Susana Magalhães, PhD, ricercatrice nel campo della Bioetica, della Letteratura e della Medicina Narrativa per l’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Portogallo.
D. Cos’è la Medicina Narrativa per lei?
SM. La Medicina Narrativa è un’attitudine intellettuale e una pratica che si focalizza sull’esperienza della malattia, della percezione sociale del paziente e del caregivers e sulle basi biologiche della malattia, tessendo queste dimensioni tramite la narrazione. Dal mio punto di vista, la Medicina Narrativa non esclude né la scienza né la tecnologia, anzi le integra in una rete di cura radicata nell’interazione interpersonale. Richiede un cambiamento nel modo di guardare da parte di tutti coloro che sono coinvolti nella cura, soprattutto perché ci sfida a vedere, guardare e notare chi, e non solo cosa, sia l’altro. La Medicina Narrativa mira a integrare la polifonia e il dialogo, intesi secondo le teorie di Bakhtin sul discorso. In Problemi dell’opera di Dostoevskij, Bakhtin sviluppa il concetto di polifonia (preso in prestito dalla musica), che letteralmente indica una molteplicità di voci, ciascuna con la sua propria prospettiva, validità, e peso narrativo nel racconto. Nell’analisi che Bakhtin fa dell’opera di Dostoevskij, non vi è un singolo mondo oggettivo, tenuto insieme dalla voce dell’autore, vi è invece una pluralità di coscienze, ciascuna col proprio mondo. Questa realtà multivocale è l’essenza di ogni incontro clinico.
Medici, infermieri, assistenti sociali, pazienti, caregivers, tutti devono dialogare, e il potere di dare un significato non può essere monopolizzato da nessuno di questi “personaggi”. Nel monologo, una prospettiva o coscienza trascendentale integra, organizza, sistematizza la realtà, cancellando tutto quello che è irrilevante per la sua prospettiva. La Evidence-Based Medicine, facendo troppo affidamento sulle somiglianze, le repliche, le statistiche, tende a silenziare la molteplicità di voci che deve essere ascoltata da chi vuole migliorare la qualità della cura. Il monologo implica aderire a una rappresentazione del mondo che risalta come l’ultima parola, precludendo tuttavia ogni cenno di soggettività, identità, individualità. Questo è precisamente quello che la Medicina Narrativa si rifiuta di fare: ridurre tutta la cura al trattamento, ridurre tutte le voci a un singolo discorso; al contrario, apre spazi per la cura e per il dialogo. Nel 2015 siamo consapevoli che la filosofia dietro la Medicina Narrativa non sia nuova, ma richiede una nuova metodologia, e sta lentamente conquistando terreno tra le professioni sanitarie. Il vero problema che dobbiamo affrontare è come integrare la Medicina Narrativa nell’organizzazione e nella gestione dei servizi sanitari. Vi sono questioni importanti che dobbiamo affrontare quando proviamo a diffondere l’approccio narrativo in sanità: come gestiamo il tempo? Possono la narrazione e le nuove tecnologie coesistere nelle Medical Humanities? Vi è un ponte tra le nuove tecnologie e le storie di cui vogliamo fare parte? Noi assumiamo che la Medicina Narrativa permetta diagnosi più veloci e più accurate; una riabilitazione orientata all’individuo; aderenza alle terapie; meno conflitti; riduzione dei costi, minor rischio di burn-out, minori residui morali. La ricerca su questi aspetti deve essere portata avanti con metodologie qualitative e quantitative, in modo da integrare la Narrative-Based Medicine nell’educazione medica, nella pratica clinica e nella gestione delle organizzazioni sanitarie.
