Siamo lieti di presentare un’intervista a due professionisti della cura che hanno reso possibile l’esperienza di Arte nei luoghi di cura: Massimo Grezio, coordinatore infermieristico delle Chirurgie Generali, e il Professor Elio Jovine, direttore della UOC Chirurgia Generale A presso l’Ospedale Maggiore di Bologna. Abbiamo infine intervistato Nicola Barni, General Manager presso Hollister, per cogliere anche il punto di vista dell’azienda che ha dato il suo supporto incondizionato al progetto con il brand Dansac.
D. Massimo Grezio, come è nato il progetto Arte nei luoghi di cura?
MG. Il progetto è nato cinque anni fa; io sono stato coinvolto durante un evento formativo insieme ad altri enterostomisti provenienti da tutta Italia. All’inizio ero un po’ scettico sulla realizzazione di questo percorso, perché non credevo che i pazienti sentissero la necessità di raccontarsi, di esprimere in parole il loro vissuto attraverso la medicina narrativa – ma probabilmente ero io ad essere diffidente. Abbiamo raccolto centinaia di narrazioni da cui trapelavano paura, speranza, ma soprattutto la fiducia che i pazienti riponevano negli operatori coinvolti nel loro percorso di cura. Da qui nasce l’idea di trasformare in immagini le testimonianze dei pazienti: queste emozioni, i volti dei pazienti stessi, ci hanno spinto a superare gli ostacoli che abbiamo incontrato lungo il percorso. Inizialmente ci siamo imbattuti nella diffidenza di alcune strutture coinvolte; poi abbiamo avuto la fortuna di conoscere la Comunità L’Arché ed i suoi fantastici ragazzi. La nostra motivazione e tenacia, con l’aiuto di un’ arteterapeuta, ci ha fatto realizzare questo progetto dalla doppia valenza sociale e terapeutica per i pazienti del reparto e i ragazzi disabili del territorio. Questo il risultato: sette tavole, tante quanti i colori dell’arcobaleno, con su scritti i messaggi d’affetto e speranza dei ragazzi verso i pazienti.
D. Come è stato recepito il progetto da parte di chi vive il reparto?
MG. L’opera ha aggiunto più colore e umanità lungo i corridoi del reparto. Pazienti e visitatori sono attratti non tanto dalla bellezza in sé delle tavole, quanto dai messaggi di speranza, genuinità e coraggio che i ragazzi trasmettono a chiunque li osservi. Ho l’impressione che pazienti e parenti abbiano, oggi, un approccio completamente differente alla narrazione della loro malattia; spesso mi chiedono di voler partecipare a progetti di questa natura. La mia sensazione è che la medicina narrativa abbia raggiunto il suo obiettivo: rendere meno faticosa la vita di questi pazienti e migliorare la loro qualità di vita. Io personalmente ho preso gusto, e sono sicuro che non finirà qui.
D. Professor Jovine, come l’arte può essere di supporto alla pratica medica, dal suo punto di vista?
EJ. La pratica medica è di per sé un arte, laddove il professionista cerca di esprimersi al meglio all’unico scopo di dare conforto al paziente. Con il progetto Arte nei luoghi di cura si è riusciti a rendere questo concetto anche una realtà, che consente non solo al malato ma anche ai suoi familiari di percepire quanto di concreto si cela dietro al nostro impegno quotidiano.
D. Come ha vissuto il coinvolgimento suo e della sua équipe in questo progetto?
EJ. Sicuramente la parola più rappresentativa che descrive il nostro approccio – mio e della mia équipe – è entusiasmo. Le emozioni che trasudano dalle tele di persone che, attraverso la loro sofferenza, sono comunque riusciti a trasmetterci un messaggio di speranza, ci hanno colpiti e ci consentono, ogniqualvolta le vediamo, di concederci un momento di riflessione.
D. Nicola Barni, perché DANSAC ha deciso di sostenere questa iniziativa, e come questa rientra nel vostro percorso e sostegno al mondo della stomia?
NB. Contribuire a creare una cultura di attenzione alla persona è una responsabilità per le aziende importanti come Hollister. Il progetto DNA, che portiamo avanti ormai dal 2015 con il brand Dansac, è una delle iniziative con cui realizziamo concretamente questo impegno perché pone al centro la persona, la sua famiglia, il suo vissuto sociale, le fragilità e le emozioni legate all’esperienza della malattia e al trauma della stomia. Attraverso DNA diamo il nostro contributo per migliorare il percorso di assistenza e sensibilizzare su un tema così delicato e così poco noto come la stomia.