DONNE CON IL TUMORE AL SENO SI RACCONTANO – INTERVISTA A SONIA PILLER RONER.

Vuole presentarsi e raccontare la sua biografia professionale e il suo contributo all’associazione ANDOS (Associazione Nazionale Donne Operate al Seno) di Tolmezzo?

Il lavoro di infermiera è stata la mia vocazione. Ho lavorato inizialmente all’interno di un reparto di chirurgia, poi in un day hospital oncologico dove sono diventata coordinatrice dell’area. Nel 1986, a Tolmezzo, nasce, sulla scia di altri comitati analoghi che nello stesso periodo stavano sorgendo in regione, il comitato ANDOS grazie a un’intuizione dell’allora primario di chirurgia, al sostegno di altri suoi collaboratori (compresa la sottoscritta, tra I soci fondatori) e alla testimonianza di una giovane donna operata di tumore al seno. C’era la consapevolezza per una buona riabilitazione di una donna operata fosse necessario qualcosa di più rispetto alle cure che il servizio sanitario nazionale offriva.

Il bacino d’utenza del comitato nel corso degli anni è cresciuto, insieme al numero di progetti e servizi e siamo diventati un punto di riferimento per tutte le donne dell’alto Friuli.

Tolmezzo è un piccolo paesino incastonato tra le montagne, è difficile emergere e farsi sentire per il paese, per gli abitanti e per le associazioni che nascono in questo territorio. Le chiedo come è nato il comitato ANDOS, quali valori porta con sé e quali sono gli obiettivi e le battaglie che si impegna a raggiungere e a sostenere.

Tolmezzo è il Comune che fa da capofila e da punto di riferimento al territorio della Carnia, in cui confluiscono tre vallate disseminate da piccole comunità di montagna. Quindi, fin dall’inizio, abbiamo dovuto affrontare un primo grande problema, ossia come arrivare al maggior numero di donne possibile. Una soluzione efficace che abbiamo trovato, ad esempio, è la creazione di una forte corrispondenza con le associate perché permette di mantenere un contatto con quest’ultime e di mettere in atto un efficace “passa parola” per gli eventi e i progetti che il comitato intende diffondere. ANDOS nasce con due obiettivi molto chiari e definiti: riuscire a sensibilizzare la comunità riguardo l’importanza della prevenzione, sostenendo anche lo screening mammografico regionale e dare supporto all’operata.

All’interno del comitato, infatti, proponiamo attività fisica di gruppo, attività ricreative, laboratori, uscite e tanto altro ancora  e,  con i nostri fondi, riusciamo a dare sostegno economico alle operate per tutte quelle spese che non sono coperte dal servizio sanitario nazionale come, ad esempio, l’acquisto di parrucche, le  spese  viaggio per le sedute di radioterapia presso il centro di riferimento più vicino che è Udine e l’acquisto di corsetteria specifica.

Avere relazioni di fiducia con donne a cui è stato diagnosticato un tumore al seno richiede dimestichezza e forza e anche impegnarsi in campagne di sensibilizzazione ne necessita altrettanto. In che modo riuscite a creare legami di questo tipo? Ci sono esempi di esperienze che vuole raccontare?

Capire come relazionarsi non è facile, è necessario formarsi, informarsi e accumulare esperienze diverse, tenendo presente che ogni persona è diversa e unica.

Alcune donne operate di tumore al seno (nel periodo post-intervento oppure in quello post-diagnosi) possono mostrarsi, a noi volontari, particolarmente “fragili”, oppure mostrare una forza impensabile o, ancora, possono essere estremamente sensibili e venir toccate e influenzate da ogni singola parola che viene loro detta.

Relazioni sono anche quelle che il comitato intrattiene con il resto della comunità per le campagne di sensibilizzazione. Noi desideriamo che il pubblico a cui ci rivolgiamo sia eterogeneo ossia che comprenda persone che sono già sensibili al tema e persone che non lo sono ancora. Tuttavia nel corso degli anni abbiamo riscontrato delle difficoltà nell’attirare l’attenzione della seconda tipologia attraverso le tradizionali conferenze sul tema con professionisti del settore. Abbiamo scoperto che con una modalità mista (ad es.: spettacoli d’intrattenimento con messaggi sulla prevenzione al loro interno), invece, riuscivamo ad abbattere dei muri e a coinvolgere maggiormente.

In generale, per creare un legame in tutte queste situazioni è importante che ci sia un accogliere senza giudizio e un grande rispetto per il modo di vivere un’esperienza così pervasiva e coinvolgente.

Ricordo, ad esempio, una donna che aveva paura e vergogna del suo tumore appena diagnosticato e si rifiutava di attivare l’iter per l’esenzione ticket perché voleva a tutti i costi evitare il momento in cui si sarebbe trovata dinnanzi a un generico sportellista, il quale a quel punto avrebbe saputo della sua malattia e questo per lei era uno scoglio insormontabile in quel momento.

Ma ci sono state anche donne che invece sentivano il bisogno di parlare con qualcuno e di condividere la loro esperienza: alcune preferivano farlo con persone che “ci erano già passate” oppure la stavano vivendo, altre prediligevano il dialogo con chi era estraneo all’argomento per evitare influenze.

In occasione del mese rosa le chiedo come è nato il libro “DONNE CHE SI RACCONTANO, storie di donne operate al seno”. Che cosa è emerso dalle loro esperienze e che cosa l’ha maggiormente colpita delle parole e dello stile che le protagoniste hanno utilizzato per descriversi e descrivere la malattia e il loro vissuto.

Ognuna delle donne che ha preso parte a questo progetto ha deciso il modo che le sembrava più opportuno per esprimersi senza alcuna nostra interferenza. Alcune hanno scelto di scrivere, altre di dipingere, una di scolpire. Non tutte hanno utilizzato il loro vero nome, in alcuni casi, infatti, c’è uno pseudonimo a rappresentarle. I testi sono uno diverso dall’altro e nessuno è banale o ricco di luoghi comuni, alcuni sono scritti con eventi che si susseguono in ordine cronologico, altri sono concentrati su una o più emozioni oppure su un periodo in particolare senza un prima o un dopo.

Mi ha colpito molto leggere della gratificazione di una donna che ha scritto come il vedere molto lontano il periodo della malattia la faceva star bene, quasi a dire: “pericolo scampato!”.

Mi è piaciuta l’ironia in alcuni racconti come un modo di sdrammatizzare.

Infine mi sono parse significative le definizioni di malattia come un parto o come uno tsunami, un vortice, termini che rispecchiano l’esperienza forte oppure il dialogare con il tumore. Alcune sono persino riuscite a dire grazie perchè la malattia le ha aiutate a “ritrovarsi “e hanno rivisto i loro valori.

Un grazie alle donne che hanno deciso di raccontarsi; è terapeutico ma sicuramente non è facile.

Data la grande partecipazione a questo progetto di scrittura, avete pensato a rilanciare il progetto con una seconda edizione di altri e nuovi racconti?

La volontà di una seconda edizione c’è ma serve del materiale che giustifichi la sua uscita. L’idea preponderante è di dare un taglio diverso dal primo cioè chiedere un contributo anche ai caregiver, professionisti sanitari e volontari che a vario titolo hanno a che fare con questa malattia perché sappiamo che anche il loro punto di vista è importante e necessario.

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