Gratitudine al professor Franco Mandelli. Immensa gratitudine.
Conoscerlo per me è significato incontrare un grande maestro di vita. Con lui, erano i primi anni in cui si parlava di organizzazione delle cure senza togliere l’anima, l’umanità ai processi di assistenza: venivamo da un periodo di industrializzazione della sanità in cui si credeva solo negli standard di prestazione, nei tempi veloci di processo, con un Management sanitario basato solo sull’efficienza, o meglio, l’efficientismo, e non sulla qualità delle cure.
Venivano spacciati come indicatori di salute la durata della degenza media in ospedale: non come fosse la salute del paziente. Questo inciso per far capire che il professor Mandelli si interessava sia alle questioni organizzative sia all’efficacia delle cure. Mi insegnava “non si può curare senza fare ricerca, non si può fare ricerca senza curare.”
Con gratitudine ricordo la presentazione di uno studio molto particolare nel 2006. Si raccoglievano le voci dei pazienti in ospedale, dei loro familiari e dei professionisti sanitari per chiedere a tutti e tre i punti di vista come avrebbero desiderato il reparto di ematologia. Abbiamo presentato i dati nel dicembre nel 2006: i pazienti volevano cose semplici, più colore alle pareti, tavoli e sedie messi a livello, un doccino per lavarsi; i familiari richiedevano sedie per stare accanto ai loro cari, orari di visita più naturali; e i professionisti sanitari chiedevano la possibilità di uno spazio per parlare con i pazienti privatamente e il tempo per studiare e scrivere. Emozionati abbiamo presentato questi dati dello studio dal nome strano ‘costellazione paziente, familiare e professionista sanitario: spazi, regole e modi per la convivenza ospedaliera’ e fu così che in un semiscantinato di Roma, in una bella sede storica, a dicembre del 2006, dopo che le autorità ministeriali che inizialmente avevano garantito la loro presenza ma poi avevano mandato un ultimo dispaccio con su scritto ‘Ci dispiace abbiamo altri impegni’, bene, in questo semiscantinato, dove c’erano ancora barriere architettoniche (ospitavamo persone disabili) di cui non avevamo avuto preventivo avviso,… fu così che il professor Mandelli concluse la giornata, al termine della presentazione delle richieste dei pazienti, dei loro familiari e dei professionisti: “ci pensa AIL a pagare i lavori di rinnovo e abbellimento per pazienti e i familiari e i professionisti sanitari”. Questo sulla base di semplici e esplicitati bisogni raccolti da loro.
Un grande regalo di Natale per noi ricercatori, per i pazienti e per chi lavorava lì. Il professor Mandelli era fatto così, credeva nella generosità della gente, riuscendo a organizzare il suo sistema straordinario dell’associazione AIL -Associazione Italiana contro Leucemie Linfomi e Mielomi. Un’associazione che ha sedi regionali in tutta Italia, con case di accoglienza per i familiari e per i pazienti e servizi di supporto domiciliare messi in essere agli albori dei servizi domiciliari. Mi raccontò che i familiari non pagavano l’alloggio quando venivano ad accompagnare i loro pazienti ammalati. Grazie a una convenzione scritta con i piccoli albergatori di Roma, li riusciva ad aiutare anche se venivano da lontano. Ieri e oggi troppe cose si danno per scontato, ci si trasferisce da una città all’altra nella speranza di trovare un centro di cura migliore e il familiare deve pagare di tasca propria i soldi per l’albergo vicino all’ospedale… ecco, Mandelli ci aveva pensato, non solo alla malattia, non solo al paziente ma al nucleo che girava attorno alla persona malata. Entusiasta, cordiale, gentile, a volte arrabbiato, ricordo che a quel congresso di Dicembre 2006, dove io ero ancora più arrabbiata perché i politici avevano promesso di esserci ma non erano venuti, mi disse con disincanto “i politici sono così, non bisogna mollare ma a maggior ragione andare avanti.” Retorico dire che le persone che ho incontrato nel suo centro, fin dal 2004 sono persone speciali, bravissimi clinici, infermieri, psicologi, volontari, coloro che hanno permesso in Italia di aprire le porte anche alla medicina narrativa in Ematologia.
Questa è la mia esperienza personale e che posso estendere anche a nome di Fondazione Istud.
Rimane tutto quello che ha fatto per la Scienza, costruendo la rete GIMEMA, connettendo i dati, gli studi e le ricerche di tutta l’Ematologia italiana e internazionale. Generosità anche sui dati scambiati, andando contro i campanilismi di settore, in cui alcuni centri si tenevano e ancora si tengono i propri dati per conto loro fino alla pubblicazione. E’ stato uomo di vera cooperazione, un valore sempre più raro.
Grazie Professore per tutto quello che ha dato all’Italia, alla Sanità e a chi ha avuto il privilegio di conoscerla.
Maria Giulia Marini
Health Care Innovation Director, Fondazione Istud