Volentieri pubblichiamo il project work di Piero Bottino, geriatra presso il Presidio Sanitario San Camillo di Torino e partecipante dell’ultima edizione del Master in Medicina Narrativa Applicata dell’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD.
La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa (seconda come frequenza alla Malattia di Alzheimer) che colpisce circa l’1% delle persone oltre i 60 anni e il 4% oltre gli 85, con una lieve prevalenza del sesso maschile.Causa difficoltà motorie (rigidità, tremore, bradicinesia, cadute…) e disturbi cosiddetti non motori, (stipsi, disfagia, disfonia…) insieme a deficit cognitivi più o meno gravi (difficoltà di memoria, attenzione, concentrazione ecc.).
Da molti anni, nel Presidio Sanitario San Camillo di Torino, dove lavoro, è attivo un servizio di riabilitazione, strutturato come Day Hospital, particolarmente dedicato a persone con questa patologia ed alle loro famiglie. Proprio la varietà dei sintomi che la patologia può causare richiede un approccio riabilitativo “multidisciplinare”, che comprenda cioè varie professionalità in grado di rispondere alle diverse esigenze riabilitative dei pazienti. Della nostra équipe fanno parte fisioterapisti, logopedisti, psicologi e neuropsicologici, infermieri, terapisti occupazionali, medici, musicoterapeuti.
Dal marzo scorso, per il propagarsi della epidemia di Sars-Cov-2, tutti questi trattamenti sono stati improvvisamente interrotti. Ciò ha causato un grave disagio tra i pazienti, privati di una risorsa preziosa per il mantenimento delle loro attività e autonomie, ed anche tra gli operatori, consapevoli di interrompere un importante servizio di cura. Tra noi e molti pazienti, negli anni, si è stabilito un legame sia professionale che personale, fatto di conoscenza e stima reciproca. Questo ha permesso alle due fisioterapiste che da anni lavorano con loro di organizzare rapidamente, in modo del tutto spontaneo, sedute di riabilitazione on line, usando una diffusissima piattaforma semplice e di facile utilizzo da vari dispositivi. Hanno inviato l’invito a partecipare ad alcuni pazienti e il gruppo si è formato in pochi giorni. In modo informale, quindi, saltando procedure burocratiche e impedimenti tecnici, la riabilitazione on line è diventata realtà nella nostra struttura.
Il gruppo ha compreso 37 pazienti, che seguivano le sedute da casa, a giorni alterni ed a orario fisso. Il successo è stato clamoroso: moltissimi attestati di apprezzamento sono arrivati alle terapiste ed alla direzione. Per valutare in modo più sistematico il gradimento e l’efficacia di questo tipo di trattamenti, le due fisioterapiste hanno elaborato e somministrato ai partecipanti un questionario a risposta chiusa con uno spazio aperto per considerazioni finali.
Questo grande successo mi ha dato l’idea di integrare al questionario le narrazioni per identificare i punti di forza e le carenze del servizio, analizzare emozioni, attese e criticità, comparandoli, se possibili, con i risultati del questionario. Con l’aiuto dei tutor di ISTUD nell’ambito del Master In Medicina Narrativa, ho elaborato una traccia narrativa, poi inviata ai pazienti partecipanti, per ottenere informazioni utili e coerenti con lo scopo prefissato.
La risposta è stata buona, 27 di loro mi hanno inviato i loro scritti. Su di essi ho provato ad utilizzare gli strumenti di analisi appresi nel master. Ho cercato di creare una word cloud per cercare eventuali parole ricorrenti, ho analizzato la presenza di metafore, lo stile delle varie narrazioni, i punti di forza e di debolezza del servizio.
Le narrazioni mi hanno aperto una piccola finestra sul mondo delle persone di cui ci prendiamo, almeno in parte, cura. Ci hanno raccontato le loro ansie e la loro soddisfazione nel partecipare a queste sedute, così diverse dal solito. Ci hanno trasmesso apprezzamenti ma anche suggerimenti per migliorare il servizio e renderlo più efficace e fruibile.
Nella costruzione della word cloud, dopo “fisioterapia, esercizi, distanza, attività, sempre, casa” una delle parole che emerge con maggior forza è “gruppo”. Molto meno frequente è la parola “malattia”. Proprio il concetto di gruppo mi ha molto sorpreso. Sono sempre stato scettico sulla possibilità di attuare attività riabilitative a distanza, perché credo che il contatto fisico, la relazione, la parola, lo sguardo, siano elementi essenziali del rapporto di cura e che, attraverso un video, tutto questo venga a mancare. E, invece, l’analisi di queste narrazioni mi ha dimostrato che anche lontani, a distanza appunto, il gruppo nasce, cresce e si struttura. Emerge dagli scritti come l’appuntamento, fisso e stabilito, faccia sentire meno soli, crei uguaglianza nella diversità, rafforzi il senso di appartenenza.
