In questo articolo
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Nasco a Roma il 23 febbraio 1947. Ho una formazione universitaria di stampo umanistica, con un Masters in Administration School of Management – MIB.
Negli anni lavorativi ho sviluppato esperienze in ambito amministrativo e legale, nonché nella gestione di servizi generali e di marketing, di servizi di consulenza alle imprese (comunicazione e logistica), di coordinamento e gestione reparto field, EDP e segreteria. Ho gestito lo sviluppo aziendale del sistema gestione qualità (SGQ) Vision 2000 e l’intero iter di certificazione aziendale
Sono stata CEO di Aziende in ambito della Ricerca Sociale, e proprio in questo ruolo, che non mi aspettavo affatto, di donna-lavoratrice, come manager, ho visto l’opera del Signore, attraverso l’incitazione, l’incoraggiamento, la sollecitazione, e la scoperta di come può nascere una passione per “il proprio lavoro”, nel mio caso la ricerca.
Sono ideatrice e Presidente dell’Associazione FareRete Innovazione Bene Comune. L’associazione, fondata nel 2015, è un’Associazione di Promozione Sociale (APS) senza fini di lucro. Michele Corsaro (1941-2009), mio marito, è stato la fonte d’ispirazione di questo progetto. Egli ha speso la sua vita personale e professionale nel continuo sforzo di perseguire concretamente il Bene Comune, convinto che “dobbiamo lasciarci alle spalle la concezione di Bene Comune come la somma dei beni individuali acquisiti attraverso opportunità individuali e sviluppate in funzione del primato dell’io (Ego)”. Il Bene Comune inteso quindi come sistema di valori cui ispirare il proprio stile di vita, ma anche come fonte di innovazione inclusiva e non esclusiva, come impronta da dare all’agire individuale e collettivo, come esortazione a creare valore per la società in cui viviamo.
Qual è l’attività di FareRete InnovAzione BeneComune?
L’idea di fondo della nostra associazione è che l’innovazione nelle attività economiche ed imprenditoriali rappresenti un Bene Comune, cioè un modello etico e di sviluppo altamente significativo nel contesto sociale odierno, particolarmente nel settore della Salute.
L’associazione intende, pertanto, contribuire alla creazione e diffusione di una cultura manageriale tra tutti gli attori del sistema economico e sociale: salute, ambiente, lavoro, educational, diritti e doveri di Cittadinanza. Ci impegniamo a favore della sostenibilità economica del sistema paese e di tutte le problematiche attinenti alla conservazione del welfare, della salute e in particolare alla gestione della malattia.
FARE-RETE e BENE-COMUNE riassumono le nostre Vision, Mission e strategia.
La nostra Vision è quella di un mondo migliore in cui tutti e non solo alcuni si prodigano, con impegno e responsabilità, per il Bene Comune. Il Bene Comune è dunque il fulcro del nostro operare, dove per bene comune noi non intendiamo solo la salvaguardia dei beni materiali assegnati e condivisi dai membri di una comunità, ma anche e soprattutto l’insieme di condizioni che favoriscono il benessere culturale, spirituale e morale degli individui e della collettività. Rientrano nella definizione di bene comune argomenti molto attuali quali: la salvaguardia dell’ambiente, la salute, l’educazione e la formazione dei cittadini, le condizioni di lavoro, ecc. Così definito, ci rendiamo conto di quanto importante e prezioso sia il bene comune, perché in ultima analisi viene a costituire le fondamenta di una sana società, con al centro l’essere umano e l’intrinseca ed altissima dignità della sua esistenza.
La Mission dell’Associazione è quindi quella di favorire tutte quelle iniziative che contribuiscono a diffondere e sviluppare la cultura del Bene Comune e, se possibile, dare risposte concrete a singoli temi.
FareRete, è infine la nostra Strategia, cioè la strada da percorrere per arrivare all’obiettivo. Siamo infatti convinti che da soli non possiamo significativamente incidere sui grandi temi del Bene Comune. Ecco che nasce la necessità di creare una rete di relazioni fra tutti gli attori del sistema (singoli individui, altre associazioni, istituzioni, ecc.) con lo scopo di condividere: conoscenze, competenze, contatti, rendendo le persone consapevoli e capaci di prendere decisioni se abilitati. Fare Rete, appunto, significa anche realizzare l’ottimizzazione delle risorse e quindi favorire la riduzione degli sprechi.
Qual è il rapporto tra terzo settore e sanità in Italia?
La salute è diritto di tutti. Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ha lo scopo di garantire a tutti i cittadini, in condizioni di uguaglianza, l’accesso universale all’erogazione equa delle prestazioni sanitarie, in attuazione dell’art. 32 della Costituzione, che recita:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
L’esigenza di rendere le politiche di welfare più efficienti ed incisive, aspetti che la pandemia ha reso più che mai attuali, è la ragione principale per cui oggi si parla sempre più di Welfare Generativo. Tale modello di welfare, volto a recuperare alcuni dei valori sanciti dalla Costituzione quali la solidarietà, l’uguaglianza, la responsabilità e la sussidiarietà, si propone di rendere le politiche di welfare utili e produttive non solo per coloro che ne usufruiscono, ma anche per la comunità di cui i soggetti bisognosi fanno parte. Tale proposta si basa su cinque azioni definite “le 5R del Welfare Generativo”: ai concetti di “raccolta” e “ridistribuzione”, propri del Welfare State, si aggiungono i termini “rigenerare”, “rendere” e “responsabilizzare”.
