Presentiamo un colloquio tenutosi tra il prof. Silvio Garattini e Maria Giulia Marini, Direttore dell’Innovazione dell’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD.
Il prof. Garattini è perito chimico, dottore in medicina, docente in Chemioterapia e Farmacologia. Fondatore nel 1963 e direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, è autore di centinaia di lavori scientifici pubblicati in riviste nazionali e internazionali. Fa parte del Gruppo 2003 ed è fondatore dell’European Organization for Research on Treatment of Cancer.
«Non gode di buona fama, la Medicina Narrativa», sono alcune tra le prime parole pronunciate dal prof. Silvio Garattini, uomo di scienza e di “evidenza”.
«Ha ragione professore» rispondo, «purtroppo ci sono molte medicine narrative inquinate da letteratura di fantasia: eppure, la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha scritto delle policies nel settembre 2016, per tentare di fare chiarezza su come condurre delle ricerche narrative di buona qualità per migliorare la sanità. E in queste policies di ricerca narrativa si parla delle fonti delle storie, del calcolo del campione, delle interpretazioni delle narrazioni dei pazienti. Primo: le fonti delle narrazioni devono essere i pazienti e i curanti e non il romanzo letterario. Non è Narrativa in Medicina, o Narrative in Medicine, ma narrazioni raccolte nella pratica clinica. Secondo: quando si può, si deve cercare di fare un calcolo del campione che tenga conto di fattori epidemiologici. Terzo: a interpretare le narrazioni deve esserci, se possibile – e secondo me questo non è sufficientemente evidenziato nelle linee guida della Organizzazione Mondiale della Sanità – una lettura in cieco delle narrazioni, per limitare quanto più possibile l’inferenza del lettore».
«Sul primo punto concordo in pieno» risponde Garattini «Noi dobbiamo tenere bene distinto il piano della letteratura con quello delle narrazioni dei pazienti; sul secondo, quello del calcolo del campione, desidero invitare a pensare di dare una voce a tutte le possibili tipologie dei pazienti, considerando l’età, il reddito, i fattori sociali, professionali e culturali. Sappiamo che in genere aderiscono più volentieri a queste indagini i pazienti “più attivi”, ad esempio quelli che appartengono alle associazioni, e i più privilegiati, quelli più istruiti, e forse i più ricchi. Bisogna invece, se vogliamo raccogliere un campione veramente rappresentativo, applicare una segmentazione accurata delle persone “malate”, suddivise per fasce di età, reddito, genere, etnia. Solo così sarà possibile ottenere una raccolta di narrazioni dei pazienti utile per la programmazione sanitaria, egualitaria e universalistica».
«Sì. In effetti, a volte riusciamo a ottenere informazioni relative a una adeguata rappresentanza di persone che vivono con una malattia, a volte no purtroppo, perché lavoriamo con criteri osservazionali e trasversali e non sufficientemente prospettici e longitudinali», rispondo.
Aggiunge il professore, «Se ci fosse un maggiore sforzo verso una formulazione ipotetica a priori di quanti pazienti vogliamo ascoltare per i diversi fattori socio-demografici e di gravità della malattia, saremmo già su una strada migliorativa. Rimane il problema della interpretazione delle narrazioni. Se, ad esempio, raccogliamo le narrazioni con interviste a voce, potremmo avere un intervistatore che ha una cultura scientifica, un altro che ha competenze legali, un terzo con cultura letteraria: sarebbe bello vedere come la stessa storia è raccontata e interpretata in modo differente a seconda dell’interlocutore che abbiamo di fronte. Questo potrebbe essere uno studio interessante».
