PROJECT WORK ALL’INTERNO DEL MASTER DI MEDICINA NARRATIVA
Autori
- Dott. Luca Fontanini: fisioterapista, chinesiologo e filosofo presso FISIOALFA®, presidente dell’associazione culturale Ritorno all’Essere Umani®.
- Dott.ssa Emanuela Sozio: medico ospedaliero presso Azienda Sanitaria Friuli Centrale, vice-presidente dell’associazione culturale Ritorno all’Essere Umani®.
- Dott.ssa Giuliana Balzano: infermiera, scrittrice, editor e direttrice della Collana ‘Storia di Vita’ per la Casa Editrice Leucotea.
Obiettivi
L’obiettivo di questo lavoro è indagare in maniera trasversale le riflessioni sulla tematica della morte. Interrogarsi riguardo al convivere quotidianamente insieme al pensiero del fine vita, può contribuire a destreggiarsi all’interno di quel paradosso che include il non arrendersi alle malattie e la difficile accettazione dell’inevitabilità della morte. Rovesciare le prospettive attraverso specifiche riflessioni, può smorzare la cupezza caratteristica di questo delicato tema e può donare al tempo dell’esistenza la qualità che merita, una qualità basata anche sulla relazione di cura. Riflettere in questi termini è una meditazione preziosa sulla vita e può sia offrire un senso ad un’esperienza condivisa sia creare una connessione con l’Altro. Abbiamo coinvolto in questo studio sia i cittadini sia i professionisti sanitari che si trovano al servizio delle persone nei momenti più delicati e cruciali della loro esistenza. Capire, dunque, quali sono i punti di contatto tra sanitari e non sanitari su questa tematica, è il primo passo per arricchire il processo di cura ed è anche il nostro obiettivo.
Le evidenze narrative
Abbiamo chiesto alle persone partecipanti allo studio di condividere, in modo totalmente anonimo, alcune riflessioni sul tema della morte, invitandole a scrivere liberamente pensieri e racconti, a partire da dieci tracce semi-strutturate composte da frasi, fotografie, uno haiku e un breve filmato. Hanno accettato di partecipare a questo progetto 110 persone: 46 di queste (pari al 42%) sono professionisti sanitari e 64 di queste (pari al 58%) sono cittadini che non svolgono una professione di cura. L’età media dei partecipanti è di 48 anni ± 13 anni.
Di seguito riportiamo tre dei prompt narrativi utilizzati e ritenuti più significativi:
– “Se venissi a conoscenza della mia ‘data di scadenza’…”. Dalle narrazioni ricevute risulta che per la maggior parte delle persone potrebbe rivelarsi un’informazione positiva, poiché funzionerebbe come spinta propulsiva per cambiare atteggiamento verso la vita. L’ipotetica data annunciata, dunque, modificherebbe la traiettoria dell’esistenza sia sul piano del fare sia su quello dell’essere. Molte persone si adopererebbero per non sprecare il tempo rimastogli, cercando di realizzare sogni o viaggi, e starebbero più vicini ai loro affetti, donando amore e cercando di riceverlo; tuttavia sembra che la morte sia per loro un evento estraneo e distante. Pare sia dunque necessario conoscere la propria ‘data di scadenza’ per iniziare a impiegare le proprie energie in situazioni ed eventi di reale interesse, anziché vivere intensamente amando e amandosi a prescindere. Il motivo di questo comune atteggiamento lo si potrebbe attribuibire a una mancanza di tempo da dedicare a Sé e alle intime riflessioni sul significato dell’esserci.
Riportiamo alcuni esempi significativi di quello che potremmo racchiudere all’interno della domanda ‘Perché non riflettere sulla bellezza della vita prima di trovarsi dinanzi all’inevitabilità della morte?’:
«Cercherei di capire quello che non ho ancora capito di me stesso».
«[…] sarei consapevole di non essere eterni e cercherei di lasciare qualcosa di migliore nell’attesa».
«[…] darei priorità solo a ciò che conta davvero».
«[…] finalmente, forse, porterei a termine qualche progetto che ho nel cassetto».
«Berrei le bottiglie buone della cantina senza aspettare l’occasione».
«Cercherei di dare valore al tempo che mi resta».
«Vorrei poter agire in modo attivo e libero».
«Credo che non rimanderei alcuni progetti».
