TRAPIANTO DI CORNEA E MEDICINA NARRATIVA – INTERVISTA A CHIARA ANCONA

Vuole presentarsi e dire qual è la sua professione e quali sono i progetti in cui è coinvolta?

Lavoro all’ospedale oftalmico al Fatebenefratelli a Milano, occupandomi principalmente di cornea. In passato, ho fatto un anno all’università di Brescia in cui ho partecipato al master di medicina narrativa e seguo un progetto internazionale di medicina narrativa sull’aniridia, una malattia rara oculare, l’“assenza dell’iride”.  Oltre a questo, mi occupo anche di trapianto corneale.

Vuole raccontarci il suo progetto di medicina narrativa sull’aniridia?

Nel progetto internazionale sull’aniridia, in cui collaboro con altri professionisti, è molto importante. Mi permette di vedere degli aspetti che da medico affronti relativamente. Spesso, infatti, noi medici ci soffermiamo sul lato che è puramente scientifico, quindi, brutalmente, “se hai un problema te lo devo risolvere”; la medicina narrativa permette, invece, di capire quali sono i bisogni del paziente, cosa vuol dire avere quella malattia e ti costringe a dover pensare ad aspetti a cui il medico, di solito, preferisce non pensare perché si tocca con mano la sofferenza del paziente in toto, come ad esempio nel caso di pazienti affetti da aniridia.

L’oculista si sente impotente e risulta al paziente, per questo, insensibile perché il paziente in quel momento non vuole solo la cura definitiva ma vuole essere trattato come essere umano, ascoltato e confortato.

Rispetto invece al trapianto di cornea come ce lo può raccontare?

La cornea è un tessuto che deve essere considerato idoneo, devono essere convalidati tutti i parametri e solo a quel punto si può procedere. Si parte da un donatore, che è sempre un deceduto.

Per poter donare le cornee ci vuole il consenso del donatore espresso in vita, che oggi di solito si chiede agli sportelli dell’anagrafe del comune. Molte volte però dopo la morte si scopre che, la persona, non ha mai dato il proprio consenso e quindi quest’ultimo va chiesto ai parenti.

La cosa più importante è sensibilizzare sulla donazione degli organi, dei tessuti, nonostante l’Italia sia abbastanza ben fornita rispetto ad altri paesi europei. Nel caso del trapianto della cornea, a volte i familiari sono restii a dare il consenso perché pensano che cambi la fisionomia del volto del defunto; hanno paura di spaventarsi quando lo vedranno per l’ultima volta alla camera mortuaria. In realtà, si prende solo la parte di tessuto e poi si utilizza un conformatore che si mette sotto la palpebra che dà il volume, che in parte, dopo l’estrazione, è stato perso dall’occhio.

Le cornee vengono valutate dalla banca degli occhi per capire e valutare la loro qualità.

Se il medico ha più scelta, può permettersi di fare una buona selezione e fornire una qualità migliore.

Con il trapianto si ridona la vita ai pazienti. L’operazione puo essere fatta anche a un solo occhio, non dura molto l’intervento. Al momento non esiste un equivalente artificiale, si sta lavorando a tale scopo e anche per non essere così tanto dipendenti dalle donazioni, ma ancora non è stato trovato un degno sostituto. La sensibilizzazione è importante, è parte dalla società e può cominciare fin dalla tenera età.

Pensa che la medicina narrativa possa essere utile a trasmettere nelle persone, con ruolo di donatore o di ricevente, maggiore consapevolezza delle loro scelte, riguardo al tema del trapianto?

Sicuramente può essere utile ad entrambi.

Puo essere importante per il ricevente, per i motivi che abbiamo appena detto.

Per il donatore anche puo fare la differenza, anche se non è facile perché come approcci il donatore di cornea? Potenzialmente potrebbero essere tutti donatori di cornea, quindi il punto qui non è tanto soffermarsi sul donatore ma più che altro sulla famiglia.

Per capirne di più dei pazienti, porto due esempi:

Un signore che rischiava di perdere l’occhio, mi ha chiesto quando sarebbe stato possibile ricominciare a guidare, io sbalordita e anche un po’ scettica ho risposto che era l’ultimo dei nostri problemi, ma, mi sono subito ricreduta perché mi ha risposto che poter guidare, per lui, significava riuscire a portare la moglie ai controlli oncologici.

Un altro paziente mi ha detto che, se non avesse avuto l’opportunità del trapianto, avrebbe dovuto chiedere favori al figlio.

Quindi, in sintesi, riacquistare la vista diventa una questione di dignità e di indipendenza che sembrano, per queste persone, valori che superano persino la felicità dirompente che li travolge nel momento in cui riottengono la vista.

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