UNA PAROLA IN QUATTROCENTO PAROLE – DISABILITÁ

“In tutti questi vari casi di stigma… si ritrovano le stesse caratteristiche sociologiche: un individuo che potrebbe essere accolto facilmente nei normali rapporti sociali possiede un tratto che può imporsi all’attenzione e allontanare coloro che incontra, rompendo la pretesa che gli altri suoi attributi hanno su di noi. Possiede uno stigma, una diversità indesiderata da ciò che avevamo previsto. Noi e coloro che non si discostano negativamente dalle particolari aspettative in questione chiameremo i normali. L’atteggiamento che noi normali abbiamo nei confronti di una persona con uno stigma e le azioni che compiamo nei suoi confronti sono ben noti, poiché queste risposte sono ciò che l’azione sociale benevola è progettata per ammorbidire e migliorare. Per definizione, ovviamente, riteniamo che la persona stigmatizzata non sia del tutto umana. Partendo da questo presupposto, esercitiamo varie forme di discriminazione, attraverso le quali riduciamo effettivamente, anche se inconsapevolmente, le sue possibilità di vita. Costruiamo una teoria dello stigma, un’ideologia per spiegare la sua inferiorità e il pericolo che rappresenta, talvolta razionalizzando un’animosità basata su altre differenze, come quelle di classe sociale”.

(Goffman, Lo Stigma, 2003)

L’emarginazione e la discriminazione sono, ancora oggi, flagelli che accompagnano la vita delle persone con disabilità. La società nella quale anche loro sono inseriti risente ed è preda di una cultura che per secoli ha alimentato pregiudizi e odio nei loro confronti.

Durante il regime nazista, ad esempio, più precisamente nel 1933, fu promulgata una legge che obbligava le persone con disabilità a sottoporsi a un intervento di sterilizzazione; l’obiettivo era quello di eliminare qualsiasi diversità o “difetto” che indebolisse la “razza” ariana.

Questo evento drammatico, non l’unico a cui l’essere umano ha assistito, ma epocale per il numero di vittime e per la sua vastità, ha lasciato che emergessero negli anni successivi molte domande sul motivo che ha innescato nell’uomo la paura del “diverso”.

Si è scoperto che l’educazione ai fini di un cambiamento epocale[1] è fondamentale per ovviare a tutto ciò. Infatti una persona adulta difficilmente prova empatia per un’altra persona che è filogeneticamente distante, ha paura e tende a dare adito al suo antico istinto di autoconservazione.  I bambini di tre anni invece sembra che in un contesto sociale si concentrino sulle caratteristiche individuali degli altri bambini senza smistarli in gruppi culturali, religiosi e così via.

Spostando infine l’attenzione sugli stigmatizzati (ad esempio le persone con disabilità) si può notare che anche loro possono tendere ad assecondare le discriminazioni. Ad esempio Goffman parla del fenomeno del passing, cioè di cercare di camuffare alcuni stati d’animo come disapprovazione o rabbia per sentirsi inclusi all’interno della società.

Come ad esempio a un colloquio di lavoro quando vengono scartati per il motivo di avere una disabilità oppure alla lezione di ginnastica a scuola quando non vengono inseriti all’interno del gruppo dalle proprie insegnanti oppure in città quando gli viene vietato l’accesso a musei, teatri o ad altri edifici pubblici e privati perchè non sono presenti le attrezzature giuste o non sono state eliminate ancora le barriere architettoniche.


[1] . Per cambiamento epocale si intende non tanto la crescita di associazioni e di iniziative che sostengono la causa dei diritti e della libertà delle persone con disabilità ma soprattutto il raggiungimento di una consapevolezza globale che nonostante la diversità, che caratterizza ogni individuo, il rispetto deve essere garantito a priori.

Questo articolo ha un commento

  1. Giuseppina Camozzi

    completamente d’accordo

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.