Il burn-out è stato incluso dalla WHO come fenomeno professionale nell’undicesima revisione dell’International Classification of Diseases (ICD-11) nel maggio 2019, ed è stato inserito tra i Fattori che influenzano la salute: ossia quei motivi per cui le persone contattano i servizi sanitari, ma che non sono classificati come malattie o condizioni di salute.
Il burn-out viene dunque definito come segue:
[…] è una sindrome che si ritiene risultante da uno stress cronico sul luogo di lavoro che non è stato gestito con successo. È caratterizzato da tre dimensioni:
- Sensazione di esaurimento o di sfinimento;
- Aumento della distanza mentale dal proprio lavoro, o sentimenti di negativismo o cinismo legati al proprio lavoro;
- Ridotta efficenza professionale.
Il burn-out si riferisce specificamente ai fenomeni nel contesto professionale e non dovrebbe essere applicato per descrivere le esperienze in altri settori della vita.
La WHO sta per dedicarsi allo sviluppo di linee-guida evidence-based sul benessere mentale nei luoghi di lavoro.
Uno degli ambiti in cui risulta un eccessivo sbilanciamento in negativo della qualità della vita professionale resta quello sanitario, diffondendosi non solo tra i medici, ma su tutte le figure coinvolte nell’équipe di cura.
Il Medscape National Physician Burnout, Depression and Suicide Report di inizio 2019 indica come il burn-out resti un problema urgente: il 44% dei professionisti intervistati ha riportato sentimenti a esso collegati, mentre il 4% è stato dichiarato clinicamente depresso. Tra le specializzazioni indicate come più a rischio vi è anche Neurologia (48%), su cui Fondazione ISTUD si è concentrata col progetto SMART – Sclerosi Multipla: l’Ascolto delle Realtà multiprofessionali dei neurological Team, realizzato con il patrocinio della Società Italiana di Neurologia (SIN) e in partnership con Biogen Italia. Obiettivo del progetto era proprio quello di indirizzare l’ascolto dei professionisti che curano le persone affette da Sclerosi Multipla, indagando sulle motivazioni professionali e sui motivi di inaridimento, fatica e rischio di burn-out.
Oltre agli strumenti già presenti in letteratura – pensiamo al Professional Quality of Life Scale (PROQOL) – la narrazione si presenta come un metodo particolarmente utile come autodiagnosi di sofferenza emotiva sul posto di lavoro. In particolare, lo strumento della cartella parallela, presente nella medicina narrativa, permette al curante di recuperare uno spazio che la burocratizzazione e la “tecnocrazia” della sanità stanno sacrificando: quello per la riflessione e cura del benessere emotivo del professionista.
Infatti, come già ricordato da Paola Chesi in un altro articolo,
La medicina narrativa, lo abbiamo detto tante volte, ha la bellezza e la grande potenzialità di rivolgersi a tutti coloro che ruotano attorno ad un percorso di cura, quindi non solo chi è in una condizione di malattia, anche chi vive con chi è malato, e magari lo assiste, e chi se ne prende cura clinicamente. Quello che si dice meno frequentemente, è che la medicina narrativa è nata soprattutto per i professionisti sanitari, come approccio di cura in grado di migliorare le competenze relazionali, ma anche organizzative e di gestione terapeutica.
INTERESSANTE.
VITALE, DIREI.
TEMI STRAORDINARI.