I diritti umani
Considerando i primi trenta articoli della Dichiarazione dei diritti umani (1948), proviamo a fare un esercizio: quante di queste affermazioni riteniamo ancora valide? E quante ne abbiamo realmente realizzate?
Fermiamoci, senza voler fare equazioni di quali diritti appartengono a qual campo, sicurezza, libertà, riconoscimento, salute, benessere, e proviamo a fare un altro esercizio: quante di queste dichiarazioni le sentiamo ancora valide? E quanto abbiamo veramente effettuato? Basta vedere il rapporto FAO per leggere che nel 2021 erano 812 milioni le persone sofferenti nel mondo di grave denutrizione, la maggior parte bambini e la maggior parte in Africa, coerentemente con l’andamento della distribuzione del denaro, quella forbice in cui la ricchezza si accumula sempre in meno mani. E ancora i detenuti per diverso credo politico e le torture che avvengono seppur raramente anche nei nostri paesi Europei. Contiamo i femminicidi, di cui l’Italia ha la bandiera più scura in Europa. Questa Dichiarazione delle Nazioni Unite ha più a che vedere con Imagine di John Lennon, che con la salute contemporanea presente nel pianeta:
…Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion, tooImagine all the people
Livin’ life in peaceYou may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will be as oneImagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of manImagine all the people
Sharing all the world
…Immaginate che non ci siano paesi,
Non è difficile da fare
Niente per cui uccidere o morire
E anche nessuna religioneImmagina che tutte le persone
Che vivono la vita in pacePotreste dire che sono un sognatore
Ma non sono l’unico
Spero che un giorno vi uniate a noi
E il mondo sarà uno soloImmagina di non possedere nulla
Mi chiedo se tu possa farlo
Non c’è bisogno di avidità o fame
Una fratellanza di uominiImmaginate tutte le persone
Condividere tutto il mondo
La storia, benché la narrativa dei diritti sia così epica, ha indicato la coesistenza nel bene e nel male dell’essere umano, come descritti da Yuval Harari nella sua breve storia del Sapiens. (8): “L’animale che è diventato un Dio: abbiamo dominato il nostro ambiente, aumentato la produzione di cibo, costruito città, fondato imperi e creato reti commerciali lontane. Ma abbiamo diminuito la quantità di sofferenza nel mondo? Più volte, l’aumento massiccio del potere umano non ha necessariamente migliorato il benessere dei singoli Sapiens, e di solito ha causato immense sofferenze ad altri animali”. Mentre Imagine potrebbe ricadere nell’ES freudiano, lo storico Harari ci toglie i veli delle illusioni e ci dona il senso di realtà.
D’altro canto, se diamo uno sguardo ai capitoli precedenti, tra schiavitù, servi della gleba, condizioni inumane di lavoro, possiamo sperare di avere fare passi avanti sulla carta: utopici, in un mondo distopico con isole di realtà equilibrata. Per le persone disabili sappiamo quanto altro fosse lo stigma, erano a volte soppressi fin da piccoli e senza alcun sentimento di colpa: in una metafora così forte come Homo Faber, L’uomo che fa, la Persona che non è in grado di “Produrre sostentamento e ricchezza” è un errore della natura. Oppure una terribile castigo di Dio, che sancisce la discriminazione no solo per la persona ma anche per la famiglia. Una lettera scarlatta che può perdurare per generazioni.
Pausa per il lettore: forse sei uno studente che desidera diventare un buon medico, o forse sei un infermiere, o forse sei un politico che si occupa di servizi sanitari. Perché tutte queste affermazioni sui quadri storici e giuridici? Perché dobbiamo conoscerli prima e durante qualsiasi atto di cura, assistenza e cura di noi stessi e degli altri. Sono certo che durante il vostro tirocinio potrete trovare le caratteristiche tecniche su come eseguire una diagnosi corretta e magari, con l’aiuto di una buona tecnologia, un metaverso dove potrete esercitarvi a operare su pazienti virtuali. Ma questa competenza di diventare sempre più competenti sulle capacità umane (diritti, empatia, compassione) e di essere consapevoli dei limiti umani (brutalità tirannia, violenza) deve essere una tensione persistente nella nostra vita professionale e personale.
Quello che possiamo fare con questi diritti è analizzare lo stile comunicativo del linguaggio: pieno di “universalismo, detto in senso buono, ma anche con una deriva verso le “generalizzazioni”: tutti, tutti, uguaglianza, uomo e donna, diritti e doveri. Più diritti che doveri. Lo stile comunicativo di questa destra è epico e religioso, che ricorda molto la Legge di Mosè o il Corano, messi in modalità imperativa, senza altre opzioni possibili. Sono scritti come verità, ma purtroppo sono grandi finzioni che non considerano la complessità dell’essere umano in tutte le sue sfumature dal bianco al nero. Questo stile di comunicazione tende a creare, dal momento che questi obiettivi sono così lontani da raggiungere stati deliranti, con persone prive del senso della realtà: ancora una volta, qui l’Io è carente nella sua fase adulta. Per favore, non pensate che io sia contro questi principi, affatto, ma trovo che questo modo di comunicare non sia efficace, ingenuo e tendenzialmente aggressivo, poiché manca di critiche, e non riconosce che siamo ancora animali, appassionati dal raggiungimento, dalla vittoria, da qualsiasi cosa.