Mi sento chiamata in causa e faccio appello alla nostra scienza alleata, la linguistica, che non solo può minimizzare gli equivoci interpretativi, ma ci aiuta nella interpretazione delle narrazioni, riducendo le inferenze date dalle singole parole. «Professore, noi in genere raccogliamo le narrazioni attraverso una traccia scritta, per evitare anche le intromissioni del linguaggio non verbale o paraverbale (i gesti, il tono della voce), e se è anche orale stiamo molto, molto attenti alle parole che utilizziamo. Abbiamo trovato una possibile soluzione usando il Metalinguaggio Semantico Naturale: si tratta di 65 atomi universali di significato, che hanno scoperto appartenere a tutte – o quasi – le lingue del mondo, e che non sono equivocabili dalle persone… Le porto un esempio. Abbiamo raccolto le narrazioni di pazienti con tumore al colon che erano stati operati per la creazione di una stomia, in Italia e in Australia: abbiamo inserito delle micro-guide iniziali usando queste parole, lasciando libera la risposta: “Che persone desideri vicino a te”… Sono tutti universali semantici, parole evocative e non condizionanti. I risultati sono stati straordinariamente diversi: l’80% degli Italiani desidera persone legate alla propria famiglia, mentre l’80% degli Australiani desidera vicino i professionisti sanitari, o piuttosto stare da soli. È chiaro, quindi, che dovendo programmare gli interventi sanitari in Italia, dovremo prendere in cura non solo il paziente, ma l’intera famiglia nella gestione del paziente con la stomia; in Australia, invece, avremo da sostenere principalmente i professionisti sanitari, gli enterostomisti e il paziente. Tutto questo l’abbiamo evidenziato attraverso uno strumento scritto con queste parole universali, questi atomi semantici.
«Così si vede uno sforzo verso la ricerca degli strumenti meno condizionanti possibili per una ricerca di qualità: è continuando a lavorare in questo modo che si può arrivare ad ottenere delle “evidenze” anche dalle narrazioni. E quindi la Evidence-Based Medicine e la Narrative Medicine in questo modo, entrambe se fatte con serietà e rigore metodologico, possono arricchirsi a vicenda», conferma il professore. Gli parlo di uno studio dove, attraverso la rating scale per la misura del dolore, non si riusciva a dosare la terapia: una volta ascoltate la storie non solo cliniche, ma della vita dei pazienti, i medici sono riusciti ad aggiustare il dosaggio in modo efficace. L’integrazione di strumenti di metrica con le narrazioni dei pazienti sono entrate a far parte della Direzione sanitaria, nella qualità di alcune aziende sanitarie per la valutazione del dolore».
Ma è la linguistica il tema più interessante della nostra conversazione. Le ultime riflessioni vanno al linguaggio che si utilizza negli studi clinici: «Apparentemente, professore, sembra uno stile neutrale, didattico-didascalico, ma se lo osserviamo bene, vediamo che ci sono parole come Gruppo A verso Gruppo B, Survivors, Failures, Enrolled», e lui aggiunge «Recruited, tema interessante. Potrebbe venire a parlarne ai nostri ricercatori». «Volentieri. Sì, la letteratura scientifica poggia anche su uno stile epico militaresco: il clinical trial, lo studio clinico ha un linguaggio che si fonda sulla competizione e non sulla cooperazione». «Certo», risponde Garattini, «Il nemico da abbattere è la malattia, grazie all’alleanza terapeutica. Dobbiamo stare attenti a come parliamo, molto attenti: le parole possono essere dei farmaci». «Ne sono convinta anche io, le parole possono essere dei farmaci, ma anche dei veleni, purtroppo».
E ripenso all’antico significato della parola greca pharmacon, che al contempo significa medicina, rimedio ma anche veleno. «Il veleno più grande è togliere la speranza a un paziente. Mai togliere la speranza», conclude Garattini.
Esco arricchita da questa conversazione, con la grande speranza che mi ha dato il professor Garattini: che si possa fare medicina narrativa seria, che produca prove – la parola corretta per tradurre evidenze – certamente soggette alle confutazioni scientifiche, come ogni ricerca. E la leggerezza nel tenere lontano da questo approccio bellissime poesie e romanzi e film sulla malattia: non è per noi medicina narrativa, non in questa nostra accezione dove desideriamo che essa sia uno strumento migliorativo per i servizi di cura di tutto il mondo.
Complimenti Giulia, l’ho letto molto volentieri, bello con uno strumento del genere poter “avanzare”! Alessandro
Ho il piacere di ospitare una lettera del presidente nazionale della SiMeN, Antonio Virzì, in risposta alla mia intervista con il prof. Silvio Garattini. Pensiamo che questa lettera sia ricca di spunti per un dialogo costruttivo:
“Confesso che ho qualche difficoltà nel non accettare molte delle cose dette dal professore Garattini che ho considerato e considero un punto di riferimento importante per chiunque si assuma la responsabilità di curare. Questa affermazione non viene dal tentativo di addolcire le osservazioni che sto per proporre, ma perché elemento determinante alla loro comprensione.
Caro professore, (mi consenta il caro perché di cuore), purtroppo quella che è messa veramente male è proprio la Medicina tradizionale, anzi proprio quella delle Evidenze. Per crisi non intendo certo un mio personale rifiuto che non c’è, ma molto semplicemente l’osservazione che un numero sempre maggiore di persone manifesta una diffidenza crescente, se non un vero e proprio rifiuto. Questo, per la mia formazione mi dispiace e ferisce profondamente, ma non posso accettare l’idea che la responsabilità sia solo di un pugno di sprovveduti. Credo che i colpevoli siano almeno altri due: Arroganza e Disonestà, e non certo della Medicina Narrativa, alleate fra loro. Alleate perché si pretende, ad esempio, che due genitori comprendano la necessità di un vaccino senza spiegazioni o con spiegazioni espresse in linguaggi più o meno incomprensibili, fornite, per colmo, da chi può anche avere perso ogni credibilità perché disonesto. Arroganza e Disonestà, l’accoppiata è micidiale. Per quelli della mia generazione nomi come De Lorenzo, ex ministro della Sanità o Poggiolini, quello dei divani imbottiti di lingotti, banconote e pietre preziose per intenderci, altissimo funzionario dello stesso Ministero, sono tutt’altro che dimenticati come esempio di quanto ci si possa fidare di figure che possiedono responsabilità enormi, non a caso condannati a pagare oltre sei milioni di euro per il danno di immagine allo Stato italiano. Per le altre generazioni è ancora peggio perché non si tratta del ricordo del caso specifico, risolvibile con la solita frase: “le mele marce ci sono sempre”, ma perché, come frutto degli scandali ripetuti si finisce con il perdere ogni fiducia nelle Istituzioni e nelle figure che le rappresentano, ministri, funzionari o scienziati che siano. Confesso che per me è mortificante assistere allo spettacolo di ignoranti assoluti che salgono in cattedra avendo più credito di quanti hanno dedicato la loro vita alla scienza e alla politica, riuscendo ad orientare l’opinione pubblica in direzioni pericolosissime. A scanso di equivoci, non solo sono favorevole ai vaccini (cado nella trappola delle opinioni), ma anche alla loro obbligatorietà oggi. Quello che mi dispiace è che con un po’ di Medicina Narrativa in più forse non saremmo arrivati a questo punto. Se medici, scienziati, funzionari, politici, fossero stati più attenti alle narrazioni delle madri che negli ultimi anni hanno cominciato a non vaccinare i figli o a farlo a malincuore, forse tutto questo si sarebbe potuto evitare. Essere attenti alle narrazioni è Medicina Narrativa. Poi, una ricerca seria avrebbe anche potuto individuare le fasce più sensibili (in base a sesso, età, condizione sociale, ecc ) e programmare strategie più mirate, e questa sarebbe stata ricerca in Medicina Narrativa. Ma per dire che ascoltare le persone è importante non ho bisogno di una dimostrazione scientificamente corretta, anzi, se qualcuno dimostrasse il contrario, sarebbe ancora più catastrofico e spero non sia necessario spiegarlo. Certamente, per ascoltare è importante non solo sapere che è necessario farlo, ma anche migliorare le proprie capacità di farlo. In questo, insieme a tutte la altre tecniche, la Letteratura, quella “non scientifica” dà uno splendido aiuto e anche in questo caso mi sembrerebbe inutile spiegare. Questa è Medicina Narrativa. Basta non usare le narrazioni per fare dire cose diverse da quello che vogliono dire. Leggere Mastro Don Gesualdo o Ivan ilhc insegna sul malato molto di più di quanto i testi di medicina non insegnino sulla malattia. Se si dovesse dimostrare che è meglio per un medico non perdere tempo a leggere di storie di sofferenza, anche se frutto di quella creatività che contraddistingue l’artista, sarebbe gravissimo.
