Intervista al Professor Davide Chiumello, chirurgo, Direttore della struttura complessa di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale San Paolo di Milano.
MGM. Professore, parlare di umanizzazione delle cure ai tempi del COVID-19 è un paradosso?
DC. Assolutamente no. Noi trattiamo i pazienti esattamente come li curavamo prima della pandemia, sono i numeri a fare la differenza: qui siamo di fronte a una marea montante. La numerosità è aumentata nelle ultime tre settimane, e se la settimana scorsa avevamo pazienti più anziani ultrasettantenni, ora stiamo curando una fascia di pazienti che include sempre più persone tra i 55 e i 60 anni. Gli anziani hanno capito che devono restare a casa, ma gli adulti non ancora a sufficienza. State a casa, questo è il mio appello, perché questa malattia, per cui a oggi non ci sono medicine, colpisce le persone di tutte le età.
MGM. La mortalità che riferisce sui pazienti in rianimazione è intorno al 20-30%. Nei protocolli di gestione dei pazienti in terapia intensiva e nelle cure palliative, in tempi precedenti al COVID-19 c’era un grande spazio per il contatto, il saluto con i propri cari; ora alcuni dei vostri colleghi medici dicono che “questi pazienti muoiono da soli”: si può fare qualcosa?
DC. Noi sediamo subito i pazienti, prima che vengano intubati e sottoposti a manovre di rianimazione. Subito. L’anestesia è la più grande forma di umanizzazione che possiamo applicare in questo momento. I loro cari li possono vedere attraverso i vetri. Non abbiamo sufficienti mascherine e dispositivi medici di protezione da dare ai parenti. Ne abbiamo pochi anche noi, e la priorità ora è la sicurezza degli operatori. Ma i pazienti non si rendono conto di nulla e non sentono dolore. Questo è quello che possiamo fare per loro, oltre che curarli al meglio delle nostre possibilità. Ma ripeto, nel qui e ora non ci sono farmaci e quindi possiamo solo “comprare tempo”, nella speranza di miglioramenti o di nuove scoperte.
MGM. Parliamo di come comunicate il lutto.
DC. Dipende dalla situazione in cui è il familiare, ovvero se è in quarantena o no. Prima avvisiamo dell’aggravamento o per telefono e in presenza. Se c’è poi il lutto, ai familiari sottoposti a misure di restrizione lo comunichiamo al telefono, e purtroppo questi non hanno potuto vedere i propri cari. Se invece è possibile, glielo comunichiamo in presenza. Abbiamo però dei gruppi di sostegno psicologico in questo momento, sia per i familiari come per noi medici e infermieri.
MGM. Alcuni propongono l’idea del tablet per comunicare, oltrepassando virtualmente il vetro, appunto per evitare il rischio infettivo, con i propri cari. È perseguibile?
DC. Sì, è una prassi da perseguire, ne stanno arrivando di tablet da donazioni private, speriamo di averne sempre di più. Appena il paziente si risveglia ha necessità di riprendere i contatti con i suoi affetti, e anche il tablet diventa a suo modo terapeutico. È una cosa bella.
MGM. Professore, questa rivista è letta in tutto il mondo: ha altro da aggiungere?
DC. State a casa, questa “cosa” non guarda in faccia nessuno. Proteggete voi stessi e i vostri cari. Dobbiamo guadagnare tempo per vincere questa battaglia.