sotto l’amministrazione Bush, non ascoltato, insisteva sul problema della mancanza di copertura assicurativa per la salute dei cittadini, mentre gli Stati Uniti continuavano a investire soldi nell’ esercito, ndr), per scambi conoscitivi sulla questione del fumo di tabacco. Scoppiò la SARS e venni a conoscenza della loro organizzazione di un Center for Disease Control. Di fatto ho ripreso il modello americano, l’organizzazione dei centri, emanato il Decreto Legge n. 81/2003 (convertito in legge 138/2004): il CDC è governato dal direttore della prevenzione del ministero e dai direttori regionali per la prevenzione, e il suo obiettivo è analizzare, in una rete internazionale con un nucleo di esperti, le epidemie che si manifestano nel mondo e se queste possono arrivare in Italia. Se la probabilità non c’è, si vigila senza intervenire, se c’è, al contrario si costruisce un piano epidemiologico con tre scenari possibili, lieve, medio, e grave. Per ognuno di questi piani poi si fa un programma d’azioni, dal coinvolgimento di tutta la nazione, alla valutazione dell’approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla definizione dei protocolli per medici ospedalieri e di territorio, per gli infermieri, per l’esercito e la protezione civile. Così nello scenario grave, come questo ultimo del 2020, quando arriva l’epidemia non ci si trova nel Caso.
MGM: Ma noi ci siamo trovati nel caso, potremmo dire nel caos; a oggi ancora manca un piano per la medicina territoriale, si discute ancora su chi deve fare i tamponi; cosa è successo quindi a questo CDC?
GS: È stato finanziato fino al 2012, e nel 2012 è stata massacrata la sanità (assieme alla scuola, ndr): sono saltati i piani di gestione della epidemia, ci siamo trovati scoperti senza medici di medicina generale, senza dispositivi di protezione prodotti in Italia, continuando a dare alla Cina la produzione di questi DPI, anziché potenziare la produzione in Italia. Ecco che la Cina ha venduto anche prodotti scadenti al miglior offerente. Insomma, è venuta a mancare la cultura del rischio, cultura degli scenari di gravità e di cosa poter mettere in campo. La SARS COVID-19 è una patologia allarmante, e non sarà neanche l’ultima pandemia, se non si mettono a processo ingegnerizzato queste situazioni.
MGM: Dunque è mancato Risk management e Disaster recovery. Occupandoci di narrativa e dunque di comunicazione, con Lei vorremmo esaminare due aspetti: la narrativa che gli scienziati e i medici hanno avuto con il pubblico e la narrativa dei giornalisti durante la pandemia nel 2020.
GS. Nel piano epidemiologico del CDC c’è proprio un capitolo che prevede la comunicazione al personale sanitario e alla popolazione: tutto quello che qui non è successo, ed è stato disatteso. Ad esempio, non c’è stato un unico portavoce del comitato tecnico scientifico, un unico assegnato, o un paio di persone delegate a rilasciare comunicazioni. Per mancanza di questi portavoce, ognuno ha diritto di parola in un’incertezza spaventosa: si vedano i contrasti tra gli scienziati cha appaiono e vengono fomentati dai talk show.
MGM: D’altro canto, la scienza va anche avanti per dispute, confutazioni, i risultati per loro natura devono essere messi in discussione.
GS: Sì, ma queste dispute rimanere dietro le quinte per l’opinione pubblica. È questa incertezza tra scienziati che porta le persone a essere da un lato terrorizzate, dall’altro a non credere alcuna informazione per i continui ripensamenti d’azione: le persone sono intelligenti, ma in un momento come questo, di grande crisi, c’è bisogno di chiarezza.
MGM L’effetto della confusione è questa polarizzazione tra “negazionismo” e “terrorismo”: in Germania la Cancelliera Angela Merkel ha informato tutti i suoi cittadini con grande chiarezza, senza nascondere nulla.
GS: Infatti, e non sta succedendo quel fracasso quotidiano a cui assistiamo: qui nessuno è più credibile, ognuno fa di testa sua. Il Ministero della Salute – che per noi era rappresentato dal CDC – avrebbe dovuto organizzare una comunicazione istituzionale, due volte al giorno con chiarezza e trasparenza. Invece noi ogni sera abbiamo un talk show, di persone che litigano “l’una contro l’altra armata”.
MGM: Mi fa riflettere, forse i medici dovrebbero fare un passo indietro?
GS: A volte dovrebbero proprio tacere. La verità è che siamo in guerra, contro un nemico che si chiama virus. Ci vuole quindi una catena stretta di comando, e in una guerra comandano in pochi, a tempo determinato e non tutti, e ci sono degli ordini e dei divieti di intervento. La popolazione deve essere informata sempre e in verità, le cose non vanno affatto edulcorate e mitigate. Esattamente come aveva impostato la comunicazione Anthony Fauci, che è bravo, credibile, autorevole e rispettato (poi esautorato dall’amministrazione Trump, ndr).
