STUPIDITÁ UMANA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE, CONVERSAZIONE TRA ARMANDO MASSARENTI E MARIA GIULIA MARINI – A CURA DI BENEDETTA D’ASTOLTO.

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Armando Massarenti (Eboli, 1961) è un filosofo ed epistemologo italiano. Dal 12 giugno 2011 è responsabile del supplemento culturale Il Sole-24 Ore-Domenica, dove si occupa, dal 1986, di storia e filosofia della scienza, filosofia morale e politica, etica applicata, e dove tiene la rubrica Filosofia minima. (da Wikipedia, enciclopedia libera)

Intelligenza umana e intelligenza artificiale: che cosa le identifica e che cosa le differenzia?

Armando Massarenti: Iniziamo con il cercare di smitizzare la parola intelligenza.

L’idea predominante intende l’intelligenza come capacità di astrazione, capacità linguistica e di calcolo. Le ricerche dimostrano che questo esempio di intelligenze è, nel corso degli anni (dai primi anni del Novecento), aumentata con costanza.

In Francia, uno studioso di nome Alfred Binet[1] si era domandato il perché della discrepanza di intelligenza tra i bambini; poi negli anni ’80, si è scoperto che l’intelligenza con questi parametri aumentava per ogni dieci anni di tre punti, fino al 2002. Poi da quel momento lì cosa è successo? Forse siamo diventati un po’ stupidi.

Prima di tutto l’AI non è un fenomeno così recente.; infatti se, a priori, non ci fossero stati dei rudimenti di AI, quelli che noi oggi conosciamo come internet, Google e altri non esisterebbe.

Esaminiamo ora il QI: è una parte fondamentale dell’intelligenza umana ma non misura un altro aspetto importante cioè quello del pensiero critico. Gardner[2] parla di intelligenze multiple ma la sua teoria è, come altre, una forma di inflazione che non ci aiuta a focalizzare il concetto di intelligenza. Cosa che invece riesce a fare il pensiero critico. Noi possiamo essere molto intelligenti ma nonostante questo commettere molti errori.

Infatti, un altro sottotema del mio libro è: perché alcune persone con QI alto dicono o fanno cose stupide. Il motivo è che a loro manca un pensiero critico adeguatamente sviluppato. Questo discorso viene avvalorato da ricerche che hanno realizzato dei test che misurano la razionalità invece che il QI

L’AI, invece, lavora con meccanismi che non hanno nulla a che fare con la razionalità; per esempio se io dico una cosa banalissima, un essere umano non lo capisce o lo capisce dopo, mentre l’AI risponde che non ha abbastanza informazioni per dare la risposta. E questo è interessante perché dimostra che l’AI non ragiona come ragioniamo noi, ma lo fa stocasticamente, cioè elabora innumerevoli dati in pochissimi secondi e se trova, tra questi, l’informazione, allora riesce a darmi una risposta altrimenti si blocca.

L’essere umano ha una razionalità limitata[3] e alcuni limiti sono stati superati dall’AI.

La cosa interessante è che normalmente l’AI opera attraverso una “scorciatoia”, perché nel momento in cui si era capito che era impossibile imitare le capacità prettamente umane si è applicata all’AI la statistica, con cui riesce a produrre delle risposte sensate.

La morale però è che non c’è una vera e propria definizione di intelligenza che soddisfi tutti. Quindi per questo è meglio soffermarsi e approfondire tipi particolari di intelligenza.

Maria Giulia Marini: ritornando a Gardner il suo studio è stato di fondamentale importanza per “classificare” l’intelligenza delle persone con diverse intelligenze e noi abbiamo analizzato i risultati in diversi studi con persone con diverse abilità. E questo è stato fondamentale per non etichettare le persone con lo stigma, ad esempio, di “ritardo mentale”. Come lo vedi l’uso del concetto di intelligenze multiple in questo caso?

Armando Massarenti: quando parliamo delle diverse forme di intelligenza da promuovere nella società, vanno promosse tutti i tipi di intelligenza. Alla base di tutto c’è anche la pratica artistica perché costruisce quelle capacità che poi sono utili per qualunque cosa anche per il pensiero scientifico. La dimensione che hai citato tu è molto importante perché è la dimensione della cura che si basa sul principio che tutte le persone devono essere curati.

Io vado sempre a un festival, Aut-aut, sulle diverse forme di autismo e si vede molto bene che a fronte di alcuni deficit si sviluppano altre capacità che sono socialmente e lavorativamente lo stesso molto utili. Anche nel mio libro io parlo di intelligenze al plurale (…). Non c’è quindi una definizione generale di intelligenza ma c’è la capacità degli individui di trovare la propria dimensione in diversi contesti[4].

Per quanto riguarda Gardner, la mia critica è di non auto-ingannarsi con queste teorie. Una forma di auto-inganno nelle facoltà americane, ad esempio, è quella di pensare che tutte le intelligenze sono sullo stesso piano ma ahimè non è così.

Maria Giulia Marini: Agli inizi degli anni duemila si è affermata questa discesa dell’intelligenza. Perché? Che cosa è successo?

Armando Massarenti: Si tratta dell’effetto Flynn. Scoperto dall’omonimo filosofo, James R. Flynn che voleva contestare il risultato di alcuni studi classici alla fine degli anni Sessanta basati sull’ipotesi di una correlazione tra Q.I. e “razze”, e il risultato era che le persone di colore sembravano essere meno intelligenti. Rispetto a questi studi, Flynn ha incominciato a capire bene come funzionano questi test e ha scoperto che i dati erano giusti, era vero che c’erano dei deficit di intelligenza in alcune categorie ma lui contestava l’interpretazione, che era stata fatta, dei risultati. Questo è un po’ il cuore di come tornare intelligenti cioè bisogna confrontarsi con quelli che non la pensano come noi, come ha fatto Flynn.

Da dove nasce l’effetto Flynn? Nel 2010 un libro Internet ci sta rendendo stupidi, diNicholas Carc, faceva un’analisi molto attenta su questo. Ma già nel 2004 proprio nelle società del nord Europa è iniziato a scendere il livello generale di intelligenza; una delle ipotesi più accreditate è che sia successo soprattutto in quella zona perché internet si era sviluppato più velocemente che in altre.

L’altra invece sostiene che l’andamento della curva sia in realtà una parabola che già nel 2002 ha raggiunto il suo picco massimo.

Io, invece, sostengo un’altra ipotesi, che è sempre di Flynn, ripresa da un suo libro troppo rischioso per essere pubblicato dove si denunciava l’assenza di dibattito intellettuale nelle università americane.

Quest’ultima, secondo lui, era stata provocata dalla censura di sinistra cioè quella che impedisce un vero dibattito tra posizioni discordanti, chiamato anche dibattito intellettuale. Flynn nomina le posizioni discordanti con il termine: microaggressioni.

Le microaggressioni sono comportamenti che consistono in brevi offese verbali, comportamentali o ambientali frequenti nel linguaggio comune che comunicano offese e/o insulti ostili, dispregiativi o negativi. Non si tratta di manifesti o atti di discriminazione e odio verso un determinato gruppo sociale, ma di atteggiamenti, discorsi e comportamenti che sottendono un messaggio svalutante, discriminatorio e stigmatizzante.

Maria Giulia Marini: La tesi che tu sostieni quindi è che siamo diventati troppo politically correct e troppo echo-chamber (rimango nella mia zona di comfort e mi confronto solo con i miei simili). Anche Hannah Arendth nel La banalità del male diceva che è molto semplice andare d’accordo con chi la pensa come noi, la vera sfida è trovare un accordo con persone che la pensavo diversamente

Armando Massarenti: Esatto, questa è l’essenza della vera utilità del dialogo. Il mio è un libro con un background filosofico e la filosofia ci ha insegnato che il dialogo consiste nel confrontarsi con chi la pensa diversamente da noi. Invece di individuare davvero i motivi del dissenso per chiarire le posizioni si tende a creare una polarizzazione estrema e questa la si vede chiaramente in rete. Non importa risolvere i problemi o affermare cose vere; ciò che ora interessa maggiormente è dire spudoratamente cose false. Ci si afferma insultando l’altro e dicendo le così dette bugie blu contro l’altro; questo viene accettato dai più, anzi acclamato, perchè viene vista come un’abilità vincente nella lotta contro il nemico.

