L’intelligenza naturale è una tra le intelligenze multiple proposte dallo psicologo Howard Gardner, assieme a quelle più note come la logico cognitiva, la linguistica, la visuo-spaziale e altre meno conosciute come quella intrapersonale, interpersonale, cinestesica, musicale, etica, e esistenziale. Secondo questa qualità, Intelligente è la persona che sa convivere con la natura, amandola, rispettandola, e conoscendola.
Cosa c’entra un numero dedicato alla natura in una rivista dedicata alla medicina narrativa?
Dalle narrazioni dei pazienti sia con malattie fisiche che con disagio mentale emerge straordinaria la forza terapeutica della Natura. Nelle righe del loro “oggi”, vi sono le piccole cose come curare i fiori di un balcone di città, coltivare l’orto, dipingere la natura stessa, camminare e passeggiare nei centri abitati o preferibilmente in campagna, avere un animale domestico – un cane , un gatto, si chiama Pet Therapy.
Molte persone depresse sono uscite anche così da quel male oscuro e invisibile agli altri “umani” che liquidano con frasi tranchant il proprio “caro?” come “ sei pigro, “ sono scuse” “non sono malattie vere”. Forse gatti e cani sono portatori di quell’affetto e rispetto che molti umani non sanno provare di fronte allo star male dell’essere. Sanno quando avvicinarsi e salutarti e quando invece ritornare nel loro habitat, mostrando la loro intelligenza, rispetto ad una società che non vuole vedere mali dell’anima, e li nega, forse perché è la prima responsabile di questa continua pressione sociale che spinge a stereotipi di bellezza e perfezione (la natura è meravigliosamente imperfetta), a ricchezza, a abilità iperboliche, all’immortalità.
Il controcanto a questa cultura del pressing è vocalizzato dalla natura: quando si riceve una diagnosi “incerta” “pesante” si alzano gli occhi e si rivolgono a cercare la finestra per guardare il cielo. Un gesto antichissimo ereditato dai nostri antenati, Sapiens o Neanderthal che fossero: era un atto di preghiera con gli occhi rivolti al di giorno al cielo e di notte a guardare le stelle o cercare la luna.
Il medico a volte non conosce, non capisce e chiede “Mi segue? Le ho appena detto che…”: capita. Il medico è nel suo ruolo e mondo logico e contemporaneo e vuole assicurarsi che il paziente capisca, il paziente ha chiuso l’ascolto ed ha viaggiato nel tempo, invocando il Dio del Sole o le Stelle Tutte. “Amor che move il sole e l’altre stelle”. Poi tornerà qui nel presente a informarsi su cosa sia possibile o impossibile agire per curarsi. Ma se non ci fosse stato quell’estraniamento verso il cielo, lo sguardo non avrebbe potuto diventare coraggioso e pronto ad affrontare la situazione di malattia. La natura esce come il fattore di coping nelle piccole storie quotidiane.
E rispetto alla Natura del Corpo? I frammenti “naturali” animano le narrazioni dei pazienti, dei familiari e anche dei medici, indicando tanta natura nel cibo, nel sonno, nel muoversi, nel saper ascoltare il proprio corpo e fermarsi o procedere. Chi ha Intelligenza Naturale sa quando deve dormire, si percepisce la febbre, conosce il proprio livello energetico e sa alzare lo sguardo all’orizzonte, e guardare dietro le costruzioni dell’Antropocene. Una rondine che sfreccia al tramonto, un passero che viene a beccare le briciole sul davanzale vicino al letto di una persona ricoverata nell’hospice per i suoi ultimi giorni di vita.
Questo fa della natura un fattore pervasivo che ci avvolge e ci coinvolge: intelligenza naturale è avere la consapevolezza che siamo immersi in un unico ecosistema chiamato dal nostro Istituto Superiore della Sanità ha chiamato One Health, che raccogli gli esseri umani, gli animali e il pianeta intero, con il suo mondo vegetale e animale, il suo clima, la sua collocazione geografica nel nostro sistema solare, galassia e universo.
