Invito all’azione sulla medicina narrativa e le scienze umane per la salute in Europa

Tra il 19 e il 21 maggio si è svolto a Porto (Portogallo) il simposio “Humanism in Surgery”. 
L’ultimo giorno è stato dedicato al Congresso della Società Europea di Medicina Narrativa (EUNAMES).
Maria Giulia Marini traccia le linee di quella che è stata una meravigliosa esperienza di concerto intellettuale, di interesse e di ricerca.


Il congresso di sabato 21 maggio a Porto, tenutosi presso l’I3S e organizzato principalmente da Susana Magalhaes, è stato a mio avviso più un concerto che una presentazione continua di relatori. È stato un concerto perché, anche se non avevamo un tema preciso assegnato, e il mondo delle health humanities è così immenso, noi relatori eravamo armonizzati nel “suonare” la nostra musica in questo campo. Abbiamo avuto l’onore di una sessione di apertura da parte di Nils Fietje, rappresentante dell’OMS Europa in 53 Paesi, che ha spiegato da una posizione istituzionale come le discipline umanistiche per la salute e la medicina narrativa siano sostenute dall’OMS, con azioni concrete: nella pratica quotidiana comune, nella ricerca educativa, e ora in una situazione di particolare vulnerabilità relativa ai rifugiati e alla pandemia.

Personalmente, ricollegandomi all’analogia con il libro “Il nome della rosa” di Umberto Eco [1], ho cercato di spiegare che – sia che chiamiamo questi argomenti “Humanities for Health” o “Medical Humanities”, o “Narrative Medicine”, o “Narrative Based Medicine”, o “Narrative Based Practice” – condividiamo tutti la missione comune di servire la salute e il benessere della persona (dietro il paziente), degli operatori sanitari, dei caregiver, dei decisori e anche della cittadinanza.

Permettetemi di dedicare qualche parola a questa analogia con un libro immenso come “Il nome della rosa”, che contiene tre livelli di lettura: il più evidente è quello di un romanzo d’intrattenimento su una serie di omicidi in un’abbazia, con un detective, un frate francescano, Guglielmo da Baskerville; il secondo livello è quello storico, con una magnifica ricreazione della vita in un’abbazia nel Medioevo, e della vita quotidiana di monaci e contadini. Ma il terzo livello (e qui esce fuori il semiologo Eco) è quello filosofico, legato alla filosofia del linguaggio: il thriller si conclude con questa frase: “Stat rosa pristinae nomine, nomina nuda tenemus”. Che cosa significa? “In origine c’era una rosa, ma noi abbiamo in mano solo il suo nome nudo”. Riusciamo a malapena ad afferrare cosa sia una rosa… e questo vale per il nome delle cose, degli eventi, dei fatti, degli oggetti, dei sentimenti, dei pensieri, delle credenze… Se riusciamo ad afferrare solo superficialmente una rosa, come potremmo definire in modo univoco le oltre 30.000 mila sottospecie di rose che vivono su questo pianeta? E questo può valere per le tante forme di Evidence Based Medicine in circolazione, per le tante Medicine Narrative e anche per le Health Humanities. Non è possibile aggrapparsi a un solo nome, perché i nomi sono solo una pallida descrizione della vita.

Nel romanzo ci sono due tendenze di pensiero principali: quelle degli innovatori e quelle dello status quo. Umberto Eco mette il lettore nel mezzo di una disputa tra Guglielmo da Baskerville – innovatore e umile, e che alla fine dice “nomina nuda tenemus” – e Bernardo Gui, un frate inquisitore domenicano, emissario della Chiesa stabilita, contrario al cambiamento e al controllo totale, e praticamente sicuro che tutti i nomi necessari ci siano, e che non se ne debbano creare di nuovi, e che il loro uso avvenga solo in modo verticistico, da parte del centro di potere dell’epoca, l’establishment della Chiesa. Se non si usa il nome in modo corretto, e se ci si comporta male, le conseguenze saranno quelle di essere considerati eretici. In questo libro, c’è una dinamica continua tra il dogma, il bigottismo e il moralismo da un lato e l’etica, la scoperta e la verifica dei fatti con la compassione dall’altro.

Nel complesso, Eco suggerisce che la compassione è una via d’uscita da questa disputa: la scoperta della leggerezza e del potere del sorriso. Una buona dose di umorismo, che Aristoteles elogiava nel suo libro sulla Commedia, e l’arte possono fornire un nuovo terreno per trovare sinergie, fertilizzazioni e motivi di negoziazione. Lo stesso Jorge cieco, custode del “sapere” (la biblioteca), è una metafora del fatto che non vede ciò che accade intorno a lui in termini di segni e di linguaggio necessario: insieme a Gui (il potere della chiesa costituita) è il proprietario di una vecchia cultura dogmatica (il potere del sapere costituito) che non ha percezione della realtà. Ma Aristoteles, il filosofo greco, ha una voce plurale. Scrive sia sulla Tragedia che sulla Commedia, fondendo insieme le possibili emozioni.

