I risultati dell’indagine promossa dall’Area Sanità di Fondazione ISTUD
95% di professionisti più contenti di sé e 55% di direzioni sanitarie interessate alla Medicina Narrativa
Alle soglie dell’VIII edizione del Master in Medicina Narrativa Applicata, e con all’attivo altri percorsi di formazione alla medicina narrativa rivolti ai professionisti sanitari, abbiamo voluto interpellare i partecipanti ai nostri corsi per capire, dalla loro testimonianza diretta, se l’approccio strutturato della narrazione nei contesti di cura si sia integrato nella loro pratica clinica, e con quali risultati.
Dopo diversi anni di impegno nella diffusione della medicina narrativa come disciplina di pari dignità rispetto alla Evidence Based Medicine, infatti, crediamo che sia arrivato il tempo di raccogliere le prime evidenze dell’impatto concreto che questo approccio può portare per il miglioramento delle cure e del vissuto di tutti coloro che ruotano attorno ai percorsi di cura, pazienti, familiari, curanti.
Abbiamo realizzato una breve indagine che abbiamo diffuso online a professionisti sanitari di diversa estrazione per professione, età, provenienza geografica, e anche tempo trascorso dalla formazione, ma tutti accomunati dall’interesse verso un approccio di cura più inclusivo della persona, dei suoi valori e della sua storia. Gli 80 rispondenti sono in gran parte donne – 77%, e questo risultato corrisponde perfettamente alla composizione di genere nelle nostre aule – prevalentemente medici (40%) e infermieri (26%). In realtà, le nostre aule sono sempre spiccatamente – e potremmo dire anche meravigliosamente – multidisciplinari, perché mettono insieme numerose altre professioni: psicologi, formatori, esperti di comunicazione sanitaria, terapisti della riabilitazione, farmacisti, e tante altre figure. La Regione più rappresentata dai rispondenti è la Lombardia (29%), ma possiamo dire di aver raggiunto una mappatura nazionale che vede rappresentate 17 Regioni italiane, tra cui il Piemonte, l’Emilia Romagna, il Lazio, la Sicilia, la Toscana. Non era richiesto obbligatoriamente di indicare la struttura di appartenenza, ma prevale la rappresentatività tra gli ospedali e le ASL del nostro territorio italiano.
Cosa abbiamo chiesto ai nostri partecipanti? Gli abbiamo domandato se la formazione alla medicina narrativa abbia apportato dei miglioramenti, peggioramenti o nessun cambiamento a livello individuale, nelle relazioni di cura, nelle relazioni con i colleghi, nel posizionamento del proprio ruolo professionale. L’acquisizione degli strumenti applicativi della narrazione serve prima di tutto a se stessi, a crescere come persone, come testimoniato dal 95% dei professionisti, di cui il 65% parla di “netto miglioramento”, consapevolezza, migliore capacità di ascolto e attenzione alla persona: “Mi sento molto più tranquilla, direi quasi serena nel mio incontro con i pazienti o con parenti. Forse anche molto più forte”; ”;“Sono riuscita a dare forma professionale alla spinta narrativa che ho sempre sentito necessaria e che esprimevo “ufficiosamente” a livello lavorativo. Sapere di aver anche un’autorizzazione formale ad esprimere la dignità dell’essere umano in tutte le sue sfumature ha dato energia nuova a me ed al sistema a cui contribuisco”; .”; “Ho la consapevolezza di avere uno strumento in più veramente efficace per svolgere il mio lavoro con più personalizzazione e benessere”.
Anche le relazioni di cura migliorano (85%), nettamente nel 44% dei casi; la capacità di ascolto, insieme all’acquisizione di strumenti, migliorano la qualità delle relazioni e della comunicazione: “Sono più attenta. Cerco di non interrompere i pazienti quando parlano. Ascolto tutte le voci che possono aver qualcosa da dire”; “molta attenzione al linguaggio che uso”; “Migliore capacità di andare oltre il caso clinico e raggiungere la persona malata”.
Le relazioni con i colleghi migliorano (65%), anche se meno spiccatamente: “lievemente migliorate” 41%, “nettamente migliorate” 24%, “non sono cambiate” 35%. In alcuni casi migliora la collaborazione e la comprensione reciproca, grazie ad un primo interessamento dei colleghi: “Mi ha aiutato a creare relazioni di vera collaborazione e condivisione sincera dei problemi quotidiani. Ho imparato a essere gruppo”; “uno stile comunicativo più aperto permette di creare relazioni più profonde e una miglior collaborazione all’interno del team. Ho provato ad importare la Medicina Narrativa all’interno dei progetti di cui mi occupo, è stata ben accolta”; “Condividere le storie delle persone in cura amplifica il coinvolgimento del gruppo di lavoro”. Ma resta la difficoltà a far comprendere la medicina narrativa e le sue potenziali ricadute: “migliorate con chi è affine alla medicina narrativa. Chi è scettico sogghigna o ti guarda con sospetto”; “incontro una significativa resistenza a proporre il piano narrativo in ambito medico”. La medicina narrativa, quindi, talvolta unisce e disvela nuove modalità di lavoro in team, ma altre volte resta confinata in un “affare privato” tra i più narrativi, quelli che hanno voglia e tempo di mettersi a chiedere ai pazienti le loro storie; talvolta, resta un lavoro solitario.