L’obiettivo è passare dal welfare attuale che raccoglie e redistribuisce a un welfare che rigeneri anche le risorse, facendole rendere, grazie alla responsabilizzazione legata a un nuovo modo di intendere i diritti e doveri sociali. Questa nuova idea di welfare, quindi, invita a rigenerare le risorse (già) disponibili, responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, al fine di aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell’intera collettività.
La solidarietà non è un lusso ma una condizione per lo sviluppo. In un paese in cui il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre i due terzi della ricchezza nazionale, mentre il 60% più povero appena il 14,3% e in cui la povertà energetica colpisce oltre 4 milioni di famiglie, la chiave per superare questo ostacolo è investire nella co-programmazione e co-progettazione degli interventi, come previsto dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore.
Costruire coesione sociale, promuovere partecipazione e cittadinanza attiva, finanziare politiche di pace, di redistribuzione della ricchezza e di transizione ecologica devono essere le risposte all’altezza della fase che il nostro Paese sta attraversando e che vedranno il Terzo Settore nuovamente in prima linea al fianco delle comunità e dei territori, per il benessere della collettività.
In un mondo in rapida evoluzione in cui assistenza sanitaria e tecnologia stanno convergendo, l’assistenza sanitaria sostenibile non si limita più solo alle sfide sociali e ambientali rilevanti che stiamo attualmente affrontando. Significa ideare soluzioni che proteggano pazienti e operatori sanitari, ora e in futuro. Significa promuovere la ricerca. Significa abbracciare la resilienza in ciascuna fase del percorso di assistenza per continuare a fare ciò che abbiamo sempre fatto meglio: fornire le cure giuste, al posto giusto, al momento giusto.
Sempre di più si evidenzia come l’intervento del Terzo settore rappresenti una risorsa fondamentale affinché si costruisca un terreno sul quale realizzare un ambiente competitivo nelle politiche del welfare state. Il Terzo settore esprime le capacità della società di attivare le energie sufficienti affinché si giunga alla risoluzione delle problematiche presenti sul territorio promuovendo la costruzione di reti di protezione sociale che attivino forme di responsabilità condivise da parte di tutti gli attori presenti.
Integro la risposta con l’apporto della dr.ssa Paola Pisanti Past President di FareRete Innovazione BeneComune, essendo stata partecipe per tre anni alle audizioni dell’intergruppo parlamentare sulla cronicità come consulente tecnico:
Le soluzioni suggerite nell’ambito delle audizioni organizzate dall’intergruppo parlamentare sulla cronicità rendono evidente la necessità che le istituzioni nazionali, regionali e locali debbano riconoscere e valorizzare, sempre di più, in modo sistemico, l’apporto del volontariato. Dopo l’approvazione del “codice del terzo settore” (legge delega 2016 e decreti attuativi) che regolamenta i processi costitutivi e indica le principali modalità di funzionamento, la vision relativa ai rapporti del mondo del volontariato con le istituzioni è cambiata, prevedendo la promozione di possibili forme di co-progettazione e di co-programmazione. Per rendere sistemico e sistematico nonché organico l’apporto del volontariato, al fine di migliorare i livelli quali/quantitativi di tutela e di assistenza a favore della comunità, devono realizzarsi alcuni presupposti tra i quali:
• l’attivazione di una Governance realizzata con l’apporto di tutti gli interlocutori istituzionali e non istituzionali, sanitari e sociali, formali e informali, profit e no profit.
• il mondo dell’associazionismo dei cittadini e dei pazienti deve essere coinvolto nell’intero ciclo delle politiche pubbliche: identificazione delle criticità, definizione delle politiche e programmazione interventi, implementazione delle scelte e valutazione.
• la creazione di Reti territoriali nelle quali, accanto all’intervento dei professionisti sociosanitari, si attiva anche quello del volontariato con regole e una progettualità comune.
Dove si collocano le aziende private che collaborano al servizio pubblico sanitario rispetto al terzo settore? È diverso il rapporto del terzo settore con questi enti rispetto a enti di diritto pubblico?
La definizione di “terzo settore” è tra quelle che si è andata affermando con maggiore ampiezza. Il terzo settore si aggiunge ad altri due settori, quelli del mercato e dello Stato, della sfera economica privata e della sfera pubblica. Talvolta li sfiora, ne ripercorre certe logiche, li usa, mantenendo sempre una sua identità.
A questo proposito si è anche utilizzato spesso in passato – e anche oggi – una sorta di ossimoro, il “privato sociale”, volto ad indicare una realtà che ha una natura privatistica e, nello stesso tempo, persegue obiettivi di natura sociale, o meglio solidaristica, di risposta a bisogni della comunità e della società (a cui qualcuno ha contrapposto una visione di “pubblico sociale”).
