La tempesta e la comunicazione non violenta

piccolo teatro milano giorgio strehler

Da ultimo atto della Tempesta di Shakespeare:

ARIEL
…Il tuo incantesimo
Agisce con tanta forza
Che, se tu li vedessi ora,
Ne avresti tenerezza.

PROSPERO
Lo credi, spirito?

ARIEL
Io sì,
Se fossi umano.

PROSPERO
E allora io lo sarò.
Tu che non sei che aria
Sei come toccato da un senso,
Una pena per i loro affanni
Ed io, che sono della stessa specie,
Che soffro le stesse passioni,
Non dovrò, uomo,
Commuovermi più di te?
Profondamente con i loro colpi
Mi hanno lacerato
Ma contro il mio furore
Io mi schiero
Al fianco della più nobile ragione.
Le opere della virtù sono più rare…
Vai Ariel,
Mettili in libertà.
Spezzerò l’incantesimo,
Restituirò loro la ragione
E saranno
Nuovamente se stessi.

ARIEL
Vado a prenderli, signore. Esce.

PROSPERO
Voi elfì delle colline, dei ruscelli,
Degli immobili laghi e delle selve,
E voi che sulle sabbie inseguite
Con piede che non lascia impronta
Il rifluente Nettuno e gli sfuggite
Quando di nuovo avanza,
E voi minuscole figurine
Che al chiaro di luna tracciate
Cerchi d’erba amara
Che le greggi rifiutano
E voi che per gioco
Fate nascere i funghi a mezzanotte
Felici nell’udire
Il solenne coprifuoco,
Con il vostro aiuto
– Per debole che sia –
Io ho oscurato il sole a mezzogiorno,
Radunato i venti bellicosi
E tra il verde mare e l’azzurrata volta
Scatenato guerra ruggente.
Io ho dato fuoco
Al tremendo, strepitoso tuono
E schiantato
La solida quercia di Giove
Con la sua stessa folgore,
Ho scosso il promontorio
Con la sua ferma base,
Divelto alle radici
Il pino e il cedro.
Al mio comando, tombe hanno svegliato
I loro morti e, spalancate,
Li hanno fatti uscire,
Grazie alla mia Arte potente.
Ma questa rozza magia
Io adesso abiuro
E, dopo averle chiesto, ecco, lo faccio ora,
Una musica celeste,
Questo incantesimo d’aria
Che agisca per me sui sensi
Di coloro ai quali
È destinato,
Spezzerò la mia verga,
La seppellirò
Mille tese sotto terra
E più in fondo
Di quanto mai scandaglio si sia spinto
Annegherò il mio libro. 
Un’armonia solenne
Che è il rimedio migliore
Per la mente sconvolta,
Ti guarisca il cervello
Che ribolle, inutile, nel cranio. …
Ecco, l’incantesimo si dissolve
E simili al mattino
Che avanza furtivo nella notte
Sciogliendo l’oscurità,
I loro sensi che risalgono
Cominciano a scacciare
I fumi dell’incoscienza
Che ammantano la più limpida ragione…
Snaturato come sei
Io ti perdono.
La loro intelligenza comincia a montare
E la marea che avanza
Coprirà presto la riva della ragione
Ancora così sporca e fangosa.
Non ce n’è uno che mi guardi
O mi riconosca. Ariel…
Svelto, spirito,
Tra poco sarai libero…

[…]

EPILOGODETTO DA PROSPERO
Ora i miei incantesimi
Si sono tutti spenti,
La forza che possiedo
È solo mia, ed è poca.
Ora sta a voi
Tenermi qui confinato
O mandarmi a Napoli.
Poiché ho riavuto il Ducato
E perdonato il traditore,
Non fatemi rimanere
Col vostro potere
In quest’isola nuda,
Ma scioglietemi da ogni legame
Con mani generose.
Il vostro fiato gentile
Colmi le mie vele
Altrimenti fallisce
Il mio progetto
Che era di dar piacere.
Ora mi mancano
Spiriti da comandare,
Arte per incantare,
E la mia fine
È la disperazione,
A meno che
Non sia salvato dalla preghiera
Che va tanto a fondo
Da vincere la pietà
E liberare dal peccato.
Come voi per ogni colpa
Implorate il perdono,
Così la vostra indulgenza
Metta me in libertà. 

