ALZHEIMER
Perdersi
Genova L.
Alice ha lavorato sodo per raggiungere i suoi obiettivi e ora, a quasi cinquant’anni sente di avercela finalmente fatta. Dopo anni di studio, di notti a base di caffè e libri di psicologia, ha coronato il suo sogno, è una scienziata di grido, insegna ad Harvard e viene chiamata dalle più prestigiose università per tenere conferenze. E poi c’è il suo più grande orgoglio, la famiglia: il marito John, un brillante esperto di chimica, che non riesce a trovare gli occhiali neppure quando li indossa, e i loro figli, Anna, Tom e Lydia, tutti e tre realizzati, anche se ognuno a modo suo. All’improvviso, però, tutto cambia. All’inizio sono solo piccole dimenticanze: una parola sulla punta della lingua che non riesce a ricordare, gli orari delle lezioni, il numero di uova nella ricetta del pudding natalizio, quello che prepara da più di vent’anni. E poi un giorno, dopo il giro di jogging quotidiano, Alice si ritrova in una piazza che è sicura di conoscere ma che non sa dove si trovi. Si è persa, a pochi metri da casa. Qui comincia il suo viaggio tra le corsie d’ospedale, a caccia del male che sta cancellando i suoi ricordi. Quando le viene diagnosticato l’Alzheimer precoce, tutto ciò in cui Alice ha sempre creduto pare sgretolarsi, il mondo intorno a lei sembra sfuggirle ogni giorno di più. E anche la sua famiglia, che l’aveva sempre considerata un pilastro indistruttibile, perde ogni certezza e fatica ad accettare la nuova Alice, che in certi momenti è quella di sempre ma che in altri sembra una sconosciuta, fragile e indifesa. Insieme dovranno affrontare il dolore, la perdita, saranno costretti a stabilire un nuovo equilibrio e ad accettare nuovi ruoli. Insieme si scopriranno diversi e impareranno ad amarsi in un altro modo.
La sottoveste sopra la gonna : storie di Alzheimer narrate da un medico
Giovanni Bigatello
L’autore racconta la vita di alcuni personaggi, malati di Alzheimer, conosciuti durante la sua lunga esperienza di medico.
«Ma che gusto ci trova a lavorare con i malati di Alzheimer, gente che ha perso il proprio passato, non possiede un presente e non ha speranze per il futuro?»
A questa domanda, l’autore risponde proponendoci arguti ritratti di persone, oggi dementi, che in anni non lontani gioivano, amavano, lottavano, si barcamenavano, simili a milioni di altre, eppure irripetibili.
Scopriamo così che, nel grigiore che sembra accomunare anonime esistenze senza memoria,
resta aperta la porta alla comunicazione, alla comprensione, al rapporto, certo un po’ speciale,
tra medico e paziente, tra malato e familiare.
Facciamo che eravamo
Roncaglia S.
Paolino e nonno Aldo vanno spesso a giocare ai giardini. Il nonno ha inventato il gioco del facciamo che eravamo pirati o cavalieri, cuochi o maghi. Un giorno però nonno Aldo non ricorda più la strada per tornare a casa. È’ l’inizio di una malattia che si chiama Alzheimer. Passa il tempo e i ricordi volano via, nonno Aldo purtroppo non riconosce neanche chi ha di fronte. Tocca a Paolino, che adesso è grande, trovare un nuovo modo di giocare con lui. Un racconto intenso e poetico che tocca il delicato argomento della vecchiaia e della malattia.
Mia madre, la mia bambina
Tahar Ben Jelloun
Ben Jelloun coglie con partecipazione gli atti e i pensieri della madre sofferente. L’Alzheimer che l’affligge non ha uno sviluppo lineare, il peggioramento è impercettebile, e spesso viene intervallato da momenti di lucidità in cui la madre scherza sul proprio male. Gli episodi descritti sono quelli dell’amnesia e confusione tipici della malattia; c’è la crisi dei figli, che oscillano tra l’angoscia e il rifiuto nel vedere la madre in quelle condizioni, nel vedere una persona che sbiadisce come una vecchia fotografia, si spegne, scompare.
L’ azzurro dei giorni scuri
M. Grazia Maiorino
Chiara ha i primi segni di perdita della memoria, che si rivelano come l’inizio del morbo di Alzheimer. Da quel momento per Tiziana, la figlia, registrare tutto ciò che la scrittura può trattenere diventa una necessità e un conforto: gli ultimi mesi in cui Chiara vive da sola con difficoltà sempre più grandi, l’arrivo delle badanti polacche, e poi la decisione sofferta del ricovero in una casa di riposo. Le giornate sono regolate da rigidi schemi imposti dall’istituzione, ma Tiziana fa di tutto perché sua madre continui ad essere considerata un individuo, la veste con cura, la spinge a solidarizzare con gli altri ospiti, racconta la sua storia, trova collaborazione ma anche molte difficoltà, che la spingono a trasferire Chiara in un altro istituto. Qui un gruppo di animatori segue questo tipo di malati in un reparto creato per loro, Chiara ne trae beneficio, ha l’opportunità di farsi voler bene e di stabilire relazioni. Gioia e dolore si intrecciano continuamente nel racconto della vita in casa di riposo, ma anche nella ricostruzione attraverso i ricordi, che prendono spunto dalle fotografie dell’album di famiglia, dell’intera storia di Chiara.
Vivere l’Alzheimer. Per aprire la prigione dell’anima
Bruno Tomasich
L’Alzheimer si vive, con l’Alzheimer non si convive. Lo vive il malato, lo vive ancor di più chi, a fianco del malato, lo assiste nella sofferenza di non potere essergli d’aiuto alcuno. O almeno così crede. Gli altri, tutti gli altri, hanno di fronte a quella sofferenza un senso di pietà che dura il momento della visione o del suo ricordo che facilmente svanisce sommerso da tanti altri pensieri. E forse anche da altre sofferenze. La malattia di Alzheimer, dal nome del suo scopritore, può essere raccontata da chi con l’ammalato la vive e impara a conoscerla dal di dentro. L’autore sta vivendo l’Alzheimer di sua moglie Giuliana, solo con la sua famiglia.