È tutto “buono” l’ecosistema naturale? Affatto, la violenza è fatta dall’alternanza di vita morte, di abbandono degli animali nati prematuri, di catastrofi che sradicano ogni forma di vita. Ne scrive bene Leopardi chiamandola matrigna:
O natura, natura
Perché non rendi poi
Quel che prometti allor?
È la natura che si è portata via Silvia in età troppo giovane, Fiore sfiorito prima dell’Estate.
Generalmente, l’alternanza del ciclo delle stagioni offre una natura in crescita, piena di AUXINE e Clorofilla (le sostanze che rendono rigogliose e verdi le piante), poi di trasmutazione, con Le Xantofille dell’autunno che colorano le foglie da verdi a gialle sino alla perdita dell’inverno, identificato simbolicamente come un vecchio della cultura antica che poi andrà a morire. E deve morire – in alcune tradizioni sarà decapitato – per dare spazio alle nuove generazioni di ragazze che formano la primavera. E così a cicli.
Quei limiti terribili che vedeva Leopardi nel “la natura matrigna” possono essere riconfigurati in altre filosofie più concilianti, compassionevoli, e di maggiore aiuto per la cura. Consideriamo il limite come una condizione neutrale, senza darne una accezione così negativa: solo che la nostra società a volte è troppo poco realista (a conoscenza delle leggi di natura) e troppo ideologizzata e mitomane (Prometeo scatenato e non incatenato), con accesso a tutte le possibilità tecnologiche, fino a quando sarà proprio l’intelligenza Artificiale – il cui antenato era la scoperta del fuoco donata da Prometeo – a rendere inutile lo stesso Sapiens.
Lo sappiamo, la stessa dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Salute definisce il benessere come “un completo stato di benessere psico fisico e sociale”: bene, mettiamoci d’accordo su quanti anni di longevità abbiamo “diritto” noi essere mortali. Se vogliamo contrastare l’ineluttabile invecchiamento del corpo della mente come possiamo accettare il limite senza renderci potenzialmente infantili e ridicoli con il desiderio di prendere il posto degli dèi?
Dalle filosofie e religioni orientali apprendiamo che i riti funebri in Tibet e in Nepal si svolgono dando il cadavere in pasto agli avvoltoi “gli scavenger, gli spazzini” oppure bruciato e sparse le ceneri sui campi come fertilizzante in modo da nutrire la terra. Le ceneri al vento simboleggiano la bellezza dell’impermanenza, il farmaco contro la noia dell’eternità: la leggiamo nelle narrazioni sagge delle persone gravemente ammalate o nelle persone molto anziane che sentono che il picciolo della loro foglia si sta per staccare: si preparano al soffio di vento, non desiderano accanimento terapeutico, vogliono essere lasciati in pace, non devono più dimostrare di essere bravi a sottoporsi ad un ennesimo trattamento terapeutico (sempre Progenie di Prometeo Scatenato). In queste righe ringrazio anche Prometeo perché è grazie a lui che abbiamo imparato a riscaldarci di notte, a non avere più panico nel gelo, a cucinare (la demarcazione tra il crudo e il cotto di Levi Strauss). Certo vedeva avanti, ma noi Sapiens non eravamo così strateghi e etici nell’usare tutto quello che proveniva e proviene dal progresso e né a rispettare le leggi di natura.
Non toccherò l tema del cambiamento climatico, della nostra incapacità di orientarci perché non sappiamo dove è il Sud e il Nord, il dare nomi a piante e animali, un po’ perchè ne abbiamo ridotto la biodiversità, un po’ perché oggi è più importante essere smart nei video games perché domani sarai un grande creatore di intelligenza artificiale. Né sto parlando di naturopatia o specialità affini come pietre e talismani in cui ognuno di noi ha diritto di credere: l’effetto placebo è meraviglioso, funziona e perdura.
Ricordo – e perdonate la digressione personale – mio padre che era stato da ragazzo per sei mesi in Svezia tra l’autunno e l’inverno: “la natura sa quello che fa, in quei mesi di buio la neve bianca fa da lampada e illumina tutte le cose”.