Maria Giulia: Che cosa sono queste bugie blu?

Armando Massarenti: sono bugie tribali, in una logica dalla forte contrapposizione come ad esempio dire: Obama non è americano. Ma procediamo-

Quindi perché la rete ci sta rendendo stupidi? Per questa superficialità indotta dalla rete e per l’eccesso di presa di posizione o di impegno in queste palestre di odio che si sviluppano soprattutto in rete dove si cerca di riconfermare la propria identità. In rete c’è un altro schiaffo che diamo alla verità attraverso queste polarizzazioni estreme che sono esibizionismo morale.

Maria Giulia Marini: La narrazione è fondamentale alla conversazione, all’esplicitazione di sé e al parlarsi tra linguaggi diversi. Nella relazione medico-paziente, ad esempio, può sussistere una difficoltà di comprensione dei diversi tipi di linguaggio perché il medico ha il suo, dovuto al tipo di formazione, e il paziente ne ha un altro. Quando non si capiscono tra di loro, può iniziare un’escalation di violenza (slow violence) e questa cosa poco evidente mina la fiducia reciproca perché non c’è un traduttore e ognuno rimane arroccato sulle proprie posizioni come ad esempio nel caso  del principio dell’autodeterminazione. Il paziente può scegliere ma il medico deve opporre la sua prescrizione.

Armando Massarenti:

C’è una cosa che tu hai detto che secondo me è molto importante cioè il problema della fiducia. La fiducia è molto fragile e va incentivata in tutti i modi. Nel mio libro c’è un capitolo dove parlo di fiducia e razionalità (la simmetria del fidarsi e del non fidarsi) che incita a promuovere tutte quelle situazioni in cui c’è fiducia. A volte il costo da pagare per essersi fidati in situazioni che si sono rivelate controproducenti è alto e questo causa una sfiducia talmente tanto radicata nei confronti del prossimo che è quasi impossibile eliminarla o sanarla. La cosa positiva è che gli esseri umani normalmente si fidano.

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Maria Giulia Marini: I bambini, ad esempio, si fidano, a meno che non abbiano ricevuto un’educazione restrittiva. Il problema sorge quando si è adulti e ci si è scontrati con la realtà.

Armando Massarenti: E a proposito di questo, uno psicologo di Grens oltre ad aver individuato delle regole, chiamate regole del pollice che permettono di orientarsi nelle scelte senza fare tutto il ragionamento, in maniera istintiva[5]; enuncia un’altra regola che sostiene di doversi fidare almeno due volte della stessa persona.  Sembrano idee molto semplici ma sono frutto di decenni di esperimenti.

Maria Giulia Marini: Quindi siamo diventati più stupidi perché c’è troppa superficialità, troppe bugie blu e troppe fake news e questo mette a repentaglio la nostra possibilità di credere e di conoscere la verità.

Armando Massarenti: mancano gli anticorpi quindi bisogna ripensare al nostro sistema educativo per fare in modo che il pensiero critico diventi materia comune nella mente soprattutto dei giovani e dei neolaureati. Non si tratta di dare degli stupidi alle masse che si fanno manipolare ma di fare una riflessione seria su quale cultura noi dobbiamo promuovere e trasmettere. È difficile trasmetterla da generazione a generazione proprio per il problema dell’impoverimento del linguaggio. Definire i fatti può anche essere problematico ma bisogna avere il linguaggio comune per descrivere la realtà.

Lo scopo del mio libro è di permettere alla persona intelligente di camminare in questa landa della stupidità che è il mondo che ci circonda.

Maria Giulia Marini: l’ironia è una forma di intelligenza?

Armando Massarenti: L’ironia è fondamentale per esprimere i fatti e per vedere il possibile cioè mentre dici una cosa vedi anche il suo contrario e sei costretto a rifletterci e quindi è anche uno degli antidoti. Anche nel libro questo aspetto ironico aiuta.

Maria Giulia Marini: Stiamo prendendo troppo sul serio i fatti?

Armando Massarenti: I fatti vanno presi sul serio ma la fiducia aiuta a capirli ancora di più.


[1] Alfred Binet, nato Alfredo Binetti (Nizza, 8 luglio 1857 – Parigi, 18 ottobre 1911), è stato uno psicologo francese, inventore del primo test di intelligenza utilizzabile, base dell’odierno test QI. (Wikipedia)

 

[2] Gardner è figlio di Ralph Gardner e Hilde Gardner (nata Weilheimer) immigrati tedeschi ebrei che lasciarono la Germania prima della seconda guerra mondiale[1]. Professore presso la Harvard University nel Massachusetts, ha acquisito celebrità nella comunità scientifica grazie alla sua teoria sulle intelligenze multiple. La sua proposta consiste nel considerare priva di fondamento la vecchia concezione di intelligenza come un fattore unitario misurabile tramite il Quoziente d’intelligenza (Q.I.), e sostituirla con una definizione più dinamica, articolata in sottofattori differenziati. È attualmente considerato uno dei più importanti esponenti dei cosiddetti teorici dell’intelligenza fattorialista, o S, contrapposti ai globalisti, o G.

È noto anche per aver scritto alcuni importanti testi di psicologia dell’educazione e per aver elaborato la più importante storia classica della nascita della scienza cognitiva, The Mind’s New Science (1983). Per le sue ricerche ha ottenuto vari riconoscimenti e lauree ad honorem. (wikipedia)

[3] La razionalità limitata è il concetto, o idea, secondo cui, durante il processo decisionale, la razionalità di un individuo è limitata da vari fattori: dalle informazioni che possiede, dai limiti cognitivi della sua mente, dalla quantità finita di tempo di cui dispone per prendere una decisione. È stata proposta da Herbert A. Simon quale base alternativa per la modellazione matematica del processo decisionale, come usata in economia e in discipline correlate; essa integra la razionalità intesa solo come ottimizzazione, in cui quello decisionale sarebbe un processo pienamente razionale di ricerca di una scelta ottimale date le informazioni disponibili.

Si può guardare alla razionalità limitata anche da un’altra prospettiva: poiché i decisori difettano delle capacità e delle risorse per arrivare alla soluzione ottimale, essi applicano invece la loro razionalità solo dopo un’enorme semplificazione delle scelte disponibili. Ovvero, il decisore agisce come un “satisficer”, cioè qualcuno che cerca una soluzione soddisfacente, anziché la migliore in assoluto.[senza fonte] Simon usa l’analogia di un paio di forbici, dove una lama è la “limitazione cognitiva” degli esseri umani e l’altra è la “struttura dell’ambiente”; menti con risorse cognitive limitate possono quindi avere successo sfruttando strutture preesistenti e regolarità nell’ambiente.

Alcuni modelli di comportamento nelle scienze sociali assumono che gli umani possano ragionevolmente essere approssimati o descritti come entità razionali (si veda, per esempio, la teoria della scelta razionale). Svariati modelli economici danno per scontato che le persone abbiano una razionalità media, e possano in quantità sufficientemente grandi essere approssimati come agenti in accordo alle loro preferenze. Il concetto di razionalità limitata rivede questo assunto per tenere conto del fatto che decisioni perfettamente razionali spesso non sono realizzabili nella pratica, proprio a causa della quantità finita di risorse computazionali disponibili per prenderle.

[4] possibile definizione generale di intelligenza.

[5]Fa l’esempio del medico come regola generale cioè quando gli viene in mente una soluzione di un problema che gli sembra accettabile non va a indagare anche tutte le altre possibili sa gia dare un quadro abbastanza completo.

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