Il termine terzo settore già in sé definisce la categoria forse più ampia di istituzioni, che viene estesa non soltanto a quelle senza scopo di lucro, con vincolo alla non distribuzione dei profitti, generalmente chiamate nonprofit, ma anche a quelle che possono concedere una remunerazione del capitale ai propri soci, seppur con dei limiti, come nel caso delle cooperative.
Ciò nonostante, occorre considerare come si vada affermando una terminologia differente che usa il termine “nonprofit” anche per quei soggetti che invece potremmo definire “a remunerazione limitata”. Come è stato evidenziato da Ben Ner e Van Hoomissen (1991), è necessario delineare le ragioni per cui un imprenditore sceglie di diventare nonprofit, dal momento che manca l’incentivo del lucro.
Seguendo questo approccio, che limita l’origine del terzo settore a processi di intraprendenza individuale piuttosto che ad una sorta di intraprendenza collettiva.
Accade spesso, che l’organizzazione nonprofit nasca da processi associativi o mutualistici, come soluzione collettiva a un problema di carattere generale o comunque rilevante per una fetta di popolazione.
Un’altra caratteristica è quella dimensionale. Trattandosi di organizzazioni che spesso hanno un valore aggiunto nel basare la propria attività su una sorta di “intuitus personae” la piccola dimensione risulta essere quella ideale per non perdere questa capacità.
Con “Riforma del Terzo settore” si indica il complesso di norme che ha ridisciplinato il nonprofit e l’impresa sociale. Ad oggi, l’intervento legislativo non è stato ancora completato, in quanto non sono stati emanati tutti gli atti previsti dai decreti legislativi di attuazione della legge delega 106/2016. La legge delega 106/2016 definisce il Terzo settore come il complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività d’interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi, in coerenza con le finalità stabilite nei rispettivi statuti o atti costitutivi.
La gamma delle attività di utilità sociale va ben oltre la sfera delle politiche sociali e si intreccia con l’idea di sviluppo, di innovazione sociale, di occupazione e lavoro di una comunità.
Le relazioni tra pubblica amministrazione e terzo settore si sostanziano oggi in dialoghi sempre più frequenti, caratterizzati da maggior consapevolezza rispetto ai contenuti, agli obiettivi, agli strumenti. La “frequenza” delle relazioni, nonché il riconoscimento istituzionale da parte del legislatore dell’”attore” nonprofit, non implica necessariamente circuiti virtuosi dei rapporti. Il principio di sussidiarietà è infatti chiamato a innestarsi su una pubblica amministrazione inefficiente e poco trasparente, che certo non facilita l’innovazione di processo e di prodotto, come la riforma del welfare vorrebbe.
La crisi non è solamente il risultato dell’attacco delle politiche neoliberiste che invocano meno Stato, meno diritti, meno società, ma anche dell’inadeguatezza del vecchio welfare inadatto a fronteggiare i cambiamenti sociali, economici ed istituzionali ai tempi della globalizzazione. Da parte delle politiche neoliberiste la soluzione individuata è il passaggio dall’intervento pubblico (Welfare State) al mercato (Welfare Market), nel cui contesto i diritti sociali si tramutano in servizi (nel frattempo privatizzati) acquistati sul mercato dai cittadini diventati nel frattempo clienti-consumatori. In questa logica il welfare è solo un mercato dei servizi, dove anche il terzo settore può avere un ruolo di supplenza istituzionale (nella gestione della beneficenza) o di privatizzazione (nella concorrenza con i soggetti profit).
Il terzo settore nel primo caso fa risparmiare soldi allo Stato, nel secondo diventa elemento calmieratore di un mercato, dove la logica è quella del profitto, non della solidarietà e dei diritti.
Come raccomandavo poco anzi: non c’è futuro senza amministrazione condivisa. In una prospettiva di sussidiarietà non solo orizzontale bensì anche verticale, partendo dal presupposto che la sua diffusione necessiti dell’azione congiunta di leale livelli di governo, secondo un approccio che parte dal principio di leale collaborazione ma puntare anche a forme innovative di decisione integrata. È un approccio che nel nostro ordinamento sconta i limiti derivanti dalla stessa incertezza sul rispettivo ruolo assegnato alle amministrazioni territoriali, ma che può dare buoni frutti in funzione di un ulteriore ampliamento e di generalizzazione del modello della collaborazione civica, strumento essenziale di coesione sociale.
Complimenti Rosapia, la tua narrazione è la più eloquente e chiara spiegazione del grande significato che oggi acquisisce il terzo settore in campo sanitario e dei servizi primari alla persona. Partenariato e sussidiarietà sono concetti da cominciare a spiegare alle nuove generazioni proprio nelle scuole primarie.
Grazie VINCENZO, il tuo commento è MOLTO importante.
C’è tanto da fare, soprattutto, come hai evidenziato per le nuove generazioni nelle scuole in ogni ordine e grado
Educare i giovani alla giustizia e alla pace è l’avventura più affascinante è difficile della vita
Un abbraccio
Rosapia