Il libro Il tumore della mammella: storie narrate ed evidenze cliniche di Ludovica Brofferio, pubblicato da Springer Healtcare Education, infermiera presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino, è perfettamente in linea con le linee guida dell’uso della medicina narrativa all’interno dei percorsi diagnostico terapeutico assistenziali (PDTA) dell’Istituto Superiode di Sanità. Infatti magistralmente si muove tra due linguaggi, quello clinico-scientifico, tratto dalle evidenze e quello narrato dalle donne con tumore al seno.
È un manuale che mette in schede grigie le tecniche prescritte, come l’autopalpazione, la chirurgia mammaria, la scelta della terpia adiuvante, e lascia nero su bianco invece la testimonianza delle pazienti.
Prendiamo l’autopalpazione. In grigio è scritto, per punti elenco:
– Porsi davanti allo specchio per sincerarsi dell’assenza di anomalie nell’aspetto delle ghiandole e dei capezzoli.
– Con le dita intrecciate dietro la nuca guardare da vicino le mammelle allo specchio ed esercitare una pressione in avanti con i muscoli pettorali. Con le mani sui fianchi, il busto proteso in avanti, le spalle inarcate in avanti, esercitare una pressione sui fianchi contraendo i muscoli pettorali…
E così va avanti la scheda…
Poi c’è la storia di Minerva, che è nello studio medico: No, a dire vero non ho l’abitudine di controllarmi il seno, avrei dovuto farlo, e il professionista sanitario: Certamente, è una buona pratica quella dell’autopalpazione che tutte le donne dovrebbero adottare ma non è una tecnica semplice né banale. Alla palpazione potrebbe sfuggire qualche nodulo anche ad un operatore esperto. Dal canto loro le donne potrebbero scambiare per un segnale di allarme una struttura fisciologica della mammella, soprattutto se hanno un seno fibromatoso. Detto questo è bene che le donne assumano la buona abitudine all’autopalplazione. ora tenga la chiena dritta e appoggi le mani sui fianchi.
La storia evolve ed emerge, attraverso il silenzio del medico e i gesti della palpazione, la tensione di Minerva alla quale si velano gli occhi. Le emozioni non sono scritte, ma sono presenti in tutto il racconto: prima il tecnicismo del medico che dice “seno fibromatoso” per prendere, forse inconsapevolmente, distacco emotivo dalla paziente. Poi dallo sguardo del medico sul seno e non sulla paziente, con la quale ha un linguaggio gentile, ma affettato. Il medico poi si aggancia all’infermiera Alice, esperta nella comunicazione che tranquillizza la paziente dicendole che non dovrà farsi carico di alcuna visita, esame, referto. Il lavoro è fatto dal centro di accoglienza. Basta questo per tranquillizzare Minerva, a toglierle anche il senso di colpa per non aver eseguito bene l’autopalpazione, a gestire l’ansia della futura biopsia da affrontare: la voce calda e il linguaggio semplice di Alice sono il miglior rimedio.
Credo che questo libro possa essere di esempio per coloro che desiderano umanizzare il PDTA nella cura della persona con un tumore al seno: ricordiamoci sempre che dietro alla mammella con il suo tumore c’è una donna. Ecco che la donna piano piano riprende il suo palcoscenico essendo ascoltata, parlando, esprimendo le suo emozioni, i suoi progetti e la malattia ritorna sullo sfondo, bene gestita, da professionisti che imparano a fare spazio anche alla narrazione della persona e non solo del tumore.
Rimane ancora un po’ da fare, magari ammorbidendo ancora un po’ quelle schede così “prescrittive” e usando una lingua più comprensibile con le persone. Il seno nutre, la mammella ricorda l’animale o il reperto istologico bioptico. E ricordiamoci che spesso dietro un linguaggio freddo e tecnico c’è l’imbarazzo nel dover dare “brutte notizie”, e quindi il primo esercizio da svolgere è una crescita di consapevolezza della gestione delle proprie emozioni da parte dei professionisti chiamati a un compito difficilissimo: informare, sostenere, condividere, consolare.