PROJECT WORK DEL MASTER IN MEDICINA NARRATIVA APPLICATA DI ISTUD, XI EDIZIONE
di Fabiana Megliola (Clown Metrella)
Il progetto «Un sorriso dietro la mascherina» ha indagato il vissuto dei volontari di un’associazione di clownterapia nel periodo in cui non si è potuto operare a causa della pandemia e il cambiamento avvenuto al momento del rientro.
La Medicina Narrativa, attraverso le narrazioni e le parole, ha consentito di esplorare l’universo razionale ed emozionale dei clown di corsia attraverso una riflessione guidata sul passato, sul presente e sul futuro del loro essere portatori di gioia, allegria. Per fare questo è stata fornita loro una traccia semi-strutturata.
Sono state raccolte 24 narrazioni di volontari dell’Associazione “Le note del sorriso odv” di Gorgonzola.
L’ARRIVO DEL COVID E L’IMPOSSIBILITA’ DI ACCESSO ALLE STRUTTURE SANITARIE
L’arrivo del Covid ha spiazzato i clown di corsia. Dalle loro narrazioni emerge un primo momento in cui prevale il sentimento di inutilità: impotente, inutile, non indispensabile gli aggettivi più ricorrenti nelle narrazioni.
Trascorse le settimane più difficili inizia a prevalere il desiderio di fare. Tante le risorse di coping messe in atto che hanno consentito di utilizzare in modo proficuo il tempo sospeso del lockdown. La vita associativa, continuata sul web, ha tenuto insieme il gruppo e ha permesso di portare avanti un percorso di formazione.
Le loro parole:
Ho frequentato un corso di teatro che mi ha permesso di acquisire nuove consapevolezze e nuove competenze. Ho approfittato per “svecchiare” gli abiti clown e per aggiornare il repertorio dei giochi da usare in reparto.
L’ associazione non ci ha mai abbandonato. Abbiamo continuato a vederci via web e a fare le riunioni via zoom. Abbiamo fatto dei bellissimi corsi di formazione on line.
La lontananza dalla clown terapia è stata davvero una brutta cosa, ho cercato di pensare sempre che saremmo tornati presto a fare quello che amiamo di più.
Ho collaborato con una web radio creando con degli amici un programma di buone notizie. Con altri clown abbiamo portato avanti un progetto via web nelle scuole.
IL RIENTRO
L’impossibilità di praticare la clownterapia ha inciso, in parte, sulla motivazione dei clown portandoli a riflettere sul senso di essere “clown di corsia”.
Durante la raccolta delle narrazioni sono stati riaperti gli accessi in casa di riposo e la maggioranza dei soci ha espresso il desiderio di essere nuovamente operativa. L’analisi delle narrazioni secondo la classificazione di Launer ha evidenziato, infatti, una prevalenza di storie in evoluzione.
Sono rientrata. Per molti motivi: innanzitutto perché penso che i reparti siano rimasti troppo tempo isolati. Ritengo sia ora di ricominciare a umanizzare gli ospedali. A maggior ragione, viste le difficoltà di accesso dei parenti, penso che i momenti di svago che proponiamo, aiutino ad affrontare il disagio, le difficoltà e le paure dei degenti, nonché l’isolamento e le difficoltà degli operatori. Infine… dopo tutta la fatica fatta per ritornare in corsia… non potevo mancare!
Ho deciso di rientrare, nonostante la casa di riposo sia un ambiente a me poco consono. E’ troppa la voglia di rimettermi in pista. Ho cercato di superare questo mio limite.
Alcune narrazioni sono state classificate come ferme, poche quelle in regressione; sono le testimonianze di chi non vuole riprendere la clownterapia:
Al momento non credo che riprenderei, già prima del Covid ero in una fase di stanca e la lunga assenza dagli ospedali non mi ha aiutato. Forse tornare in corsia mi aiuterebbe o forse no. Non sono ancora rientrato. Mi sento svogliato, pensieroso.
Ho deciso di non rientrare perché in questo periodo non sarei capace di donare e trasmettere positività ai pazienti. Nel futuro la confusione regna.
L’analisi delle parole e delle emozioni provate al momento del rientro evidenzia paura e ansia, legate alla possibilità di contagio e al fatto di essere “arrugginiti” ma, allo stesso tempo, una buona dose di tranquillità dovuta all’esperienza pregressa.
I clown che sono rientrati in RSA si sono sentiti subito a casa, sono rimasti colpiti dall’accoglienza calorosa riservata loro dagli ospiti e dal personale. Unica nota negativa il silenzio nella struttura a causa degli accessi limitati.
E’ subito casa. Il personale sanitario ci accoglie come vecchi amici, un bel bentornati. Le pazienti sedute sulle sedie in corridoio sono emozionate. Ci riempiono di complimenti, battono le mani per loro è una festa. Due ore che sono volate tra canzoni, emozioni, confidenze, palloncini, chiacchiere per poi finire con un… ma dai fermatevi a cena qui con noi posto ne abbiamo!
Il giorno del rientro mi sentivo agitatissima. Avevo persino fatto un sogno sulla mia inadeguatezza. Il silenzio nell’ingresso mi ha spiazzata. Nonostante la mascherina e la distanza, mi è sembrato di mancare da poche settimane. Tutto è andato per il meglio, anche se la stanchezza finale dimostrava la difficoltà del rientro.