MGM: Siamo in guerra; grazie a chi ci ha raccontato la seconda guerra mondiale, perché l’ha vissuta da piccolo, sappiamo che bambini e ragazzi non andavano per qualche tempo a scuola perché erano chiuse. Ora c’è la storia della didattica a distanza.
GS: Walter Bergamaschi, direttore della ATS di Milano, laureato in fisica, mi aveva fatto vedere la proiezione dei contagi in coincidenza con la riapertura delle scuole, a ottobre: i dati erano già drammatici, con proiezioni che non lasciavano speranza. Mi rendo perfettamente conto che sto dicendo qualcosa di estremamente doloroso per bambini, ragazzi e famiglie, ma la didattica a distanza rimane a oggi il minor male. Per qualche mese è un male necessario, almeno per portarci a casa del tempo in attesa di terapie più efficaci.
MGM: Professore, veniamo alla curva di apprendimento delle cure: dal punto 0, momento di comparsa del Virus il 21 febbraio a oggi è cambiato qualcosa?
GS: All’inizio, nessuno sapeva niente sulla gestione di questi pazienti, poi sono emerse informazioni importanti: le persone sono morte per trombosi venose polmonari, e questo riscontro è venuto fuori grazie alle autopsie eseguite per la prima volta in Germania. Il nostro sistema di finanziamento a DRG prevede sì l’autopsia, ma è costosa, e allora cosa si fa ancora per risparmiare? Si tagliano i soldi lì, invece di investire in conoscenza. Perché l’autopsia è fondamentale per capire come si svolge la malattia: tutto quello che è venuto dopo, il cortisone, l’eparina, l’aspirina, lo dobbiamo proprio a questa procedura. Certo, siamo in attesa del vaccino, o di un antivirale, di anticorpi monoclonali, strumenti che ci permetteranno di riprendere una vita normale.
MGM: Nel libro Spillover, David Quammen, biologo e reporter del National Geographic, scrive che attraverso la deforestazione continua, l’inquinamento con conseguente riscaldamento globale, gli spill out (versamenti del petrolio), l’antropizzazione, abbiamo distrutto la biodiversità nella sua flora e fauna. E dunque i virus, da sempre esistiti, da molto prima dell’Homo Sapiens, entrano più facilmente in contatto con noi, anche nei nostri animali domestici poiché abbiamo distrutto le specie intermedie – animali selvatici che non si ammalavano. Nella nostra storia, infatti, non sono mai state registrate così tante epidemie come dal secondo dopoguerra: e mai la foresta è stata così velocemente abbattuta come negli ultimi settant’anni. Pensa che ci possa essere una relazione tra zoonosi e il modo in cui abbiamo trattato la terra?
GS: La relazione è certa: si parla di One Health, che sono gli sforzi collaborativi di più discipline che lavorano a livello locale, nazionale e globale, per raggiungere una salute ottimale per le persone, gli animali e il nostro ambiente. Pensiamo agli animali che noi alleviamo in maniera vergognosa, al chiuso senza possibilità di muoversi, imbottiti di ormoni, costretti in modo incivile, per far brillare i cuochi nei Masterchef a parlare di ricette. Ma si potesse parlare di più della Divina Commedia. Rispetto il guadagno, ma non posso accettare che il profitto venga prima della salute; certo, siamo tutti collegati, noi viviamo nello stesso ambiente e dobbiamo tenere l’aria non inquinata e l’ambiente sano.
MGM: Lei ha fatto una legge straordinaria, quella contro il fumo, cercando di agire sullo stile di vita: gli stili di vita positivi agiscono e rinforzano il sistema immunitario, quindi ponendoci in una situazione di potenziale difesa contro il virus?
GS: Basta vedere i dati di mortalità da COVID-19: si tratta di “anziani fragili”, dove per “fragili” si intende portatori di più patologie croniche. È la fragilità quindi la minaccia, non solo la vecchiaia. Le malattie croniche sono la concausa della morte e derivano da stili di vita inadeguati: chi vive bene fin da bambino, mangia in modo salutare, non fuma, si muove, diventa vecchio sì, è inevitabile, ma non fragile…
MGM: Non fragile. “Anti-fragile” è un termine che supera quello di resiliente. Grazie ancora Professore per questa sua visione, che dà chiarezza a quanto sta accedendo e che ci lascia anche un po’ di amaro per come si sarebbe potuta gestire la cosa sia dal punto d vista della gestione del rischio sia dal punto di vista della narrazione comunicativa.