Prendiamo il primo articolo 1 “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Uno stile di comunicazione aggressivo e vincolato.
Che ne dite di cambiare questo dogma in questa possibilità di miglioramento? “Gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Sono dotati di molteplici intelligenze, emozioni e coscienza. Possono agire gli uni verso gli altri in uno spirito di fratellanza e sorellanza”. Stile di comunicazione assertivo e aperto, che include le diversità e le potenzialità.
I diritti per le persone disabili
I diritti per le persone disabili si muovono e si sono mossi con lentezza: solo nel 1975, il termine Disabile ha fatto la sua comparsa con la dichiarazione delle Nazioni Unite, sostituendo quello di “handicappato”. In questo periodo la disabilità è un qualcosa che riguarda strettamente la salute del soggetto, cioè l’approccio alla questione disabilità è di tipo sanitario. Ed è questo che rappresenta uno dei maggiori limiti di questa visione, ovvero che tutto debba essere consequenziale:
- prima la menomazione, intesa come anomalia fisica o psichica,
- quindi eventualmente la disabilità, concepita come inattitudine rispetto a un modello,
- e infine il probabile svantaggio rispetto alla società che ne conseguirebbe, definito handicap.
Solo nel 2001, a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, con l’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health – classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e salute) avviene un’ulteriore svolta, cambia l’approccio, cioè si passa dal modello medico a quello bio-psico-sociale, «spostando il focus dalla visione riduttiva della disabilità come meramente legata alla menomazione fisica o psichica ai bisogni dell’ambiente della persona». Sono ambiente fattori come: l’ambito sociale, culturale, economico, fisico, tecnologico. Si definisce così la disabilità: «Rapporto sfavorevole fra una persona con le sue condizioni di salute e ambiente» Da cui consegue che «ogni persona in qualunque momento della vita, può avere una condizione di salute che in un contesto sfavorevole diventa disabilità». Tra disabilità, fragilità e vulnerabilità il passo è infinitesimale.
La Disabilità legata al rapporto fra persona e ambiente emerge anche dal documento sui diritti delle persone con Disabilità nel Mondo ossia la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006 (in Italia legge 18/09). Nel suo preambolo si afferma che «la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri».
Nella Convenzione ONU questi sono i diritti principali che riguardano una stima di un miliardo di persone disabili sulla Terra:
- Principio di “accomodamento ragionevole” (che significa creare modifiche e adeguamenti necessari e appropriati che non impongano un onere sproporzionato o indebito, ove necessario in un caso specifico, per garantire alle persone con disabilità il godimento o l’esercizio su base di uguaglianza con gli altri di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali)
- Non discriminazione (bambini, adulti e anziani, donne e uomini)
- Accessibilità (l’abbattimento delle barriere architettoniche)
- Situazioni di rischio e di emergenza umanitaria
- Pari riconoscimento davanti alla legge
- Accesso alla giustizia
- Libertà dalla violenza e dallo sfruttamento
- Protezione dell’integrità fisica e mentale della persona
- Rispetto della casa e della famiglia
- Educazione
- Salute
- Abilitazione e riabilitazione
- Standard di vita adeguati e protezione sociale (i servizi sociali devono entrare in gioco in caso di disabilità: la famiglia non può essere lasciata sola)
- Partecipazione politica
Sono dichiarazioni stupende, eppure vi sono tante lacune nella loro applicazione: se ancora parzialmente la parte sanitaria è coperta dal servizio di cura medica (e per fortuna nella gran parte dei paesi Europei gratuitamente), per le restanti parti, quelle più assistenziali, i servizi sociali, che dovrebbero anche occuparsi dell’inserimento nel mondo del lavoro- il primo punto “l’accomodazione”, sono spesso disgiunti dalla sanità e ancora legati al terzo settore religioso e laico. Seppur fondamentale l’importanza del terzo settore, capiamo che stiamo usando organizzazioni “caritatevoli e umanitarie” e non stiamo ricorrendo ai diritti, quindi alle leggi. Essere presi in cura con una disabilità nelle quattro dimensioni (biologica, psicologica, sociale e spirituale) non è un diritto applicato universalmente ma diventa in alcune terre, vicine e lontane, un atto umanitario, volontaristico e occasionale: se ci rifacciamo a quanto abbiamo letto nelle pagine scorse, dai bambini disabili “uccisi” in quanto non abili nella società romana, oppure nella disabilità vista come condanna divina e senso di colpa da espiare abbiamo sicuramente fatto passi avanti. D’altro canto il “Diverso” e qui siamo nella fenomenologia di Merleau Ponty fa sì che noi percettivamente tendiamo ad evitare la Disabilità Fisica per un istinto di autoconservazione: prendiamo atto che dal punto di vista fisiologico l’inclusione della disabilità non è un fenomeno così “spontaneo” ma una conquista: le persone vanno educate all’inclusione della disabilità. Il nostro cervello, così variegato, ha al suo interno anche una parte che chiama prima la propria sopravvivenza e se c’è qualcosa di “alterato” nell’altro, da “alter” non simile, tende, senza una strada di educazione alla civiltà dell’accompagnamento a ritrarsi, lasciando sola la “diversità”. Eppure si impara tantissimo in modo straordinario proprio dalle persone disabili, persone che ci sanno dare una rilettura della realtà con altri occhi.
