Le linee guida della World Health Organisation (WHO) sulle strategie di comunicazione da attuare in un contesto epidemico o pandemico consistono di cinque princìpi: la costruzione della fiducia, l’annuncio tempestivo, la trasparenza delle informazioni, il rispetto delle preoccupazioni della popolazione e la pianificazione. Sono dei principi semplici e chiari. Tuttavia, la pandemia da Sars-Cov-2 – così come epidemie precedenti – ha confermato che controllare e comunicare un’epidemia o una pandemia non è un processo lineare quanto lo si immagina nella teoria. E questo perché stiamo parlando non solo di numeri, grafici, proiezioni, ma anche di relazioni personali, sociali, e soprattutto politiche.
Le misure di lockdown e distanziamento sociale, le restrizioni, fino alla distribuzione dei farmaci hanno una componente politica significativa; le forze politiche all’opposizione possono criticare chi è al governo anche per ottenere consenso – lo abbiamo visto anche nella prima fase di pandemia in Italia. In definitiva, una comunicazione efficace in un contesto pandemico richiede anche la comprensione del tessuto politico, sociale e culturale in cui questa comunicazione deve agire.
In un articolo del 2009 pubblicato sul bollettino della WHO, Thomas Abraham, professore associato presso il Journalism and Media Studies Centre della Hong Kong University, argomenta come le linee guida della WHO per la comunicazione di epidemie a pandemie, che si basano su un paradigma psicometrico che si concentra sulla percezione individuale del rischio, possano essere arricchite considerando dei paradigmi di rischio alternativi, già esistenti all’interno delle scienze sociali, che guardano all’impatto dei fattori sociali, culturali e politici sulla percezione del rischio. I paradigmi proposti da Abraham sono:
- La nozione di rischio elaborata nella riflessione di Ulrich Beck. La distribuzione del rischio all’interno di una società non è mai equa, ma segue la distribuzione iniqua nel potere nelle società nazionali e a livello globale; questo suggerisce che il modo in cui il pubblico risponde ai messaggi dipende dalla sua percezione del rischio, e il rispetto dei misure di prevenzione dipenderà dalla misura in cui i messaggi delle autorità affronteranno anche questioni più ampie, ad esempio quella del sostentamento.
- Il modello di Philip Strong sulle epidemie psicosociali che accompagnano le epidemie di malattia. Strong afferma che epidemie e pandemie sono accompagnate da tre tipi di epidemie psicosociali: epidemie di paura (il sospetto su chi può trasmettere la malattia), di spiegazione (i tentativi di trovare una causa, anche a livello di senso comune) e di azione.
- La riflessione dell’antropologa Mary Douglas sull’impatto della cultura nella percezione del rischio. Le nozioni di rischio nelle società moderne sono parte di un “sistema di biasimo” che è politicizzato, e questo ha delle conseguenze sul tipo di comunicazione che riuscirà a raggiungere e convincere la popolazione.
Questi paradigmi offrono degli spunti per migliorare la comunicazione durante un’epidemia o pandemia, e possono rientrare nella formazione di chi fa comunicazione sanitaria in tempi di crisi, per far sì che i messaggi non vengano ignorati o distorti.