UNA PAROLA IN QUATTROCENTO PAROLE – DISTANZA

La parola distanza viene dal latino distantia, sostantivo derivato dal verbo distare, composto a sua volta dal prefissodise dal verbo stare. Se di quest’ultimo appare chiaro il significato, il prefisso dis merita un occhio di riguardo.

Deriva dal protoindoeuropeo *dwi– che significa sia “separatamente” sia “due”; *dwi– diventa poi *dwis che significa “in due” e poi dis-.

Pertanto, la parola distanza implica l’idea di due entità che stanno separatamente, che sono lontane. Interessante anche che la parola abbia un’accezione assolutamente neutra: non è presente alcuna sfumatura ostile o agonistica nella contrapposizione delle due unità separate.

Ora piuttosto che indicare gli estremi, distanza indica lo spazio, fisico o meno, che intercorre tra due entità. In questo senso, si potrebbe intendere la distanza come il terreno che separa, tenendo lontane due cose o persone, ma anche come il terreno comune perché è lo spazio in cui le due parti si pensano in relazione: è distanza un segmento di spazio tra due cose o persone, ma esso esiste solo in presenza dei due punti che lo circoscrivono. Non esiste distanza senza l’altro, senza il due. Quindi la distanza è già uno spazio relazionale e relativo. 

Come la recente esperienza del Covid-19 ci ha insegnato, vivere distanti non è facile, ma allo stesso tempo è possibile far diventare più significativo lo spazio che separa nell’attesa di poterlo presto accorciare. Ormai la tecnologia con le sue forme di comunicazione permettono di mettere in relazione persone e cose tra loro lontane, ma non è possibile ignorare la separazione che comunque sussiste. E infatti, come la sua etimologia suggerisce, nella distanza convivono questi due aspetti, la relazione e la separazione.

Scaldare umanamente e rendere più efficiente la medicina a distanza è possibile, ma non è facile, come hanno dimostrato diverse iniziative degli ultimi anni. La telemedicina (la cui etimologia sfrutta un avverbio greco, tele, che significa “lontano”, come spesso capita per i neologismi scientifici; es. telefono, telescopio) funziona bene se le parti in gioco, il care-giver e il paziente, sono parimenti considerate nei loro bisogni e necessità e se non si dimentica che un rapporto medico-paziente a distanza non è completamente sostitutivo di uno in presenza. Tanti sono gli aspetti che possono essere coltivati proficuamente con la telemedicina, ma certamente non è auspicabile la totale sostituzione di una medicina a distanza a discapito del calore della presenza. È bene ricordarsi sempre che la tecnologia deve essere uno strumento per l’agire dell’uomo e non diventare sua unica forma d’azione.

Lasciateci, per favore, una parola che esprima il vostro “sentimento della distanza”.

Enrica Leydi

Milanese di nascita, ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne presso l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Sta attualmente completando il corso di laurea magistrale in Italianistica, sempre presso la medesima università emiliana. Collabora con ISTUD da aprile 2021 in qualità di coordinatrice della rivista «Cronache di Sanità e Medicina Narrativa».

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