IL RUOLO DEL GRUPPO
Pur non essendo stato indagato in modo esplicito, dalle parole dei volontari è emerso un forte senso di appartenenza al gruppo che rappresenta sia un importante sostegno nei momenti più difficili sia uno dei motivi principali per continuare nonostante il calo di motivazione.
In questi anni è stato veramente importante il confronto con i miei compagni di avventura; le formazioni, le condivisioni, i momenti di soddisfazione così come quelli di frustrazione o tensione.
Ho deciso di rientrare perché ho capito che ciò che facevo mi faceva star bene, che il gruppo mi fa star bene.
LE METAFORE PRE E POST COVID
Significativa l’analisi delle metafore scelte per rappresentarsi come clown pre Covid e post Covid. Nel primo caso sono emerse metafore di leggerezza (un vento che soffia tra le pagine del cuore, un palloncino, una piuma leggera, una foglia trasportata dal vento, ti abbraccerei anche se tu fossi un cactus e io un palloncino, un sasso lanciato in mare), legate alla natura (una nuvola rosa, fiore di campo, fiore nel prato), di energia (una bottiglia di spumante, un vulcano, una macchia di colore).
Nel post Covid le metafore rappresentano disagio (una stella cadente senza cielo, una fetta di groviera che aspetta di diventare taleggio), guida (il re della foresta), attesa (un vestito da raffrescare, fiore in serra, animale in letargo, un bimbo che impara ad andare in bici, il cielo d’Africa immobile, resilienza (un ciuffo d’erba che spunta dall’asfalto, un albero con radici salde), energia(una molla, uno zaino pieno di regali), prudenza (un animale guardingo, un clown attento a non fare pasticci).
CLOWNTERAPIA: QUALE FUTURO?
È stato chiesto ai volontari come vedono il futuro della clownterapia (telemedicina inclusa). Prevalgono le opinioni di chi immagina la clownterapia come è attualmente ma non manca chi la vorrebbe nelle scuole, nei quartieri difficili, nelle aziende, nelle facoltà umanistiche e in quelle di medicina. I volontari non sono contrari all’uso della telemedicina come strumento per erogare i servizi in ospedale in caso di necessità ma ne lamentano l’assenza di contatto fisico e la bassa empatia.
COSA MI HA DATO L’ATTIVITA DI CLOWNTERAPIA NEGLI ANNI
Negli anni l’esperienza della clownterapia ha arricchito i volontari, ha fatto porre loro domande di senso. La gratitudine per quanto vissuto nelle corsie è evidente nelle loro parole.
Ogni paziente mi ha insegnato a tenere la giusta distanza per non invadere lo spazio sacro che ci permette di sentirci a nostro agio con gli altri, che per ognuno è diverso. Ho capito che non c’è sempre da ridere, a volte, anzi, non c’è niente da ridere e si può dire, senza sentirsi fuori luogo. Mi hanno insegnato che il corpo è l’involucro dove risiedono le emozioni, che tutto può passare attraverso una stretta di mano e che ci si può perdere e ritrovare in un abbraccio. Mi hanno insegnato quando e come è giusto congedarsi con serenità.
Mi ha dato la consapevolezza che ciò di cui abbiamo bisogno come esseri umani è l’ascolto.
Ricchezza di spirito e di emozioni. Ho imparato ad abbracciare, ascoltare, rivedere le priorità. Ho ridotto i pregiudizi e i giudizi.
Mi ha dato nuove priorità nella vita: lo chiamo il punto di vista del naso rosso.
COSA CI HA DATO QUESTO PROGETTO
Il progetto ha permesso ai clown di ascoltarsi e di indagarsi, pre e post pandemia. La possibilità di narrarsi è stata un’occasione apprezzata ma non del tutto indolore.
L’ho trovata un’esperienza positiva, perché ricordare mi ha fatto prendere coscienza che fare il clown mi ha aiutata a crescere, a fare tesoro dell’esperienza passata, a essere consapevole che in certe situazioni “seppure di sofferenza” mi sento bene e utile all’altro.
Mi ha fatto porre altre domande a cui non so ancora dare risposta.
Mi sono analizzata come clown. Ho fatto un viaggio interiore per capire parecchi aspetti del mio volontariato. È stata l’ennesima riprova che la mia scelta era quella giusta.
COSA MI HA DATO IL PROGETTO
Ho realizzato il progetto con una doppia veste: da un lato ho analizzato le narrazioni dei miei compagni e dall’altro sono stata oggetto io stessa del progetto, raccontando il mio vissuto. Attraverso le parole raccolte ho conosciuto meglio i miei compagni di avventure “di corsia”, ho respirato il loro sentire, le loro paure, le loro emozioni e li ho sentiti più vicini. Narrarmi e ripercorrere la mia storia clown mi ha permesso di ricordare tutti gli incontri fatti in questi anni nei luoghi di fragilità, incontri in cui c’è la vita con il suo carico di gioia, speranza, malattia e morte. Ho rivissuto le vite incrociate per minuti o per ore, vite che mi hanno insegnato cosa significa essere… umani, qui e ora.
Le metafore raccolte sono state date a un gruppo di bambini in condizioni di fragilità, che le ha rappresentate con disegni.
METAFORE PRE COVID:
METAFORE POST COVID: