UNA PAROLA IN QUATTROCENTO PAROLE – INTELLIGENZA.

L’etimologia della parola intelligenza si fa risalire all’avverbio latino intus = dentro ed al verbo latino legere = leggere, comprendere, raccogliere idee e informazioni riguardo a qualcuno o a qualcosa. Quindi, l’intelligenza è la facoltà di comprendere la realtà non in maniera superficiale ma, andando oltre, in profondità, per coglierne gli aspetti nascosti e non immediatamente evidenti. Un’altra interpretazione etimologica (meno diffusa) del termine preferisce ad intus la preposizione inter = tra. Per cui, intelligenza sarebbe la capacità di leggere (…tra le righe), di scoprire relazioni ed inter-connessioni tra i vari aspetti della realtà per giungere ad una comprensione più ampia e completa di essa.[1]

L’intelligenza è stata da sempre un concetto difficile da definire; non può essere ridotta all’attività neuronale nel nostro cervello, o a una capacità innata nell’uomo fin dalla nascita e nemmeno a un adattamento naturale agli agenti esterni.

Ma in ogni caso è un termine che nasce per contraddistinguere una capacità umana.

Immanuel Kant, filosofo del XVIII secolo, pensava che l’uomo per conoscere il mondo (dell’animo umano e della fisica) utilizzasse quattro funzionalità: la sensibilità, l’intelletto, la ragione (pura e pratica) e il giudizio (anche l’intuizione ha un ruolo in tutto questo ma ai fini del discorso non verrà toccata). Nella Critica della ragion pura, l’intelletto è spiegato come la funzione naturale dell’uomo a captare quelle che sono le informazioni recepite dall’esterno tramite la sensibilità, che ha, a sua volta, elaborato questi “input” per formare un concetto.

Quest’ultimo mi permette in un secondo momento di riconoscere la cosa a cui si riferisce e di far in modo che lo stesso concetto valga non solo per me ma anche per tutti gli altri individui. Ad esempio: un tavolo, un cane, un gatto e così via.

Dal titolo dell’opera si potrà però evincere che ancor più fondamentale dell’intelletto è la ragione. Quest’ultima, infatti, non è limitata come l’intelletto, il quale ha bisogno di poggiare sulle informazioni captate dalla sensibilità. L’intelletto non può a priori[2] creare un concetto volto alla conoscenza del mondo. Mentre la ragione permette di superare i confini dell’esistenza e di includere domande riguardo argomenti che non sono verificabili in maniera scientifica come ad esempio: che cos’è l’anima, se esiste, se Dio esiste e così via. Ma in che modo?

Brevemente, utilizza i concetti dell’intelletto come base per poter proseguire nella ricerca verso l’ignoto.

Quindi, nonostante nel corso dei secoli “l’uomo” abbia cercato di mantenere questi due concetti (intelletto e ragione) separati, nel quotidiano si tende, a volte, a confonderli o a pensarli come la stessa cosa, ma così non è.

Soprattutto negli ultimi secoli, il termine intelligenza è stato impiegato anche per altre entità come ad esempio il genere animale, vegetale e anche le macchine artificiali.

Quest’apertura al diverso e al mondo ha permesso di considerarli tutti come ugualmente importanti ai fini della coesistenza e di interpretarli come modelli per comprenderli e autocomprenderci.

La varietà dei modi in cui l’intelligenza si manifesta rende il compito di definirla entro certi limiti quasi impossibile e questo ci permette di guardare sempre avanti e di non escludere nulla.

Gardner, ad esempio, ha teorizzato il modello delle intelligenze multiple, in cui l’intelligenza non è solo il risultato di un test sul quoziente intellettivo ma racchiude una vasta gamma di facoltà diverse.

Questo ha incentivato una rivisitazione del concetto di intelligenza che è stata ampliata e estesa a individui che sono stati considerati troppo a lungo diversi e meno meritevoli di cure, assistenza e della giusta considerazione.


[1] Da etimoitaliano – il significato originale delle parole nella lingua italiana.

[2] Cioè senza basarsi sull’esperienza.

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