William Shakespeare

E con questo straordinario monologo, sul perdono, la liberazione, dopo una vita di soprusi subiti, esiliato dal suo regno, il Ducato di Milano, Prospero, spezza l’arte magica che ha imparato a maneggiare nell’isola e che l’ha aiutato a fare giustizia, assolve i suoi carnefici, libera gli spiriti della Natura del bene (Ariel) e del Male (Calibano, il quale però promette di comportarsi in modo retto e onesto) e chiede indulgenza a noi pubblico di lettori e spettatori. 

Desideravo parlare di Comunicazione Non Violenta ma non volevo ricorrere alle solite teorie scritte (anche da me) sull’empatia, in questo caldissimo luglio e agosto, dove siamo su un’isola fluttuante “della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, ma cercare di dare un taglio originale a queste mie brevi righe. 

Comunicazione non violenta non significa essere nello Zen, fare che tutto passi, lasciarsi scivolare le cose addosso: nemmeno “porgere l’altra guancia”.  È, imparando da Prospero, aiutarsi con le arti magiche delle parole a farsi giustizia: significa minare metaforicamente le ragioni, e il continuo contraddittorio dell’altro. Ecco perché quando Prospero ridà la ragione a chi l’ha usurpato nel ruolo, altro non dà che una nuova consapevolezza, nel suo disvelamento, che arriva però lentamente “La loro intelligenza comincia a montare”, come la marea. Ci vuole tempo e pazienza, prima gli usurpatori erano dis-sennati,  e solo dopo il naufragio, l’aver perduto ogni riferimento, essere stati in balia degli elementi, hanno potuto comprendere il danno fatto, ma dopo Prospero che è avanti a tutti per ragione e consapevolezza.

Nella comunicazione non violenta, nel primo passaggio sono i fatti osservati i principali attori; quello che è accaduto, che non è accaduto. Prospero tradito, defraudato del regno, sbattuto su un’isola con la figlia, causa la tempesta che farà naufragare i suoi traditori e loro parenti proprio su quella terra. Stanco della vendetta, decide di placarsi e di concedere il perdono”. 

Ora usiamo un esempio banale, una relazione di amicizia tra due persone: uno dei due lamenta di essere trascurato dall’altro, certo la percezione la fa da padrone, ma può distorcere gli eventi. Il fact -checking, ovvero l’osservazione, impone che si vadano a contare su what’s app i messaggi, le occasioni di incontro generate dall’uno e dall’altro ma di più, la qualità dei messaggi, il pensiero dietro a ogni invio. A volte c’è conferma di essere stati trascurati, a volte, si scoprono realtà completamente opposte. Ecco, dunque la comunicazione non violenta non è una semplice tecnica del “volemosse ‘bbene,  del politically correct”. No, tutt’altro è un esercizio che richiede tempo, coraggio e assertività: Prospero non può far finta di non essere stato depredato del suo Regno e che sua figlia Miranda per poco non è stata stuprata da Calibano”. I fatti sono lì: sul tavolo, tra le righe nelle parole. Che cosa allora opera il “miracolo del cambiamento” quando la cruda verità, quella verità che esiste nei sogni, “di cui noi siamo fatti della stessa sostanza”? Il tempo, la sospensione del giudizio da entrambe le parti, la riflessione, un’altra dimensione spazio temporale. Non più quella del modo indicativo, ma quella del congiuntivo, il mondo della nostalgia e del desiderio, e dell’ottativo, quel modo greco che era lì a parlare di desideri di come sarebbe potuta andare la questione (il sogno) e di come desiderare rimettere le cose in carreggiata (i sogni futuri). Nella tempesta Prospero crea legami, imprigiona, tiene a sé, il giusto tempo necessario per la liberazione finale sua e di tutti, nella sua isola, suo nuovo regno: l’l’isola della pausa, lontana dagli eventi storici che intanto stanno stravolgendo l’Europa; non sappiamo neanche topograficamente dove sia quest’isola sconosciuta. 

Eppure non è l’isola di John Donne, “nessun uomo è un’isola”, ma un mondo abitatissimo da tutti i personaggi necessari a sviluppare la storia, comprese le forze della natura: e allora come aprirsi all’assertività e al perdono, perché nessuno ridarà indietro a Prospero i dodici anni passati lontano dal Ducato di Milano? 

Il secondo passaggio della comunicazione non violenta è ‘l’espressione delle proprie emozioni, del proprio stato d’essere: “Che, se tu li vedessi ora, Ne avresti tenerezza. Dice Ariel, e Prospero replica, Lo credi, spirito?” E Ariel: “Io sì se fossi umano”, E il mago: “Allora io lo sarò. Tu che non sei che aria, Sei come toccato da un senso, una pena per i loro affanni, ed io, che sono della stessa specie, che soffro le stesse passioni, non dovrò, uomo, Commuovermi più di te? Profondamente con i loro colpi mi hanno lacerato ma contro il mio furore io mi schiero al fianco della più nobile ragione. Le opere della virtù sono più rare…” Ariel e Prospero comunicano tra loro in modo non violento, si fanno domande, tutti e due oltre le emozioni, esplicitano, come al terzo punto della comunicazione non violenta, i loro bisogni rispettandosi: Ariel è fatto d’aria e vuole la libertà: Prospero desidera il ritorno in patria.  Ma il dialogo tra loro è aereo, non colpevolizzante, riflessivo, non si sente rabbia nelle parole di Prospero né astio in quelle di Ariel che ha servito fedelmente il mago per tutto questo tempo.  Conseguenza di questa leggerezza tra le parti, dopo l’esplicitazione dei propri bisogni, sono le richieste finali, quindi Ariel richiede la libertà e Prospero l’indulgenza per essersi vendicato, giunto alla conclusione che la ragione e il perdono valgono, per il suo benessere, molto più della vendetta. L’espressione dei propri bisogni finali è il quarto passaggio della comunicazione non violenta.

 Le parole che invitano ad aprire finestre e non a costruire muri, stanno proprio nelle ultime righe del dialogo di Prospero: si parla di generosità e di un progetto iniziale che era “di dar piacere”. Anche se magari non ha funzionato completamente, Prospero ci chiede non solo l’empatia emozionale, con un’etichetta, è triste, felice, arrabbiato, no, un’empatia epistemologica, di comprensione più profonda della volontà dell’atto: lui voleva rendere felice noi lettori, spettatori, e abitanti dell’isola.

 Si pone in secondo piano rispetto alla figlia, ma anche questo è un percorso, perché prima ne era gelosissimo, e solo alla fine la lascia andare finalmente libera di innamorarsi per la sua strada: si dichiara vecchio e stanco, e sa che potrà lasciare il luogo della tempesta solo se noi saremo profondamente “convinti” dalle sue ragioni, pensando che un duca, un padre, un mago debba per forza essere un despota irriconoscente. Spezzando la bacchetta magica, noi lasciamo andare i pregiudizi. La Comunicazione Intelligente Non violenta, non vuole stereotipi, ma ce li abbatte: e Shakespeare ha il coraggio di minarne uno enorme, nella Tempesta: “l’inferno è vuoto, i diavoli sono tutti qui”. Dentro di noi, con noi, e siamo noi che dobbiamo trovare le arti magiche fino a quando ci servono per pacificarsi con loro, con noi stessi, abbracciando come prima soluzione il perdono. Con molti diavoli sarà possibile, usando le parole giuste, ad esempio non dicendo “sei un ‘incapace” ma piuttosto “gli ultimi lavori sono stati carenti”, “tuo fratello è più bravo di te” ma piuttosto “tu e tuo fratello siete profondamente diversi”, e nella quotidianità anziché dire “non mi stai ascoltando” anche se vero, “sto osservando che in questo momento stai usando il cellulare mentre parlo”.  Mettiamo anche in conto che con altri diavoli sarà impossibile la comunicazione non violenta, ma non per questo va riaperto l’inferno, basta starne lontani. 

La Tempesta è il testamento che ci lascia Shakespeare, la sua ultima opera prima di scomparire nell’ isola: ci ricorda che il nostro passaggio è effimero, “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”, nel finale del quarto atto.

Non indugiamo nel risentimento, osserviamo i fatti, chiediamo giustizia, esplicitiamo i nostri bisogni, parliamone esprimendoci con gentilezza e leggerezza, come Ariel insegna a Prospero. 

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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