Anche qui malgrado sappiamo anche perché reagiamo così di fronte alle Disabilità, l’essere umano nell’età contemporanea è indietro, seppure le tecnologie di cura e sanitarie progrediscano vertiginose: mancano gli incroci tra i saperi, come una torre di Babele in cui i servizi sociali non parlano abbastanza con medici, i medici con gli insegnanti, i datori di lavoro non si capiscono con i centri per l’impiego e a volte non vogliono troppe persone che vengono da “categorie protette”. Seppur l’Italia abbia un diritto del lavoro avanzato, è la sua applicazione che spesso lascia a desiderare. Abbiamo inventato l’esoscheletro, un sistema che permette alle persone con tetraplegia di camminare: ma quanti disabili si possono permettere questo prototipo della tecnica?
Dove abbiamo sbagliato nello scrivere diritti universali e leggi troppo utopiche quando la realtà è anche un luogo pieno di distopie?
Da ultimo, anche perché sono e saranno il nostro futuro desidero soffermarmi sul benessere e salute dei bambini, sempre secondo l’analisi dei loro diritti: il 20 Novembre 1989 è entrata in vigore la Convenzione sui diritti dell’infanzia e sull’adolescenza, ovvero un trattato che include tutti i diritti dei bambini, dove l’età è estesa fino a 18 anni.
I diritti dei bambini e adolescenti
- Diritto a giocare
- Diritto al cibo
- Diritto di avere una casa
- Diritto alla salute
- Diritto all’educazione
- Il diritto alla vita e di avere una famiglia
- Diritto di avere una nazionalità
- Diritto dei bambini all’uguaglianza
- Diritto dei bambini di esprimere la propria opinione
- Diritto dei bambini a non lavorare
Se guardiamo indietro e pensiamo al lavoro minorile, in Europa sicuramente la legge è migliorata, e i bambini si sono reimpossessati della loro infanzia così ben esplicitato nel loro primo diritto, quello del gioco: questo grazie anche ai grandi movimenti dei primi del 900 con Maria Montessori, Anna Freud, Sabine Spielrein, Melanie Klein, e trovo stupefacente che solo nel 1989 i bambini siano stati riconosciuti come soggetti in grado di esprimere la propria opinione. Sulla carta. Vietate le frasi a tavola con cui molti della nostra generazione e delle generazioni precedenti sono cresciute: “Zitto tu che sei un/una bambino/a, o che sei piccolo/a”.
E noi adulti quanto siamo in grado di esprimere liberamente la nostra opinione? L’espressione di sé, la condivisione delle proprie idee è uno dei primi pilastri per il benessere mentale dell’individuo, e se non sarà possibile effettuarlo direttamente, sarà assieme alla parola detta alle persone che ascoltano veramente, l’arte che nasce dall’energia interiore inespressa (non desidero chiamarla sofferenza) il modo più importante di sublimare i messaggi consci e inconsci che desideriamo comunicare. Ci sono due parole accanto a quella enunciazione “il diritto ad avere una famiglia” (e per fortuna non è esplicitata da chi deve essere composta), due parole che spiegano quali sono le qualità che deve mettere in moto questa famiglia: amore e comprensione per far crescere il bambino in una dimensione di affetto, non di paura, di silenzio, di sensi di colpa.
Ci sono polarità che si estremizzano: mentre scrivo della necessità di giocare (nelle scuole occidentali con una competizione eccessiva gli altri giochi consentiti sono i videogiochi tecnologici) il mio cuore si distrugge pensando al diritto negato all’istruzione e all’università per le donne in Afghanistan e a quello che sta vivendo ora l’Iran sull’istruzione femminile.
Pochi sanno che giocare fa bene: lo scopo di questo capitolo non è l’effetto “wow” delle scoperte tecniche e la bellezza dei codici di comunicazione delle scoperte mediche sui diritti umani. È portare soluzioni facili, sostenibili e leggere per creare benessere. Leggete, se volete, il segreto per diventare giocatori di vita, per imparare a giocare con la giustizia, l’ingiustizia, la violenza, la non violenza, le cose e le persone facili e difficili che la vita metterà sulla vostra scrivania nel tempo della pratica.