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Inno Orfico a Hermes
Ascoltami, Hermes, messaggero di Zeus, figlio di Maia dal cuore indomabile.
Ascoltami, giudice nelle gare, signore dei mortali, benevolo, scaltro,
messaggero dall’agile passo e dai calzari alati, amico degli uomini, araldo per i mortali.
Ascoltami, tu che gioisci degli esercizi ginnici e dei sottili inganni;
tu che porti i serpenti e rechi ogni annuncio e proteggi i guadagni;
tu, liberatore dall’angoscia, che hai nelle mani le armi irreprensibili della pace.
Ascoltami, beato, provvido, eloquente, aiuto nelle opere,
amico dei mortali nelle necessità: tu,
ascolta la mia supplica e concedimi in sorte un alto compimento della vita nelle azioni,
nelle grazie del discorso e nel ricordo.
Il Dio greco Hermes, dalle ali ai piedi, in italiano Mercurio corrispondente al pianeta più piccolo e che ha l’orbita più eccentrica del nostro sistema solare, è protettore della comunicazione, dei messaggi, dei commerci e dei ladri. Inoltre, è noto per i suoi continui scherzi tra gli Dei e gli Umani. Insomma un dio giovane potentemente ambiguo. A volte nelle conferenze sulla medicina narrativa si sente parlare di “ermeneutica” e molte persone si guardano attorno con aria un po’ persa, chiedendosi cosa sia questa ermeneutica, scienza spesso conosciuta da pochi addetti ai lavori.
È che ora la medicina narrativa ama parlare difficile, adottando lo stesso difetto che addossiamo ai medici quando dicono che parlano un linguaggio “medichese” a volte incomprensibile. Anche la medicina narrativa sta dunque creando un lessico complesso, quasi a voler dire, ci sono anche io che parlo difficile, sono una vera “scienza”. Divertente mossa di attacco e difesa.
Torniamo a “ermeneutica” e rendiamola viva e fantastica: il filosofo a cui va ascritta l’introduzione del nome è Aristotele: per lui ermeneutica è letteralmente l’interpretazione dei testi e dei messaggi. La parola ermeneutica già ai tempi dei greci che contiene il dio Hermes sta a significare che interpretare le narrazioni sia importante, che senza comunicazione non si può vivere ma che le narrazioni sono ambigue. Per sfuggire dall’incertezza, oltre a prestare attenzione ai contenuti del testo, le narrazioni vanno inserite nel contesto di appartenenza: un conto è trovarsi scritto nella storia di un paziente “mi è crollato il mondo addosso” in un contesto diagnostico, dove per la prima volta ci confrontiamo con una notizia infelice, e un conto è il perpetrare di questa affermazione “mi è crollato il mondo addosso” nel contesto di un percorso di cura già avviato. Il contesto diagnostico generalmente, ma non sempre (a volte le persone si sentono sollevate perché riescono a dare un nome a quei fenomeni ignoti privi di un nome), destabilizza, ed è il momento del caos, dello smarrimento e del non sentirsi più la terra sotto i piedi, ma quando in un percorso di cura il paziente sta oggettivamente guarendo o tenendo sotto controllo la sua malattia, il ricorso a questo linguaggio può significare che sta vivendo un disturbo da stress post traumatico.
Per essere quindi buoni interpreti (rivelatori di significato) ci è richiesta una buona dose di riflessività e non di azione ad impulso: la narrazione di un paziente, così come qualsiasi narrazione, richiede l’altro, il lettore, l’ascoltatore: Paul Ricoeur, filosofo del secolo scorso lo chiama il “ri-conoscitore”, ossia colui o colei che in mezzo al messaggio nascosto e disordinato fa ordine e lo restituisce con un senso compiuto, che magari il raccontatore non era riuscito a verbalizzare. Che ci sia margine di giocosità ambigua è sicuro, ma non più dei numeri, i quali anche essi vanno contestualizzati per prendere un significato: se vogliamo dare l’esempio di quali siano il primo e il secondo partito in Italia oggi, scriveremmo due nomi con dei numeri in percentuale accanto. Ma in realtà il primo partito è quello dei non elettori, con un’altra percentuale accanto. E allora possiamo dedurre che l’ermeneutica non va solo applicata alle parole ma anche ai numeri, affinché prendano un senso.
Il processo di riconoscimento nel testo è un riecheggiare di quello che ci può evocare la narrazione e una possibile riformulazione che la rende forse meno poetica ma più cognitiva: il testo confuso denso di emozioni e visioni passa ad un linguaggio più astratto e pragmatico, quasi un testo che si ottiene con Chat- GPT (che non sto usando mentre scrivo questo post). Qui sono le nostre funzioni cognitive a leggere il messaggio, ma anche proprie dell’intelligenza intrapersonale, interpersonale, naturale, esistenziale: è una riflessione che avviene a partire dalle nostre intelligenze multiple.
C’è qualcosa in più però quando Aristotele si è messo a studiare l’ermeneutica, ovvero l’interpretazione su testi che all’inizio erano sacri “i miti”, che poi si sono trasformati in testi religiosi come la Bibbia, il Vangelo, di Alchimia sulla Pietra Filosofale: il senso del Divino, racchiuso proprio nel nome Hermes. La narrazione è un atto divino, anche se imperfetto, e interpretarla è anche un atto di “divinazione”, di “indovinare”. Certo noi abbiamo lasciato da tempo l’arte degli indovini, ma ci affidiamo comunque alla tecnica degli interpreti.
E se volessimo chiedere chi sono gli Hermes al plurale nella medicina narrativa, la risposta è semplice: sono i pazienti, i familiari, i professionisti sanitari, i professionisti dell’aiuto. Il loro messaggio va onorato – come scrive Rita Charon- “onorare le storie dei malattia”, dando un senso di sacralità al testo. E noi traduttori, siamo un ponte tra il luogo del sacro e il pragmatismo dell’interpretazione che ci suggerisce come agire successivamente per poter portare luce e salute.
Queste tecniche di riflessione e di interpretazione si apprendono sul campo e nei percorsi di formazione: l’autodidatta è sempre una persona degna di essere stimata, il fai da te è un atto di grande volontà, ma la competenza maturata e ben radicata porta le persone che desiderano entrare nella “pragmatica della medicina narrativa” a svoltare.
Svoltare significa agire diversamente nella visita con il paziente, includendo la narrazione nel contesto della biografia di chi stiamo curando, significa progettare delle ricerche che fanno emergere quali sono i nuovi piaceri che una persona afflitta da una malattia sta cercando di procurarsi a fatica, significa comunicare al microcosmo di relazioni il “vero come sto” e non quello falsificato dalla maschera del sorriso stereotipato. Svoltare significa educare in modo differente, con meno regole, meno preconcetti, e più capacità di riconoscimento degli altri. C’è un luogo comune che desidero sfatare: a essere empatici e a capire gli altri ci si nasce. Affatto, sono arti scientifiche che vanno studiate con lo spirito dell’interprete, chiedendo l’aiuto dl Dio Hermes (all’inizio dell’articolo vi è l’inno propiziatorio), con cui molto probabilmente ci divertiremo. E in questo momento abbiamo un grand bisogno della sua leggerezza data dalle sue ali ai piedi e la sua età di perenne adolescente.