In occasione del II Congresso della SIMeN, ho partecipato al gruppo di lavoro dedicato alla formazione alla Medicina Narrativa, tema molto caro all’Area Sanità di Fondazione ISTUD e a chi, come noi, si occupa di questa disciplina da tempo e pensa che le competenze narrative vadano trasmesse fin dai primi anni di studi dei futuri professionisti sanitari.
L’obiettivo del gruppo di lavoro è stato quello di partire dalla condivisione delle esperienze formative, svariate e inserite in diversi contesti, per trarre delle indicazioni di metodo utili a definire quella “complicità nella cura” evocata dal titolo del Congresso e da applicare anche ai processi formativi.
Non è semplice bilanciare e mantenere armonizzate tutte le componenti necessarie per fare una buona formazione: da un lato c’è l’implicazione relazionale che ciascun processo formativo porta con sé, con l’incontro dei valori e delle emozioni di chi è in aula; dall’altro, non bisogna perdere di vista i saperi da trasmettere e gli strumenti metodologici da mettere in atto. Anche la formazione alla Medicina Narrativa deve essere una progettualità comune e, proprio perché inserita in un progetto, con degli obiettivi specifici, non può essere improvvisata. Il rischio altrimenti è di creare eventi disorganici, fini a se stessi e senza impatti significativi.
Per formare alla Medicina Narrativa, serve un giusto mix di caratteristiche, competenza in materia, una strategia, ma anche creatività, per adattarsi alle specificità di chi è in aula. Serve un’etica della narrazione, consapevolezza, prudenza e delicatezza nel trattare le narrazioni, che possono evocare emozioni forti, sia nel processo di scrittura, sia nella lettura di altre storie.
E quindi, come fare per formare alla Medicina Narrativa? Formarsi continuamente, in qualità di formatori, e fare sempre più rete, sono le prime risposte che il gruppo si è dato. Oggi ci sono molteplici possibilità di formazione strutturata alla Medicina Narrativa, si può scegliere l’approccio specifico più calzante. L’importante è restare nella complicità e parlare tutti lo stesso linguaggio, condividendo esperienze e mettendo a disposizione i saperi. E’ un lavoro continuo e faticoso, ma è quello che può mettere le radici più profonde.
Chi formare? Da tempo si condivide la necessità di inserire la Medicina Narrativa e le Medical Humanities nei percorsi universitari dei futuri professionisti sanitari, medici, infermieri, professionisti dell’aiuto, operatori tecnici. Le esperienze già intraprese ci dicono che prima si affianca questa formazione alle competenze cliniche, meglio è. “The Devil is in the third year” è l’inizio del titolo di un interessante studio pubblicato su Academic Medicine[1], che dimostra come gli studenti in medicina, già dal terzo anno di studi, perdano l’empatia, una capacità che invece si può sviluppare e consolidare, cominciando con una buona formazione. I risultati che arrivano dalle Facoltà di Medicina e Scienze Infermieristiche di molti Paesi, tra cui l’Italia, in cui si sta intervenendo, sono buoni e incoraggianti; lo dimostra anche il numero crescente di tesi di laurea dedicate alla Medicina Narrativa, spesso lavori pioneristici e preziosi, che andrebbero diffusi di più. Questa è una strada da continuare a percorrere, sviluppando corsi ancora più strutturati, legittimati – non solo dei seminari facoltativi per studenti particolarmente volenterosi – e tempestivi, magari arrivando prima di questo fatidico terzo anno.