Vede, poi, senza legare cultura umanistica con onestà (purtroppo non sono equivalenti o conseguenti ), l’onestà che significa poi credibilità, oggi è ancora più importante che ieri. Se il principio base della scientificità è quello della riproducibilità delle scoperte e ieri, tutto sommato chiunque poteva lasciare cadere un oggetto e con semplici strumenti di misura, come un orologio o una bilancia, verificare scoperte rivoluzionarie, oggi se vuoi verificare qualunque affermazione scientifica nuova, se non sei un Centro di ricerca specializzato, non puoi che affidarti alla letteratura scientifica accreditata. Il comune mortale deve in pratica fidarsi. Qui ritorna il problema dell’onestà e della conseguente credibilità. Come non capire che se qualcuno ritiene l’onestà della fonte più determinante delle sue credenziali scientifiche, non può essere convinto solo dalle Evidenze. È necessario che queste siano proposte da persone affidabili, a meno che non si risolva tutto con l’obbligatorietà. Non è possibile trattare numeri sempre maggiori di “diffidenti” come branco di ignoranti e peggio per loro se non capiscono. Non è così anche perché i loro errori vengono pagati dall’intera comunità. Sapere ascoltare le loro narrazioni, che non vuol dire seguire le loro indicazioni, significa capire il perché di certi convincimenti e cosa fare per evitare il loro formarsi. Questa è Medicina Narrativa.
Mi accorgo, che per un commento ad una conversazione tra due studiosi corretti ed entusiasti del loro lavoro come la dottoressa Marini ed il professore Garattini, di essere andato un po’ oltre, forse facendo finta di non capire come per brevità possano essere stati costretti a generalizzare esponendosi a critiche che in una conversazione più articolata avrebbero meno senso, ma voglio aggiungere un’ultima piccola provocazione.
Non sono così sicuro che per la ricerca in Medicina Narrativa si debba procedere con le stesse regole e modalità che per le Evidenze. Non dico che non sia possibile la ricerca in Medicina Narrativa, probabilmente per alcuni aspetti potranno senza difficoltà essere usati i principi già accreditati, ma non dimentichiamo che essa nasce proprio come esigenza di un’attenzione maggiore alla persona nella sua individualità. Non è un caso che proprio nell’area delle Malattie Rare si sia riscontrato un interesse maggiore e che quasi sempre si parli di complementarietà con l’EBM. Questo significa che è necessario percorrere strade nuove che superino i limiti intrinseci, ad esempio come quelli della statistica. Per analogia, ricordiamo l’esperienza di un secolo di studi sulle psicoterapie che ha insegnato che non possono essere studiate come se fossero delle semplici compresse, senza che questo significhi smettere di tentarne la valutazione. Questo ci deve fare diventare più indulgenti nei confronti degli inevitabili errori di chi, sulla spinta più dell’entusiasmo che dell’esperienza in campo scientifico, si avventura nel campo della ricerca e per di più in un’area con pochi riferimenti consolidati. Siamo in una fase nella quale le conseguenze di eventuali errori (vista la ancora modesta importanza data alla Medicina Narrativa e l’atteggiamento di sufficienza spesso riservatole) sarebbero relative. Non sottovaluterei poi la possibilità di fare ricerca senza grandi mezzi e a questo proposito offro l’ultima “cattiveria”, certamente non nei confronti di Garattini che sarà sicuramente favorevole: non sarebbe il caso, invece che con la nostra piccolissima Medicina Narrativa, di prendersela un po’ con chi in Italia paga un Ricercatore meno di qualunque altro dipendente pubblico ed in ogni caso spende per la ricerca, quella ritenuta con la R maiuscola, cifre irrisorie?
Perdonatemi queste piccole provocazioni rivolte a persone che stimo e che capiranno che hanno solo l’obbiettivo di stimolare altre opinioni. “