Scritto da June Boyce-Tillman, Oxford: Peter Lang, 2018
Scrivere un commento all’autobiografia del Professoressa e Reverendo June Boyce-Tillman è un onore oltre che una grande sfida. Il mio interesse per la lettura e l’ascolto delle sue lezioni è iniziato due anni fa, quando ero all’Università di Durham per un congresso di spiritualità, e lì ho avuto il compito di creare un dialogo tra la medicina narrativa e la spiritualità che nasceva dalle storie dei pazienti. Ho dunque conosciuto June: per me, proveniente da un Paese mediterraneo, con i miei studi classici e scientifici, ma soprattutto il mio sguardo agnostico sulla religione e sulla Chiesa, questo incontro è stato un terremoto. June mi è apparsa ai miei occhi come il sacerdote più strano che io possa immaginare: parla di Sciamanesimo, Buddismo, Paganesimo, con un amore così grande e immenso per l’universo, la Terra, il Cosmo, il Cielo, gli Animali, e con una fede così profonda in un Dio che è presente ovunque, che mi ha stupito. Nel suo libro, nella sua autobiografia, tutto è vivo. A me, come lettrice, sembra che lei non abbia mai avuto seri problemi di fede in Dio: fin da bambina lei ha sempre creduto negli angeli e ha voluto diventare teologa e infine prete. Tuttavia, a modo suo, ha partecipato per tutta la vita ad incontri interreligiosi, cercando sempre di apprendere sia le somiglianze che le diversità all’interno delle altre credenze. Hanno creato insieme “Spazio per la Pace”, e questa attenzione alla pace, nonostante tutti gli eventi tristi della sua vita, con sua madre che non voleva la sua carriera, un marito che probabilmente non sopportava la sua intelligenza e creatività, episodi di abusi, tutti narrati in modo molto particolare con una zona crepuscolare, e un’esperienza di quasi morte, è sempre presente. La sua mistica forza motrice è così forte che vuole condividere le sue storie, riflessioni, pensieri, pensieri, speranze, con gli altri esseri umani, forse non così fortunati in termini di fede come lo era lei. Dai suoi scritti, Dio non è maschio o femmina, quindi nessun genere deve essere attribuito al Creatore. Boyce-Tillman racconta nel suo genere piuttosto iconico alcuni fatti “machismo” che ancora accadono nelle chiese anglicane, nonostante il raggiungimento del ruolo di sacerdotessa.
La musica ha avuto ed ha la possibilità di superare le differenze di linguaggio e di piantare i semi di questo concetto di pace e benessere. E’ compositrice e musicista e scrive inni che devono essere cantati dalle comunità. Ho letto i suoi inni e le sue poesie che mi hanno ricordato Emily Dickinson:
“Era come se le grandi felci fossero cresciute più a lungo e più verdi,
Era come se il potere di rendere più verde tutta la Terra fosse ovunque…..
Era come se il giardino mi chiudesse e mi tenesse al sicuro…..
Era come se non importasse nient’altro che questo momento di promessa divina”.
Questa è la sua personalità molto complessa: se da una parte ci ricorda la Grande Emily, incastonata nella natura e in Dio, qui abbiamo un sacerdote che porta ogni giorno il collare clericale. Nella metropolitana di Londra ha un incontro casuale con una donna e di nuovo leggiamo i suoi versi:
“Indossavo il mio colletto clericale solo per il servizio della giuria.
Mi ha attirato verso di lei. Posso parlarvi?
Disse mentre scendeva dal treno.
Ci siamo seduti sul sedile sotterraneo:
E’ venuta fuori la storia:
Generosità, tradito, debiti, tribunali.
I treni rumble by e l’ho usato come base della preghiera,
una Preghiera sulle tenebre, tunnel che si aprono alla luce del sole.
Le mie mani le toccarono la fronte in una benedizione e ci separammo.
“Stavo per gettarmi sotto il prossimo treno”, disse.
mentre era scomparsa sulla scala mobile.
Grazie, Dio, per il collare”.
E qui, Emily Dickinson è lontana, qui siamo sulla strada, nella Londra che vive e prende a calci; la natura è lontana, e siamo radicati nella società contemporanea.
Questo libro “Freedom Song: Fede, abuso, musica e spiritualità: A Lived Experience of Celebration” è un’occasione per imparare metodi, credenze, azioni per costruire e vivere sia in una bella consapevolezza su un percorso da soli, sia a livello comunitario. Raccomando vivamente la lettura di questo libro alle donne di avere un modello profondamente ispiratore e agli uomini in modo che possano ampliare la loro gamma di riflessioni, le condizioni di pensiero femminile e la spiritualità nella differenza di dignità:
Tra le due cose.
Tra il Dio fine la dea e la moschea e la fine la sinagoga ….
Lo sciamano e il chierico, l’isterico e il collerico.
Nel rapimento fratturato nel buco nell’anima…..
La contraddizione di o incontra il paradosso di e.
Quando la professoressa Boyce-Tillman scrive di “Resurrezione”, spiega che si tratta di un atto creativo. Penso che noi studiosi di medicina narrativa abbiamo sempre insistito sul principale fattore di coping che i pazienti dovrebbero usare insieme a chi si prende cura di loro: la creatività per affrontare la nuova vita e la liminalità che è data dal rotto equilibrio tra benessere e salute. In una malattia potremmo definire questa creatività come un “atto di risurrezione”, la migliore terapia, per i Dio Credenti e non per i credenti. È soprattutto nell’ambito della creatività che possiamo trovare, dopo aver attraversato un dolore disperato e un disagio nel caos, un luogo dove alla fine c’è l’immagine di un lago tranquillo. Qui, ognuno di noi può avere una visione individuale della nostra possibile risurrezione, anche considerando gli enormi limiti dati dal nostro corpo, dalla nostra mente e dalla nostra cultura.