Se l’empatia è a continuo rischio di erosione, insieme alle motivazioni professionali, la formazione post lauream, rivolta a chi quotidianamente opera nei contesti sanitari, è altrettanto fondamentale. Come Fondazione ISTUD, da anni gran parte del nostro impegno è rivolto alla formazione degli operatori sanitari, che attraverso la Medicina Narrativa trovano spesso nuova linfa e nuovi strumenti per migliorare il vissuto della loro professione, per se stessi, i colleghi e chi hanno in cura. Nella ricerca di complicità tra chi si occupa di formazione alla Medicina Narrativa, multidisciplinarietà è una parola chiave condivisa, perché le competenze narrative devono appartenere agli interi team di cura e non solo al singolo professionista. Le aule che riuniscono più figure professionali portano ad un arricchimento che non è comparabile con i percorsi formativi monospecialistici. Tutte le definizioni di Medicina Narrativa, e lo ha detto chiaramente anche Trisha Greenhalgh ospite del Congresso, ci dicono che non è una disciplina che riguarda solo due soggetti, il medico e il paziente, ma include tanti mondi, i team di cura, i nuclei familiari, le organizzazioni sanitarie, la comunità e la cittadinanza. E allora, la formazione alla narrazione in sanità non può che essere inclusiva e multidisciplinare.
Un’altra parola chiave citata è stata la rete, per noi di ISTUD talmente importante da essere un obiettivo specifico di tutti i percorsi formativi offerti. Il risultato della formazione alla Medicina Narrativa è un network di professionisti esperti e consapevoli, in grado di applicare e portare questo approccio nei contesti sanitari. E a cosa può servire la rete, mi è stato chiaro una volta di più in questo Congresso: ho potuto rivedere e lavorare insieme a tanti ex partecipanti ai nostri corsi, qualcuno risalente alle prime edizioni di anni fa. Professionisti che hanno scelto di formarsi alla Medicina Narrativa, talvolta con obiettivi chiari sin dall’inizio, altre volte per una ricerca personale, altre ancora per curiosità, e oggi proseguono convintamente nelle loro progettualità. La rete alimenta e fortifica le esperienze, guida e supporta chi si sente un vettore solitario, ispira, stimola, permette occasioni di scambi di esperienze, anche internazionali, che non si sarebbero potute creare altrimenti.
Formare alla Medicina Narrativa, ma anche divulgare: questo l’ulteriore contributo che come Fondazione ISTUD abbiamo voluto portare nell’occasione del gruppo di lavoro sulla formazione. Recenti esperienze di integrazione tra il mondo scolastico e le strutture sanitarie, ci portano verso questa ulteriore strada, per un intelligente uso dell’alternanza scuola-lavoro. Si può andare nelle scuole superiori e fare divulgazione rivolta agli adolescenti, attraverso le narrazioni e le Medical Humanities, per costruire una cultura della salute che non è solo prerogativa dell’operatore sanitario, ma deve appartenere alle persone in condizioni di malattia, a quelle in salute, ai loro familiari, a tutta la società. In questi anni di ricerca narrativa e formazione, di lettura e ascolto di tante storie di cura, ho imparato che non è sempre e solo la malasanità, o la cattiva organizzazione, a bloccare gli ingranaggi dei percorsi di cura; talvolta è la presenza di stigmi, di convinzioni radicate, la mancanza di una cultura condivisa di salute tra curato e curante ad impedire delle buone cure. La Medicina Narrativa ha un ruolo importante in questo processo culturale, e la formazione e la divulgazione ne sono lo strumento chiave.
Certamente una giornata di workshop non può essere sufficiente a definire dei metodi formativi di riferimento, ma mi auguro che possa essere stato il punto di partenza per raggiungere la vera complicità tra chi intende occuparsi di Medicina Narrativa, sia nella ricerca che nella formazione, per proseguire in maniera organica e sempre più pragmatica nelle direzioni condivise. Come coordinatrice di un Master in Medicina Narrativa Applicata, ognuno degli ex partecipanti incontrati ha rappresentato per me una conferma e uno stimolo a proseguire nello sforzo costante di tutta la nostra Area Sanità di ISTUD; come persona, ognuno di loro mi ha ricordato quello che mi ha lasciato e che oggi porto con me, perché la formazione per me deve essere permeabile, altrimenti non è formazione.
[1] Hojat M. et al. The devil is in the third year: a longitudinal study of erosion of empathy in medical school”. Academic Medicine, Vol.89 n.9, 2009