Il ruolo professionale tendenzialmente non cambia (55%), e questo poteva essere un risultato prevedibile, considerato che ad oggi non esiste un riconoscimento ufficiale e formalizzato della medicina narrativa. Ci sono però dei casi di miglioramento, anche netto, quando le acquisite capacità portano effettivamente ad un maggior riconoscimento e identità professionale, e quando viene riconosciuto all’interno della struttura il ruolo di punto di riferimento per l’applicazione degli strumenti narrativi: “Il mio ruolo non è cambiato, la competenza arricchita”; “Sono percepita come riferimento relazionale affidabile”; “I dirigenti hanno riconosciuto ufficialmente il mio atteggiamento in Medicina Narrativa, lasciandomi organizzare e gestire (ex novo) i tempi d’ascolto, scrittura e rilettura”.
Gli strumenti della medicina narrativa più utilizzati sono svariati: cartelle parallele, racconti semi-strutturati, diari, racconti liberi, insieme all’ascolto puro, considerato, a ragione, vero e proprio strumento. Vengono applicati a 360° e rivolti a persone in cura, familiari e anche ai colleghi, ad indicare lo sforzo costante di coinvolgere tutti i team nell’utilizzo di questo approccio, e non farne una “questione privata”.
Parlando delle direzioni, scopriamo una notizia confortante. Alla domanda “come si pone la tua direzione di riferimento verso la medicina narrativa e le medical humanities?”, il 55% delle direzioni di appartenenza vengono definite “interessate” (49%), quando non entusiaste (6%). Certo, resta uno zoccolo duro di direzioni indifferenti (42%), ma l’interesse indica che qualcosa si smuove, e che gradualmente, con l’esempio e piccoli passi concreti, si può arrivare a dialogare con le dirigenze e portare il concetto di cura globale della persona – compreso il professionista sanitario – a livello di sistema: “Ha favorito la realizzazione di un corso di medicina narrativa per medici”; “Le ricerche hanno prodotto momenti di riflessione e prodotto cambiamenti organizzativi e formativi”; “esiste la possibilità di considerare un disegno di studio”; “indifferente in generale, interessata se ci sono vantaggi economici”; “Forse indifferente non è la parola giusta. Mi viene più da dire che si sottovaluti l’importanza e la necessità sia per il benessere degli operatori che per le relazioni in generale”.
Meno positivo è il dato emergente sull’appartenenza ad una rete di referenti per l’utilizzo della medicina narrativa, che non viene utilizzata dal 68% dei rispondenti. Eppure, c’è una Società Italiana di Medicina Narrativa, riferimento per il 14% dei professionisti interpellati, e ci sono numerose iniziative, forse ancora troppo frammentate e locali per poter rappresentare un modello da calare nelle realtà specifiche in cui si opera. La rete è un punto di attenzione da rafforzare, non solo per noi di Fondazione ISTUD, ma per tutti coloro che si occupano di medicina narrativa e umanizzazione delle cure. Da questa indagine, troviamo dei professionisti rimotivati e arricchiti, anche a distanza di anni dal percorso formativo, pieni di risorse da mettere a disposizione del servizio sanitario, ma ancora molto soli ad affrontare le resistenze che incontrano.
E infatti, che cosa si desidera, oggi, per proseguire nell’utilizzo della narrazione in sanità? La risposta più ricorrente è la formazione per gli operatori (18%), per quei colleghi che si mostrano indifferenti, sospettosi, resistenti all’adozione di approcci narrativi, probabilmente più per mancanza di conoscenza delle potenzialità, e per gli effetti dell’inaridimento quotidiano a cui si è sottoposti, che non per ostilità aperta. Ecco perché si invoca la formazione come primo desiderio, seguita da progettualità e iniziative di sensibilizzazione, una maggiore strutturazione e condivisione delle iniziative legate alla medicina narrativa e la messa a punto di modelli che possano essere applicati alle diverse realtà di salute: “un bel corso prima di tutto per il mio reparto (medici infermieri specializzandi) e poi allargarlo ad altri”; “Il cambiamento inizia con un piccolo passo, seguito da moltissimi altri: cercherò di sensibilizzare i responsabili della Formazione a istituire incontri e corsi ECM in Medicina Narrativa per tutto il personale sanitario del nostro presidio e territorio”; “Credo che la strada intrapresa sia quella giusta: al momento non sono in grado di seguire interventi massivi ma credo sia utile concentrarsi su alcuni progetti, ben definiti”.
L’indagine è stata breve e puntuale, tuttavia abbiamo voluto lasciare anche degli spazi più “narrati” e aperti ai commenti e considerazioni. La rappresentazione delle parole più ricorrenti riflette e arricchisce quanto i nostri partecipanti hanno voluto dire, e cosa sia importante per loro: le persone in cura, i colleghi, il miglioramento, l’ascolto, le relazioni, la formazione, l’attenzione e consapevolezza, gli strumenti e le applicazioni pratiche nel lavoro quotidiano.
Questo lavoro si può ampliare e affinare ulteriormente, ad esempio considerando un gruppo di controllo composto da professionisti che non hanno formazione specifica sui temi dell’umanizzazione delle cure e della medicina narrativa, per comprendere il loro vissuto professionale e delle relazioni, e confrontare i livelli di benessere individuati tra i due gruppi. Potrebbe essere l’occasione per dipanare un po’ delle resistenze e dei sospetti esistenti tra le direzioni indicate come “indifferenti”.
Grazie a tutti i partecipanti ai nostri corsi incontrati in questi anni, e grazie a chi tra loro ha dedicato un po’ del suo tempo a questa indagine. Faremo tesoro di queste vostre parole, per accompagnare sempre di più i professionisti sanitari verso un approccio di cura integrato tra parametri clinici e valori delle persone, e per mantenere viva una comunità di referenti esperti e di riferimento per la medicina narrativa.