In alcuni casi è stato individuato un ‘blocco narrativo’ negli scritti dei partecipanti, con risposte brevi o assenti, verosimilmente attribuibile all’esigua abitudine riguardo il narrarsi, al proteggersi dall’Altro e dalle varie forme di dolore. Abbiamo notato, analizzando le narrazioni, che i sanitari, essendo maggiormente a contatto con la sofferenza, la malattia e la morte, hanno una particolare attenzione per l’argomento ‘vita a tempo determinato’ e ne parlano con una certa disinvoltura, più apertamente, ed è forse questa la differenza più tangibile tra i due gruppi: non è tanto il contenuto ma il modo di scrivere ed esprimere tali concetti.
– “Dopo la mia morte vorrei che di me rimanesse…”.Quasi tutte le persone desiderano lasciare qualcosa di loro, un ricordo o caratteristiche e qualità personali, come il sorriso, una risata, un pensiero. Da una parte la morte viene immaginata come una esperienza soggettiva, ma dall’altra viene manifestato il bisogno – intrinseco nella natura umana – di non andarsene e rimanere negli e attraverso gli Altri. All’interno di alcune narrazioni in particolare, l’area semantica del bene e quella del bello sono ricorrenti. Entrambe mettono in risalto – in modo quasi narcisistico – ogni aspetto che dovrebbe essere ricordato e mantenuto vivo in chi resta, dando per scontato che sia prezioso e meritevole di rimanere impresso. Le narrazioni, nel complesso, mettono in risalto sia il desiderio di rimanere nella memoria (approccio commemorativo) sia quello di lasciare qualcosa che può continuare ad esistere (approccio generativo). Per l’essere umano, quindi, lasciare qualcosa dietro di sé è uno stato di necessità.
– “Scegli tre parole da associare alla morte”. Da una rosa di 20 parole, i 110 partecipanti allo studio hanno indicato le seguenti, qui proposte in ordine decrescente in base alla frequenza di selezione: vita 41 (38%), fine 30 (27%), pace 23 (21%), tempo 23 (21%), ciclicità 23 (21%), accettazione 22 (20%), paura 21 (18%), certezza 16 (14%), saluto 16 (14%), angoscia 15 (14%), perdono 14 (13%), ansia 11 (10%), malattia 11 (10%), inizio 11 (10%), leggerezza 10 (9%), attimo 9 (8%), corpo 8 (8%), respiro 7 (6,3%), nulla 6 (5%), pensieri 4 (6%), tristezza 2 (2%), mancanza 2 (2%). La scelta operata dai professionisti sanitari rispetto a quella degli altri cittadini, mostra alcune differenze (figure 1 e 2): nel gruppo dei sanitari c’è una maggiore tendenza ad usare le parole certezza, ciclicità, accettazione, malattia, corpo, respiro; nel gruppo dei non sanitari c’è una maggiore tendenza ad usare le parole fine, perdono, angoscia, attimo. Le parole vita, tempo, saluto, paura, inizio, ansia, leggerezza sono invece usate in egual misura dai due gruppi. Svolgere una professione di cura, inevitabilmente, pone le persone di fronte alla corporeità, alla malattia e all’inevitabilità ciclica della morte, che passa anche dall’accettazione della stessa; chi non ha esperienza della morte per lavoro, invece, la vive con maggiore angoscia e ne riconosce solo la fase ultima, riconducibile, temporalmente parlando, ad un ‘attimo’.
Figura 1. Nuvola di parole usate dai sanitari.
Figura 2. Nuvola di parole usate dai non sanitari.
E che farne …
In conclusione, la differenza tra il gruppo degli operatori sanitari e il gruppo dei non sanitari appare sfumata, fatta eccezione per alcune scelte di parole e tonalità narrative. Le caratteristiche soggettive di ogni risposta, se le guardiamo in un’ottica complessiva e pluristratificata, accomunano le varie professioni, ed evidenziano la medesima base ontologica degli esseri umani, simili in quanto all’essere, prima e indipendentemente dalla tipologia del proprio fare. Infine, ci sovvengono alcune domande di matrice filosofica che lasciamo volutamente aperte: Per quali ragioni di vita quotidiana, di contingenza, il pensiero del poco tempo viene messo in risalto soprattutto in prossimità di avvenimenti infausti? Perché ci si ritrova spiazzati dinanzi alla certezza della propria morte? Perché è più spesso la morte a far riflettere sulla vita, anziché essere considerata parte della stessa?