Intervista alla dottoressa Margherita Gambaro, Responsabile Ufficio Formazione, San Raffaele Milano
Si dice che spesso le persone con forti capacità e competenze relazionali hanno più successo delle altre, sia nella vita professionale che personale. Questo è ancora più vero se parliamo di professioni sanitarie, come il medico, lo specialista, l’infermiere… Per queste figure professionali, infatti, la comunicazione è uno degli aspetti fondamentali da mettere in pratica nella routine lavorativa quotidiana, nei confronti dei propri assistiti e delle loro famiglie. Purtroppo al giorno d’oggi, la progressiva ‘aziendalizzazione’ degli ospedali ha compromesso questo aspetto in favore dell’efficienza, spingendo i professionisti sanitari a ritmi sempre più serrati e ad sostituire il tempo da dedicare alla persona a visita alla numerosa burocrazia richiesta.
All’Ospedale San Raffaele di Milano, questo tema è oggetto di corsi di formazioni per i professionisti sanitari, contribuendo a consolidare questo ospedale come un polo di eccellenza anche in questo ambito.
Riportiamo qui di seguito, la testimonianza della dottoressa Margherita Gambaro, Responsabile dell’Ufficio Formazione dell’Ospedale San Raffaele di Milano ed ex partecipante al Master ISTUD di Medicina Narrativa Applicata:
Sono al San Raffaele dal 2003 e ho iniziato quasi da subito ad occuparmi di formazione. La mia è una formazione umanistica e giuridica e devo dire che, nei primi tempi, la competenza giuridica è stata sicuramente prevalente. La formazione in sanità è regolata da norme in continua evoluzione, dall’Educazione Continua in Medicina, alla sicurezza per i lavoratori e i pazienti, a specifici ambiti o settori che prevedono un aggiornamento periodico obbligatorio, penso ad esempio all’area dell’HIV. L’aggiornamento è fondamentale per un professionista sanitario, ma in questi anni di esperienza, ho imparato che, se accompagnato da un percorso di sviluppo anche degli aspetti relazionali, di comunicazione e di emozione, beh allora diventa veramente “prendersi cura”. Il Master di Medicina Narrativa che ho frequentato in ISTUD mi ha insegnato questo. Mi ha aiutata a mettere ordine, a riportare alla luce e a dare un nome alle “altre cose” che fanno comunque parte della malattia e della cura.
Nel Piano Formativo del San Raffaele abbiamo sempre dedicato un capitolo alla Formazione in tema di “Umanizzazione delle cure”. Negli ultimi 10 anni sono stati sempre presenti sia percorsi sul Fine Vita e il carico emotivo per i professionisti del doversi occupare, oltre che di sé stessi, dell’accompagnamento alla morte del paziente e del sostegno ai familiari di quest’ultimo, sia percorsi in tema di benessere degli operatori sanitari. Anche se i fondi per la formazione sono pochi e dedicati prevalentemente alla formazione obbligatoria, abbiamo cercato e utilizzato finanziamenti tramite bandi e fondi interprofessionali per rendere sostenibili le iniziative proposte. Recentemente, la partecipazione al Bando Aver Cura insieme alla Fondazione ISTUD ha riacceso interesse ed entusiasmo anche sul tema della Medicina Narrativa, come metodo per lavorare sulla relazione tra professionista sanitario e nucleo paziente basato sull’osservazione e l’ascolto dei pazienti che vivono l’esperienza di malattia. Questo ha permesso anche ai più scettici di avvicinarsi a un argomento come la relazione con il paziente, in modo strutturato e scientifico, perché per alcuni è più facile accettare e affrontare un’emozione se c’è una “procedura” che ti guida. Ben venga, ognuno di noi è diverso e deve poter scegliere il percorso e lo strumento più adatto a sé. La varietà e la molteplicità di contenuti e docenti su queste tematiche sono una ricchezza e un valore imprescindibile.
Quando in un’aula ci ritroviamo a ripercorrere i motivi e le aspettative che ci hanno portati a lavorare in un ospedale, ognuno con il suo ruolo e la sua funzione, allora constatiamo che quella fiamma, affievolita da stress, problemi, ansia, urgenze, … è sempre lì ed è sempre accesa. In un ospedale tutte le professioni sono “professioni di cura”, dal medico, all’infermiere, al personale di accettazione, ausiliario, amministrativo, il fine ultimo è sempre lo stesso, prendersi cura. Anche la mission dell’Ufficio Formazione è “Curare le persone che curano”. Chi si occupa quotidianamente della salute delle persone ha bisogno non solo di aggiornare le proprie competenze tecniche e scientifiche ma anche di coltivare i propri talenti relazionali perché l’efficacia della sua prestazione di cura può essere davvero amplificata in maniera esponenziale da uno sguardo, un tocco, una parola, un sorriso.
Sembra così semplice e scontato, eppure quando in aula porti ciascuno a riflettere sul proprio modo di relazionarsi, quando leggi ai partecipanti le “narrazioni” dei pazienti, quando fai degli esempi concreti, quando proponi uno scambio di ruoli, è come se sentissi quell’”aaaaaah” che ad alcuni scappa e ad altri rimane stampato sul viso. Empatia e compassione sono a disposizione in ciascuno di noi e attraverso questi percorsi “formativi” ognuno di noi ritrova la sua mappa personale per raggiungerle.
L’aspetto più bello di questi corsi è che non sono obbligatori ma basati sulla voglia e sul desiderio; si iscrive solo chi è interessato; e sono terribilmente contagiosi! Chi partecipa vuole continuare, chiede altri corsi sul tema, altri momenti di incontro e diffonde e consiglia l’iscrizione ad altri colleghi.
Partecipando a questi eventi non spariscono le urgenze, lo stress, i problemi, non si allungano le ore di una giornata, non si cambia il modo di fare del capo o del collega. Si affronta tutto con una consapevolezza diversa, con strumenti che abbiamo già e che dobbiamo riprendere e utilizzare, senza bisogno di abbassare lo sguardo, trascinare i piedi, alzare la voce o peggio le spalle, o nascondersi dietro un macchinario. Quando un professionista scopre che questa attività formativa non è l’ennesima cosa da fare che si aggiunge a tutte le altre, ma ti offre la possibilità davvero di cambiare prospettiva, ecco allora che per la prima volta abbiamo dovuto creare una lista di attesa non solo per il classico BLS-D, ma anche per “I linguaggi della cura”.