AFASIA, DARE VOCE A CURATI, CURANTI E CAREGIVER – DI MARTA AURORA.

XIV EDIZIONE

Afasia: dare voce a curati, curanti e caregiver

Marta Aurora

Autrice: Marta Aurora, dottoranda in Linguistica Educativa, Storica e Italianistica presso l’Università per Stranieri di Siena e impegnata in un progetto sulla Medicina Narrativa

Obiettivi

Questo progetto indaga in che misura l’approccio narrativo possa contribuire alla riattribuzione di senso all’esperienza afasica e ai cambiamenti radicali che questa porta nella vita dei pazienti colpiti e dei loro caregiver. Altro obiettivo è condividere i risultati della ricerca narrativa con i curanti ai fini di una maggiore personalizzazione delle terapie. Per questo, coerentemente con i fondamenti della medicina narrativa, la raccolta delle storie si è basata sul criterio di rappresentatività dei tre soggetti coinvolti nella cura: paziente, curante e caregiver. I dati provengono da due realtà molto diverse ma altrettanto significative: la prima è la National Aphasia Association (NAA), prima organizzazione no-profit statunitense diretta da persone con afasia e loro caregiver, che dal 1987 svolge azione di sensibilizzazione e advocacy sul tema, la seconda è A.L.I.Ce. Biella, sede provinciale dell’Associazione nazionale per la Lotta all’Ictus Cerebrale, formata da pazienti, familiari, personale sanitario e riabilitativo e infine volontari sensibili al problema dell’Ictus cerebrale (a cui l’afasia è spesso associata).

Le evidenze narrative

Nel 2019 la NAA ha raccolto 60 storie di afasia, Aphasia Threads, (fili/trame di afasia), raccontate da afasici, caregiver e terapisti. Per ciascuna tipologia di autore le narrazioni si articolano intorno ai seguenti prompt: come l’afasia cambia la vita, cosa aiuta in questo percorso, cosa caregiver e terapisti possono imparare dagli afasici e viceversa. Analizzando le narrazioni tramite il software Sketch Engine, si sono individuate parole che veicolassero le emozioni dei narratori, in particolare tramite linguaggio figurato. Dai testi dei pazienti emerge la percezione del giudizio sociale e dello stigma che associa, per scarsa conoscenza dell’argomento, le ridotte facoltà verbali degli afasici a un loro deficit cognitivo (la sickness di Kleinmann): “La gente pensa che la tua mente non funzioni più. Ricordate che non è l’intelligenza della persona a cambiare, ma solo il modo in cui i suoi pensieri vengono espressi” (A)[1].

Pazienti e caregiver sembrano ancorati al ricordo della loro vita prima dell’afasia: “Le persone ricordano quello che sapevano fare prima dell’afasia e, quando arrivano, mi chiedono come possono tornare ad essere se stessi di prima” (T).

L’indagine linguistica sull’approccio al futuro ha restituito sia una visione ottimistica e ripagante degli sforzi attuali, sia considerazioni più caute e realistiche sulla difficoltà e complessità del percorso di riabilitazione: “[…] Questo è un lavoro incredibilmente difficile per il quale nessuno di noi è stato addestrato, e voi farete del vostro meglio. […] Vi ricorderete della durata, della complessità e dell’impatto reale dell’afasia” (C). “[…] Il tempo e lo sforzo che dedicherete alla vostra guarigione ne varranno la pena.” (T).

Le condizioni più ricorrenti che trapelano dalle narrazioni sono legate alla difficoltà e alla fatica come dimostrano le frequenti occorrenze dell’aggettivo hard (difficile) nei racconti di tutti i soggetti narranti: È difficile trovare attività sociali” (A). “È difficile vederlo lottare per esprimere i suoi desideri e i suoi bisogni” (C). “L’afasia […] richiede molto lavoro e perseveranza” (T).

Altra emozione dominante e comune a tutti i narratori è la frustrazione: “Mi sento frustrato ogni volta che parlo con qualcuno” (A).  “E a mia volta, mi sento frustrato quando non riesco ad aiutarlo” (C). “Sono frustrato dalle limitazioni che il nostro sistema sanitario pone al tempo e al denaro per questo processo” (T).

Quanto al linguaggio figurato, vanno segnalate similitudini afferenti ad aree sensoriali diverse, all’assenza di suono, a disturbi ottici: “È terrificante, mi sembra di annegare, […] è come se si impostasse il muto su una scena e non si trovasse più il telecomando. Avevo la stessa sensazione di quando si usano le luci stroboscopiche” [A].

Nel caso della collaborazione con Alice Biella, la raccolta di narrazioni è stata più esigua ((5: 2 afasici, 2 volontari, 1 caregiver), ma è stato possibile creare una traccia narrativa ad hoc. Alcuni volontari e curanti si sono offerti di assistere i pazienti nella compilazione della loro traccia o hanno preferito un’intervista aperta sempre basata sulla traccia. Questo aspetto è indicativo delle relazioni tra curanti e curati e di una condivisione diretta del vissuto, non mediata dalla scrittura.

Le tracce erano rivolte anche qui ai tre soggetti del percorso di cura secondo fasi temporali: prima, durante e dopo l’afasia, come ci si immagina il futuro. A tutti è stato anche chiesto di scrivere come si sentivano dopo la narrazione, per rilevare anche gli eventuali effetti (trasformativi) che essa porta. Inoltre, è stato proposto un prompt visivo (La colazione dei canottieri di Renoir) che rivelasse la percezione del narratore rispetto alle sue relazioni sociali e comunicative nell’esperienza di afasia, chiedendo in quale dei personaggi si identificasse.  Un risultato importante è emerso dalla narrazione di una caregiver, che si è identificata con il personaggio laterale del quadro, leggermente discostato dalla conversazione, perché vi riconosce il suo ruolo di osservatrice non partecipe agli eventi sociali, ricordando come i conoscenti si prendano gioco delle difficoltà espressive del marito (torna il tema dello stigma e dell’ignoranza sull’afasia).

Il racconto è stato tendenzialmente più svincolato dagli stimoli narrativi proposti e vicino al caos, veicolando una ricerca di senso, una quest. Ne è emersa una grande intensità emotiva, riconoscibile in queste parole: Raccontare questa storia Mi ha fatto bene. Perché fa bene sempre rivivere. Tu puoi capire quello che hai lasciato, puoi anche capire però tutto quello che hai trovato.

E che farne…

La pubblicazione delle narrazioni della NAA, nella loro pluralità di prospettive, ha un grande potenziale sulla consapevolezza sociale dell’afasia e il progetto potrebbe replicarsi anche nel nostro paese. I narratori di Alice Biella hanno preferito forme di narrazione eterogenee rispetto alla traccia predisposta. Se questo ha reso il lavoro meno sistematico sul piano metodologico, ha anche permesso di sfruttare l’imprevedibilità della narrazione toccando altri temi della medicina narrativa, per esempio quello della cartella parallela, accolta dall’associazione con curiosità e interesse a sperimentarla nella pratica clinica.


[1] Nell’articolo le citazioni dai racconti dei diversi narratori verranno indicati come segue: A (persona con afasia), C (caregiver), T (terapista).

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