Volentieri pubblichiamo questo contributo di Emilia Guglielmucci, Istituto Piero Redaelli di Milano.
La nostra struttura è una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) che accoglie 310 ospiti, per i quali l’Istituto è diventato la loro casa, con relazioni, amicizie, affetti che accompagnano le loro giornate. Giornate fatte di assistenza, di dipendenza ma anche di musica, intrattenimenti, attività di stimolazione e momenti di socializzazione. Si formano piccoli gruppi ma anche attività trasversali che coinvolgono ospiti di diversi reparti accomunati dagli stessi interessi. E poi ci sono i pazienti delle Cure Intermedie, circa 260, che per 60/90 a volte anche 150 giorni restano nella nostra struttura per un periodo di riabilitazione, per recuperare le loro autonomie possibili dopo un evento acuto e poi tornare a casa, oppure trasferirsi in una RSA. In questi mesi vivono la struttura non solo come luogo di cura ma anche come luogo dove essere accolti ed accompagnati insieme alla loro famiglia, qualunque sia il loro percorso.
All’improvviso tutto questo cambia. Le direttive parlano chiaro. E’ necessario ridurre i contatti, le restrizioni vengono attuate dapprima gradualmente, riducendo numero e durata delle visite, poi permettendo visite a giorni alterni e infine chiudendo completamente all’esterno.
La vita si confina all’interno dei reparti e poi delle proprie camere. La compagnia e la socializzazione sono limitate alla propria compagna di camera. “Siamo in guerra”, dice un ospite, e in battaglia ognuno deve fare la sua parte, uniti, compatti contro un nemico senza pietà, medici, infermieri, fisioterapisti, OSS, logopedisti, terapisti occupazionali si ritrovano fianco a fianco, e si aiutano l’uno sotto la guida dell’altro, e se un Medico può dispensare, un Fisioterapista può aiutare nell’igiene, tutto per lo scopo comune del prendersi cura dei nostri cari anziani ricoverati.
E’ vero, l’emergenza è sanitaria, ma la presa in carico globale non può prescindere dall’aspetto relazionale, dall’affettività e allora anche il Servizio Sociale e il Servizio Animazione scendono in campo per supportare e trovare metodi alternativi di comunicazione e di relazione, per continuare a stare accanto e permettere ai familiari di continuare ad esserci seppur in assenza della presenza fisica.
Partono le video chiamate, con il progetto “Meno male che c’è il web”, potersi parlare, abbracciarsi con gli occhi, oppure solo perdersi un attimo nella voce del proprio caro anche se non si riesce a rispondere, anche se non si riesce a dire tutto quello che si vorrebbe, l’essenziale scivola lungo il legame affettivo, e “cura”.
Parte un progetto di collaborazione con i medici dei reparti per riuscire ad avvisare tutti i familiari delle condizioni del proprio caro, “Il Filo conduttore“, portatore di notizie semplici sullo stato di salute.
Parte il progetto “C’è posta per te” per permettere ai familiari, conoscenti, amici di affidare a lettere, cartoline, fotografie o disegni, messaggi di saluti e di vicinanza ai propri cari.
Messaggi scritti, come una volta , come quando si aspettava con trepidazione l’arrivo di notizie affidate a quel pezzo di carta che oltre al contenuto manifesto, ha il valore aggiunto del dono che resta, che si può trattenere, guardare e rileggere più volte, vettore di una carnalità sospesa ma pur sempre viva, che suggella in materia pensieri profondi che “abbracciano”, che fanno compagnia, che arricchiscono di colori una giornata triste generando emozioni e conforto e come ha detto un ospite, è un dono che si può “stringere al petto prima di addormentarsi e pensare alle persone che ti hanno scritto”.
Il progetto prende forma e vengono definiti due canali di consegna, il primo diretto, affidato ai familiari che periodicamente lasciano il sacchetto con la biancheria pulita in portineria, l’invito rivolto a loro è di inserire le lettere, i “doni”, direttamente nella biancheria, a completamente di un gesto che già di per se appartiene al “prendersi cura” e invitando gli operatori a controllare e poi consegnare nelle mani del destinatario la missiva.
Altro canale è quello tecnologico, viene messa a disposizione un indirizzo mail, l’ufficio postale viene sostituito dalla posta elettronica ed affidata a mani esperti di animatori che trasformano i byte in carta stampata, la preparano, la indirizzano e la smistano creando piccoli pacchetti divisi per reparti che vengono lasciati in portineria e ritirati dagli operatori affinché vengano distribuiti ai singoli destinatari.
Ad oggi sono state consegnate circa 280 lettere provenienti da parenti, amici e volontari che in questo modo stanno continuando la loro opera anche da lontano, sostegno relazionale prezioso nella quotidianità soprattutto di chi non ha nessuno.
Alcuni commenti raccolti telefonicamente ci incoraggiano a continuare in questa incessante ricerca dello “stare accanto”, dell’esserci nonostante tutto e cercare di colmare almeno in parte quel vuoto lasciato dall’emergenza.
“EVVIVA, mi ha fatto tanto piacere riceverle, me le leggo con calma” quasi a voler allungare il più possibile quel piacere, “tutte le sere leggo le letterine, le ripasso, mi fanno compagnia , mi addormento più tranquilla e sogno le persone che mi hanno scritto.”
“Continuo a rileggere le frasi che ci sono scritte…mi fanno compagnia”; “è come essere in guerra, ma quando cadevano le bombe andavamo tutti giù in cantina ed eravamo insieme, questa guerra è diversa…dobbiamo stare soli e le lettere mi fanno compagnia”.
E dalla voce di un familiare…”progetto importante per non lasciarli soli…”.
L’essenziale è invisibile agli occhi” (A. De Saint-Excupery),
ma spesso si manifesta attraverso varie forme che possiamo scegliere di accogliere o meno ma che lasciano pur sempre una traccia.