Nel questionario, effettivamente, l’ambito in cui le persone descrivono di aver avuto i maggiori benefici è quello dell’umore, prima di miglioramenti fisici specifici.
Uno degli elementi che più mi hanno sorpreso nell’analisi delle narrazioni è stata proprio la scarsa importanza, quasi nulla, che viene data ai benefici strettamente legati alla patologia. Pressoché tutti i pazienti, nei più vari stili narrativi, hanno manifestato benefici psicologici e relazionali. Sono stati positivamente coinvolti parenti e care giver, l’ambiente domestico ha ridotto la sensazione di essere malati, la puntualità degli appuntamenti è stato uno sprone costante all’attività fisica programmata.
Lo studio delle narrazioni è stato un mezzo potente anche nell’analisi dell’efficacia del metodo. La nostra perplessità sulla fruibilità della tecnologia, da parte di persone spesso non più giovani e con problemi fisici a volte importanti, non ha trovato riscontro in quasi tutti i racconti. Molti sono stati autosufficienti nell’uso di telefonini, PC e tablet, altri hanno usufruito di aiuti esterni familiari, tutti, in qualche modo, hanno potuto attivare ciò che era necessario. Dalle narrazioni si ricava, invece, un importante effetto educativo sull’uso della tecnologia. In un mondo sempre più tecnologico usare questi dispositivi per necessità ha ridotto resistenze e timori, ha reso possibile ciò che si credeva troppo difficile.
L’efficacia delle terapie emerge anche dalla comodità di fruizione, possibile in qualsiasi luogo, senza essere costretti a lunghi spostamenti per arrivare negli ambulatori. Minor costo dei trasporti, minore fatica degli accompagnatori, minore stanchezza dovuta ai viaggi, tutti questi elementi sono narrati con forza e ci consentono di vedere queste metodiche come un valido aiuto ai nostri pazienti.
Dal narrare si può ben ricavare ciò che, invece, non funziona o è elemento poco gradito. Ad esempio, la velocità degli esercizi proposti, l’uso di device poco efficaci, con schermi piccoli, il gruppo troppo grande e dispersivo, la non possibilità di interagire direttamente, sono elementi importanti da cogliere, non come critica ma come preziosi spunti per migliorare.
Certamente la terapia in presenza contiene aspetti non riproducibili a distanza e, a mio parere, ancora essenziali per una buona relazione di cura. Il tocco delle mani, l’attenzione ravvicinata al gesto, la parola di incoraggiamento e correzione sono componenti importantissime, irrinunciabili.
Le narrazioni ci hanno fatto capire che un nuovo modo di “fare riabilitazione” è tuttavia possibile, gradito ed efficace. Ma ci hanno confermato, ancora una volta, che nel grande mondo del prendersi cura, ciò che veramente è cercato è la relazione, lo stare insieme, il sentirsi curato.
L’uso delle narrazioni, l’aprire uno spazio narrativo a chi vuole raccontarsi, costituisce per me un formidabile strumento terapeutico. Il curante che si dispone all’ascolto trasmette un messaggio potente, fa sentire nell’altro il suo desiderio di essere utile a lui, come persona prima che come malato. Nel mondo tecnologico in cui siamo immersi anche la medicina ha bisogno di questa nuova rinascita. L’arte medica, l’arte del curare, non è più solo l’applicazione doverosa e corretta di algoritmi. La relazione non è sostituibile, non passa attraverso calcoli e numeri. La relazione consente un confronto “non violento” tra curante e curato, tra mondo medico e mondo reale.
La medicina narrativa, nuova disciplina vecchia di secoli e di saggezza, permette la riscoperta di questa strada. Richiede attenzione, tempo e cultura, ma soprattutto chiede a chi indossa un camice umiltà e pazienza. Curare è anche ascoltare.
Il tempo gioca a nostro favore, se sappiamo utilizzarlo bene, anche a costo di ulteriori spese.
Il tempo è dannato se il dolore satura la nostra giornata arrivando ad impedirci di accettare il nostro stato
Il tempo è maledetto se non abbiamo qualcuno che si prende cura di noi e non solo fisicamente
Il tempo scorre implacabile, alternando le ore del giorno e della notte e dove, molte volte non siamo noi a scandirle, ma i nostri movimenti e i nostri dolori.
– dalla narrazione di un paziente
Complimenti a Piero Bottino per questo interessantissimo lavoro di ricerca esplorativa e descrittiva di una azione di cura messa in atto “a distanza” ma non per questo meno efficace!!
Un bel lavoro, semplice, attento e ricco di verità e buon senso. Una strada che se ben organizzata potrebbe risolvere la questione della riabilitazione sotto tanti aspetti specie in termini di sostenibilità. Grazie per questi spunti.