D. La Medicina Narrativa può offrire importanti strumenti teorici e pratici nel contesto di cura?
SM. La narrazione apre spazi per la forza del possibile, che significa che la letteratura e le storie in generale ci aprono possibilità che altrimenti sarebbero rimaste chiuse, sottolineando così la loro forza. Pertanto, quando parliamo della responsabilità della letteratura, quello a cui ci riferiamo è una responsabilità di apertura e libertà: il tipo di libertà che è intrinseco all’essere e alla sua fioritura nel tempo e nello spazio. Questa “forza del possibile” è precisamente quello che le storie di malattia, come i testi letterari, propongono a noi – lettori, ascoltatori, narratori, curanti. Il mondo di possibilità che è parte della natura letteraria coinvolge i lettori/ascoltatori in cerca di percorsi alternativi, differenti visioni del mondo, permettendo a chi interviene nelle relazioni di cura di vedere oltre la malattia, di integrare il passato dei pazienti e delle loro famiglie, la presente esperienza di malattia e un futuro alternativo che consideri i cambiamenti delle storie personali. La Narrative-Based Medicine considera il ruolo dell’ermeneutica, l’interpretazione nella relazione medico-paziente come nel team di cura; sottolinea la molteplicità di voci del setting clinico e di tutta l’esperienza di cura. Rinforza lo sviluppo delle competenze narrative, mentre enfatizza il contenuto delle storie di malattia. Dal momento che la comprensione clinica è sempre interpretativa e non esclusivamente oggettiva, deve confrontarsi coi conflitti, i disaccordi e le ambiguità. D’altra parte, gli elementi soggetti al parere clinico non implicano il relativismo, piuttosto invitano i professionisti della salute, in particolare i medici, a considerare tutte le interpretazioni di una situazione clinica, e a valutarle come non egualmente valide. Riflettere su queste varie strade richiede di dialogare, di porre le domande giuste e condividere le decisioni. Quindi, la Narrative-Based Medicine può fornire ai professionisti evidence-based le competenze interpretative che la cura richiede, riempiendo gli spazi vuoti lasciati dal troppo ordine e dalla troppa organizzazione dei documenti medici elettronici.
D. Come può la Medicina Narrativa entrare nel dibattito sulle decisioni in ambito etico, sulla responsabilità individuale e sul decision-making nel contesto sanitario? E che impatto può avere la Medicina Narrativa sulla sostenibilità delle cure?
SM. Uno studio recente sulla decisione medica rivela dati preoccupanti: il 90% dei medici riporta di avere difficoltà nel prendere decisioni, di questi l’80% evidenzia che i problemi maggiori sono relativi a decisioni etiche sul fine vita (si vedano Hurst et al, 2007; Antonella et al, 2008). Recenti pubblicazioni hanno dimostrato che ci sono costi risultanti dal fallimento della comunicazione, non solo al livello di soddisfazione e di efficacia del trattamento per il paziente (Parker et al, 2001), ma anche riguardanti il burn-out tra i professionisti sanitari (Pereira et al, 2011), e costi economici per il Sistema Sanitario stesso (Bernardi et al, 2007). È altamente importante allenare le capacità di decisione a un livello individuale e politico, basandosi sul rispetto per chi partecipa alla procedura di decisione, e sempre focalizzandosi sulla equità nella distribuzione dei servizi sanitari e delle risorse. La nostra ipotesi è che la Medicina Narrativa possa migliorare la sicurezza nell’abilità di comunicare del medico coi suoi pazienti e i loro familiari, e di rispondere alle preferenze dei pazienti riguardanti il modo in cui vorrebbero essere coinvolti nell’intero incontro clinico. Si suppone anche che qualsiasi miglioramento nell’efficacia della comunicazione e del decision-making ridurrà significativamente il rischio di burn-out per i professionisti sanitari, e avrà un impatto sui costi della salute. Un modello decisionale per la sanità richiede la narrazione, dal momento che i differenti momenti della decisione sono basati sulle narrazioni di tutti quelli che prendono parte a questo processo. Il primo passo è arrivare a sapere i fatti esplicitati in testi differenti: l’esperienza dei pazienti, l’interpretazione dei medici, un esame fisico, la diagnosi. Il secondo passo implica evidenziare i valori in conflitto in una situazione clinica particolare, che non possono essere messi in pratica senza le storie dei conflitti pazienti, le storie personali e professionali dei medici, e le storie dette in un setting culturale e storico. In un terzo momento, i percorsi alternativi che possono essere seguiti devono essere considerati, tuttavia ottenendo la forza del possibile che è parte della natura della narrazione. In un ultimo momento, viene presa una decisione dopo questo pensiero condiviso, permettendo a ciascun partecipante di assumere le proprie responsabilità, dando un volto alla decisione raggiunta. Rompendo la cospirazione del silenzio che influenza molti pazienti, le loro famiglie, i caregivers, e i professionisti della salute in generale, possiamo condividere le difficoltà della comunicazione e del decision-making, il che contribuirà sicuramente a una sanità più solida e appagante. Il silenzio come risultato della repressione non aiuterà nessuno, né i medici, né i pazienti e le loro famiglie. Prendendosi le responsabilità dagli eventi passati, riconoscendo la sua vulnerabilità e l’incapacità di predire la vita, assumendo il suo ruolo negli eventi negativi, il lavoro attraverso la comprensione di sé e l’aprirsi all’altro può avvenire. Inoltre, un decision-making condiviso può contribuire a un servizio sanitario più sostenibile, dal momento che ascoltare i pazienti e i caregiver può ridurre il numero di esami medici prescritti e sicuramente contribuirà a un burn-out tra i professionisti sanitari.