Analogamente, le Health Humanities e la Medicina Narrativa sono degne di evoluzione, con nomi diversi, a seconda dei contesti, e ricordando che ogni paziente o persona è un mondo a parte. Questo è un concetto universale. Applicandolo all’Europa, non dovremmo mai dimenticare che abbiamo una tale varietà di lingue, popoli, credenze, valori, interessi, religioni, economie, sistemi di welfare, modi di fornire salute, assistenza e cura, vita e morte. Solo una pluralità di approcci che comprenda i diversi modi di pensare alla Medicina Narrativa e alle Scienze Umanistiche per la Salute e la loro integrazione con l’EBM può essere la chiave per un approccio armonizzato.

Perché ho proposto questa analogia? Perché personalmente sono stato a volte imprigionato in questa disputa su cosa sia questa rosa che chiamiamo forse Medicina Narrativa, forse Humanities for Health o forse Narrative Based Medicine: ci sono infatti diverse culture, diverse scuole, qui in Europa e in America, e in Australia, e sicuramente altrove nel mondo. Tante rose che formano un meraviglioso roseto, e noi possiamo solo rimanere in soggezione, sopraffatti dalla bellezza di questi profumi, dalla varietà dei colori, dalle forme dei petali. E ho ricordato la mia lettura de “Il nome della rosa”, con l’idea geniale finale che se ci permettiamo di sorridere e ridere, anche se le controversie accadono perché fanno parte della vita professionale, con la leggerezza possiamo provare a liberarci del peso di alcune parole, e persino a cancellare questa parola eretica, che non è detta ma è agita. Se qualcuno è “basato sulla narrazione”, viene percepito come non “abbastanza basato sull’evidenza”. Se “qualcuno è basato sull’evidenza”, viene percepito come “non abbastanza basato sulla narrazione”, all’interno di questo modo dicotomico e miope di vedere. E quale narrazione? Quale evidenza?

Nelle mie righe iniziali ho scritto che era più simile a un concerto armonizzato a Porto nel 21 maggio – forse un concerto jazz, con alcune improvvisazioni. Dopo che ho osato parlare della disputa, John Launer ha parlato della pratica delle Health Humanities, della Medicina Narrativa e della Narrative-Based Practice come di una serie di bambole russe, le matrioske: possono essere viste come annidate l’una dentro l’altra, ma ognuna ha la propria individualità. Questa è stata la musica che abbiamo suonato. Neil Vickers ha sollevato la necessità di richiedere ora un’agenzia per insegnare queste discipline nella nostra scuola medica e scientifica, insieme a Muirish Houston. Non è il momento di bandirle. Nicoletta Suter ha ricordato il successo della formazione in Medicina Narrativa per i professionisti post-laurea in Italia: corsi completi on-line, in modo che anche chi ha scavalcato il muro dei numeri puri e della tecnologia possa abbracciare le narrazioni, con l’approccio del close reading. Questo è stato illustrato anche con il progetto europeo Share di Isabel Fernandez. C’è stata poi l’importante “conciliazione degli opposti apparenti”, fornita da Ourania Varsou che insegna anatomia attraverso la poesia, e l’appello di Dora Tseligka ad avere anche la linguistica a bordo delle Health Humanities e della Medicina Narrativa. Nomina nuda tenemus”: i linguisti sono così importanti per risalire all’antica radice e alla migrazione di un nome, per comprenderne i contesti culturali.

La pratica clinica può beneficiare di questa pluralità di rose (all’interno di EBM e NBM), non più in conflitto tra loro, come dimostra Marco Cordero: il cosiddetto miracolo di ciò che le parole giuste e la postura di ascolto possono fare anche in un pronto soccorso, quando un medico ha solo pochi minuti di tempo. Sì, la competenza narrativa può svilupparsi anche lì.

Il concerto si è concluso con June Boyce-Tillman, che ci ha parlato dell’immenso potere curativo della musica, il suono che viene prima di ogni parola. Vorrei citare la sua presentazione:

‘Gli esseri viventi condividono un legame energetico grazie al quale possono influenzare la salute reciproca… dai batteri agli esseri umani’.

Non c’è tempo da perdere. Le giovani generazioni sono fragili come mai prima d’ora, prima della pandemia. I sistemi sanitari sono oppressi dalla stanchezza da pandemia e cercano di sostenere i nostri ecosistemi della mente e dell’anima solo con soluzioni di intelligenza artificiale. Ora dobbiamo agire, lasciando le controversie alle nostre spalle [2].

[1] Il Nome della Rosa, Umberto Eco, 1980, Publisher Bompiani

[2] EUNAMES  is both insular and  open to interconnections, it is vital and full of volunteers with their content: it has a line of direction but prefers to remain a group of “friends” in the Greek sense of the term, an agora of exchange, without institutionalized records, except for the continuous involvement of WHO and the many universities and research organizations that are part of it.  It finds itself at least bimonthly hosting papers by qualified professionals, whose names, affiliations, and all presentations made-including the sketch-are to date available at www.narrativemeedicine.eu/eunames .

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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